Tag: Verbo transitivo

Abbelì

Abbelì  v.t. = stremare, abbattere, stancare, svilire

Accettabile anche la versione abbelìsce = affaticare.

Esiste la forma riflessiva abbelìrece = stancarsi, abbattersi
Me sò abbelüte = mi sono spossato, sfibrato.

Come sinonimo si usa anche dire: me sò arrennüte = mi sono arreso, non ho più forza di proseguire.

Probabile origine del verbo avvilire, nel senso di abbattere, estenuare,  con la solita influenza spagnola della “v” che diventa “b” o viceversa (barbiere/varvjire, braccio/vrazze, carbone/carvöne, ecc.).

Mi ha divertito recentemente sentire una signora che, evidentemente stanca della vivacità del suo frugoletto, ha esclamato in italiano: «E basta! Oggi  mi hai abbilita bella bella

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Sfelamé

Sfelamé v.t. Bramare

Il significato principale è: bramare, desiderare ardentemente, smaniare, struggersi.

Viene usato anche nella forma sfalamàrece. In questo caso significa: affliggersi, crucciarsi, dispiacersi, dolersi. affannarsi in una ricerca infruttuosa.

Insomma in ogni caso non si è potuto calmare la “fame” di qualcosa, non c’è alcun soddisfacimento, né per la mente, né per i sensi.

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Arrunzé

Arrunzé v.tr. = Arrangiare

Il verbo arrunzé credo che sia una corruzione di arrangiare.
Il “Caratù-Rinaldi” dice che ha tre significati.
Cito testualmente: 
«1 – rimproverare duramente; 
2 – rimediare, rubacchiare qualcosa per sopravvivere, arraffare tutto ciò che si ha a portata di mano;
 3 – abborracciare»    ossia raffazzonare, rabberciare, arrangiare, accomodare alla meglio, ecc.

Il “Treccani” accetta anche la voce regionale “arronzare” col significato di fare qualcosa male e in fretta.

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Mbassé

Mbassé v.t. = Fasciare

Fasciare sia nel senso di fasciare i neonati almeno fino ai 6 mesi, allorquando si (clicca→)  “cacciavano i piedi”. 
Fortunatamente questa costrizione ora non si usa più.

Per questa operazione si usavano:
– ‘a culöre, specie di pannolino filtrante;
‘u fassatüre, un panno di cotone assorbente (in seguito sostituiti dai “ciripà” filtranti):
‘a fasse, una larga benda di cotone grosso  che avvolgeva il bebé, con tutto il pannolino, dalle ascelle in giù. Tra le spire della fascia si inseriva la (clicca→) pungèlle.

Tutto questo armamentario era definito ‘a ‘mbassande.
I primi due elementi, dopo il passaggio in lavatrice, erano riutilizzabili a lungo.

‘Mbassé aveva il suo contrario:  sfassé = sfasciare (nel senso di togliere le fasce, non di rompere!)

Nella Daunia esiste un Detto: ‘Mbàssele brutte e sfàssele bèlle. cioè, non badare alle fattezze del neonato, perché con la crescita, in pochi giorni, come tutti i bambini, cambierà rapidamente i tratti del viso e diventerà bellissimo.

‘Mbassé e sfassé può significare anche bendare e sbendare una ferita.

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Muntué

Muntué v.t. = Menzionare, nominare, citare

Accettabile a che la pronuncia məntué, usata in tutta la Daunia.

Il bel verbo deriva dal latino mente habere avere in mente, attraverso il francese antico mentevoir (leggi mant-vuàr)

San Francesco, nel famoso «Cantico delle creature» usa questo verbo nel verso:
«Ad te solo, Altissimu, se konfàno et null-homo ène dignu te mentovare
In italiano moderno significa: “A te solo, o Altissimo, si addicono e nessun uomo è degno di menzionarti.”

Quando alle Scuole Medie la prof. che ci presentò questo Cantico, io sapevo già perfettamente, alla prima lettura, il significato di “mentovare” ancor prima della sua spiegazione.

Uhé, Giuà, proprje ajire t’amme mentuéte = Ehi, Giovanni, proprio ieri ti abbiamo nominato!

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Smiccé

Smiccé v.t. = sbirciare, intravvedere, scorgere.

È accettabile anche la dizione smeccé o anche smercé.

L’inesauribile Vocabolario Treccani dice: «Guardare attentamente, socchiudendo gli occhi per acuire la vista o per concentrarla su un determinato punto o particolare; per estensione, guardare minuziosamente, squadrare».

Individuare qualcuno o qualcosa in una massa omogenea (tra la folla, in un mucchio).

Giuà, t’avöve smeccéte a fianghe a ‘na bèlla uagliöne! = Giovanni, ti avevo intravisto (in un assembramento, in piazza, al cinema, ecc.) a fianco di una bella ragazza!

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Alluscé

Alluscé v.t. = Vedere, osservare, guardare con attenzione.

Generalmente viene usato al negativo per indicare una cattiva visione, o per difetto della vista, o per l’oscurità ambientale.

Trùveme ‘nu nómere söpe a l’elènche ca jü nen tante ce allósce = Cercami un numero sull’elenco telefonico, perché io non tanto vedo bene.

Ha viste a quedda varche ammìzza mére? No, da lunténe nen tante ce allósce = Hai visto quella barca in mezzo al mare? No, io da lontano non vedo tanto bene.

È possibile che derivi dalla locuzione latina ad lucem.

Il prof.Michele Ciliberti, che ringrazio sentitamente, mi ha scritto a conferma:
«L’etimologia sicuramente è dal latino “ad lucem“, ma in italiano esiste il verbo, ormai desueto, “alluciare” con il significato di guardare intensamente, vedere.»

Nota linguistica:
I verbi transitivi in italiano reggono l’accusativo. Es. Avete visto Giovanni? Ho incontrato un prete, ecc.

In dialetto invece, sulla scorta dello spagnolo, reggono il dativo: Avüte vìste a Giuanne? Agghje ‘ncuntréte a ‘nu prèvete.

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Smezzé

Smezzé v.t. = dimezzare, svuotare parzialmente

In verbo deriva da “mezzo” inteso come metà. Quindi “dividere, svuotare, liberare a metà”

Si usa dire smezzéte = dimezzato, anche se un contenitore qualsiasi non è stato svuotato proprio a metà, ma in misura molto variabile.
Come dire: jì stéte tucchéte = è stato “toccato”, non è più intonso. Può essere un quasi pieno o un quasi vuoto…

Generalmente si tratta di contenuto liquido (olio, vino, latte…).
‘Sta buttìgghje sté smezzéte = Questa bottiglia non è più completamente piena.

Talvolta è riferito a contenuto arido (riso, sale, caffè…)
U sacche d’a farüne sté smezzéte e momò ce fenèsce = Il sacco della farina è (più che) dimezzato, e sta per finire.

‘U buatte du cafè jì stéte stéte smezzete = il barattolo del caffè è stato iniziato (non è completamente pieno).

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Magghjé

Magghjé v.t. = castrare

Verbo orribile (magghjé può sembrare che significhi “colpire con il maglio”) riferito alla castrazione delle bestie, allo scopo di aumentarne la massa corporea e per rendere le carni più tenere, come nei capponi, o senza forti odori, come negli ovini.

Principalmente con l’aggettivo/sostantivo magghjéte = castrato, si intende l’ovino maschio sottoposto al taglio degli zebedei, o la sua carne sul banco di vendita delle beccherie.

Mi domandavo da bambino se c’era differenza fra il toro e il bue. Ho imparato che non è questione di indole naturale, uno irruento e l’altro mansueto… No, è solo questione di palle, come d’altronde accade con gli esseri umani. Chi le ha e chi no (anche metaforicamente).

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Accumenzé

Accumenzé v.t. = Cominciare, iniziare

Il verbo è di chiara etimologia latina: cum initiare, successivamente passato in tutte le lingue romanze comencer (fr.) comensar (sp.) començar (port.).

Iniziare un’azione, un manufatto cui verrà date un seguito per il suo completamento.
Quann’jì ca accumenzéte a frabbeché? = Quando (è che) inizierete a costruire?

Mò ‘ccumènze! = Adesso inizia!
È una sorta di rimprovero rivolto verso qualcuno che si comporta in maniera riprovevole, e ripetitiva.
Ad esempio riferito all’ubriaco che si mette a cantare, o a parlare in modo scurrile, o al bimbetto che in modo petulante e ripetitivo vuol ottenere qualcosa negatagli precedentemente.

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