Agguattàrece v.i. = acquattarsi
La nostra magnifica lingua italiana ci propone molti sinonimi, che rendono tutti bene l’idea di quello che intendiamo dire col nostro dialetto: nascondersi, rintanarsi, accovacciarsi, rannicchiarsi, aggomitolarsi,
accucciarsi, rincantucciarsi (verbi tratti dal vocabolario “Sinonimi e Contrari”)
Insomma il verbo agguattàrece descrive l’operazione di posizionarsi per bene sotto le coltri allo scopo di proteggersi dal freddo, specie se si è raffreddati.
Statte agguattéte ca fé frìdde = Resta ben rannicchiato sotto le coperte perché fa freddo. Ossia: resta acquattato, non scoprirti.
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Accucchjàrece
Accucchjàrece v.i. = accoppiarsi, saldarsi, aggregarsi.
Riferito a due o più persone che si associano o si riuniscono per compiere insieme una qualsiasi azione.
A volte il verbo ha valore di scherno o di invidia.
Ce sò accucchjéte ‘na bèlla famigghje! = Si è aggregata una bella famiglia.
Si usa anche la forma transitiva accucchjé = unire, legare, saldare.
Per estensione significa anche articolare un discorso secondo una linea logica.
Nota fonetica:
Fate attenzione alla pronuncia. Il primo gruppo di doppia ccu dal punto di vista fonetico viene definito “occlusivo posteriore velare”, mentre l’altro cchj è detto “sonante anteriore alveolare”.
Lo so che la fonologia è materia prettamente scientifica, che voglio tener fuori da questo sito che è divulgativo e non didattico, ma ci tenevo a far notare la differenza fra i due suoni.
Non lo farò più.
Sburré
Nnariàrece
Nnariàrece v.i. = innalzarsi, levarsi verso l’alto
Il verbo comprende la parola “aria” che rivela immediatamente l’azione di qualcosa che vola in alto, in aria.
Calza benissimo quando parliamo di aquiloni che ce sò nnariéte = si sono innalzati.
O di palloncini sfuggiti di mano ai bambini.
O di persone che si autoincensano…..
Uhé nen e jènne ‘nnariànne! =Ehi, non ti vantare troppo!
I Romani dicono: Ahó, nun t’allargà!
Mpelé
Mpelé v.i. = Emettere peli
Nel periodo della vita (dopo l’adolescenza) chiamato pubertà, le regioni dei genitali, nei maschi e nelle femmine, si ricoprono di peli. È uno dei segni dei caratteri sessuali detti secondari.
Quando assistevamo al fenomeno del cambio della voce di qualche nostro amichetto, cui era già apparsa la peluria sul labbro superiore, domandavamo:
Ma che, sté ‘mpelanne? = Ma che succede, sta emettendo peli anche sul pube?
Qualche furbetto, imitando il titolo di un famoso film dell’epoca con Lawrence Olivier, chiedeva: “Amleto?” come per chiedere in modo velato: Ha mpeléte? = ma a te sono comparsi i peli sull’inguine?
Una curiosità che ci prendeva tutti, perché la natura – dopo questo primo segno – in breve tempo avrebbe trasformato radicalmente i nostri corpicini implumi, dotandoci tutti, maschi e femmine, di un fisico da adulti atti a procreare. Omoni a fiumi!
Mi ricordo pure il verbo opposto “spelé“, usato come atroce minaccia delle mamme verso le figliole che non rigavano dritto. .
Aggiungo – a proposito di spelé e ‘mpelé, che in età matura quasi a tutti noi maschietti succede un fenomeno strano… I capelli si diradano sulla “cocozza”, e per contro si infittiscono sulle sopracciglia, che diventato cespugli, spuntano rigogliosi dalle orecchie e dalle narici!
Meno male che il mio barbiere li tiene a bada!
Arrugnàrece
Arrugnàrece v.i. = Raggomitolarsi, raggrinzirsi
Anche rannicchiarsi, acciambellarsi,
sistemarsi in posizione fetale.
Generalmente ci si arrògne sotto le
coltri per ripararsi dal gran freddo.
Lo stesso dicesi riferendosi alla buccia raggrinzita della frutta e degli ortaggi
un po’ avvizziti perché non consumati freschi.
Non parliamo di quello che succede a noi maschietti quando siamo assaliti dal
freddo.
C’jì arrugnéte tutte cöse = Si è ritirato, si è raggrinzito tutto.
Arrafagnàrece
Arrafagnàrece v.i. = Anchilosarsi, rattrappirsi
Perdere la motilità scheletrica dovuta al logoramento delle sue cartilagini che si manifesta nei soggetti di età avanzata.
Emergono, fra le conseguenze di tale deterioramento: il dolore articolare, la contrattura dei tessuti muscolari, l’incurvatura della colonna vertebrale a livello cervicale, dorsale e lombare e infine l’evidente il calo di statura della persona anziana.
Pöte
Pöte – s.m. s.f. v. intr.= Piede, potatura, può
1 – Pöte – al maschile significa semplicemente piede, riferito sia a quello umano, sia a vari oggetti (pöte ‘u ljitte = piede del letto, pöte-u-vrascjire = piede del braciere, ecc.)
2 – Pöte – al femminile (‘a pöte o anche ‘a putatüre) indica l’operazione di sfrondatura delle piante coltivate (olivi o da frutta) allo scopo di accrescerne la resa.
3 – Pöte – Con lo stesso suono si indica la terza persona singolare del verbo putì, potere. Ad esempio:
Giuanne nen pöte venì jògge= Giovanni non può venire oggi.
Mamme nen pöte mangé ‘a frettüre = mia madre non può mangiare la frittura (peccato!)
Ndumacàrece
Ndumacàrece v.i. = intasarsi, ingorgarsi
Quando si trangugia per voracità un boccone troppo grosso, o anche un gran sorso di bevanda si avverte una sgradevole sensazione di gonfiore in mezzo all’esofago causato dal bolo che non va giù, né tende a risalire.
Non so se esiste un corrispondente in lingua. Noi diciamo che il soggetto c’jì ndumachéte = si è intasato.
Una sensazione spiacevole che si cerca di sbloccare al più presto, magari bevendo acqua fresca. Qualcuno si dà addirittura dei pugni in petto….
Talié
Talié o anche Jì taliànne v.i. = bighellonare
Girovagare, vagabondare, perdendo tempo, senza una meta o uno scopo.
Ma add’jì ca jéte talianne pe stu frìdde? = Ma dove andate in giro con questo freddo?
Mattöje ne llu truve méje alla chése! Códde ce ne vé škìtte taljanne = Matteo? Non lo trovi mai in casa! Costui se ne va sempre a zonzo.
Si usano anche, ma con significato sempre scherzoso, i verbi scussjé (←clicca) e jattié.
Il famoso scrittore napoletano Luciano De Crescenzo, riferendosi al verbo greco αγοραζειν = agorazein (ossia “uscire in piazza”), per adattarlo allo spirito innato dei Napoletani, usa il verbo “intalliarsi” da cui deriva il nostro talié, e gli dà questa simpatica spiegazione: «…uscire di casa senza un’idea precisa, gironzolare…in attesa che si faccia l’ora di pranzo»
(Luciano De Crescenzo “Storia della Filosofia greca – I Presocratici” 1980-Arnoldo Mondadori Editori).
E noi cosa abbiamo di diverso dai Napoletani?