Bedèlle s.m. = bidello, bidella.
Chi è addetto alla pulizia dei locali scolastici e alla sorveglianza degli allievi.
E’ diventato un soprannome azzeccato.
Ora si chiamano operatori scolastici.
Ricordo Castigliego ‘u bbedèlle
Bedèlle s.m. = bidello, bidella.
Chi è addetto alla pulizia dei locali scolastici e alla sorveglianza degli allievi.
E’ diventato un soprannome azzeccato.
Ora si chiamano operatori scolastici.
Ricordo Castigliego ‘u bbedèlle
Becchetjille s.m. = Pizzetto
Barba tagliata a punta o arrotondata sul mento e rasata sulle guance.
Nell’esempio (foto dal web) è raffigurato ‘u becchjille di Leonardo Di Caprio.
Becchenòtte s.m. = Bocconotto
Prodotto di pasticceria di origini abruzzesi.
Il bocconotto è un pasticcino di pasta frolla ripieno di miele, crema pasticcera, marmellata o di cioccolato.
Il nome deriva dal fatto che questi dolci sono piccoli abbastanza da poter essere mangiati in un solo boccone, magari accompagnati da vino passito.
La variante pugliese, prevede un ripieno di mandorle e amarene, racchiuso nel medesimo involucro compatto.
Scherzosamente, qualdo qlcu sbadiglia senza coprirsi la bocca spalancata, si sente dire da qualche astante buontempone che imita lo sbadiglio: Aaahum, ‘nu becchenòtte! = Aaahum, ci vorrebbe un bocconotto per chiudergli la bocca!
Bècche s.m. = Mento
In italiano il termine quasi omofono “becco” indica la formazione mandibolare cornea tipica degli uccelli, usata per afferrare il cibo e anche per difendersi.
Veramente designa anche il maschio della capra o – per la presenza di corna – un uomo tradito dalla moglie…
Da noi definisce la parte inferiore del volto, corrispondente alla parte mediana della mandibola. Talvolta anche il pizzetto, la barba che cresce sul mento è chiamato bècche o becchetjille. Vengono pronunciati con la doppia iniziale: bbècche, bbecchetjille.
Se il mento è particolarmente pronunciato dicesi chjèppe.
Bebbùzze s.m. = Rigonfiamento
Bitorzolo, bernoccolo, sporgenza, protuberanza, per lo più riscontrata sulla testa a seguito di un trauma.
Giuànne jì cadüte e c’jì fàtte ‘nu belle bebbùzze = Giovanni ècaduto è si è procurato un grosso bernoccolo.
Anche su corpi inanimati si riscontrano prominenze.
L’àreve de vulüve jì tutte chjüne de bebbùzze = l’albero di olivo è pieno di bitorzoli
Bassa-macèlle s.m. = Bassa macelleria
La bassa-macelleria si apriva saltuariamente e solo per vendere carne di animali non macellati regolarmente, ma morti per soffocamento o per malattia.
Insomma era considerata carne di seconda qualità.
Ovviamente prima dell’immissione della carne al consumo, c’era stato il rigoroso controllo dell’Ufficale Sanitario che ne attestava la non nocività.
Per avvertire la popolazione di questa disponibilità veniva incaricato il consueto banditore Antonio Melöne.
In tempi di ristrettezze, nessuno poteva permettersi di fare lo schizzinoso.
Piuttosto questa era un’occasione per comprare carne a buon mercato.
Barbanöre s.m. = Barbanera
1) Barbanera s.m. – Noto lunario comprato a fine anno dalle famiglie per regolare la loro vita quotidiana.
Parlava di semina, raccolto, potatura, oroscopo, meteo, ricette, aforismi, ecc. Era tenuto in grande considerazione dalla gente semplice di allora, come una sacra scrittura rivelata, sacra e infallibile.
Un po’ come il moderno Calendario di Frate Indovino.
Forse lo si trova tuttora in Edicola, Edizioni Campi, Foligno.
Quando qualche richiesta era ritenuta esosa, la si respingea dicendo: nen l’ammètte ‘u Barbanöre = con lo prevede il “Barbanera”, cioè non è ammissibile, non può essere considerata.
2) Barbanera soprann. Calanjille Barbanöre = Nicola-Aniello “Barbanera”. Noto pescatore che prevedeva il tempo prima di uscire con la barca per pescare (proprio come il lunario Barbanera)
Padiglione usato nelle fiere come stand espositivo.
A Manfredonia ‘U bbaraccöne indicava una grande costruzione di legno ubicata vicino al fontanino della Chiesa di Santa Maria delle Grazie, a ridosso di un muro che delimitava un orto, proprio dov’è ora la Banca Montepaschi.
L’interno aveva un palcoscenico, con tanto di sipario, e tante sedie di legno. Raccoglieva ogni sera un pubblico numeroso perché là si rappresentavano fantastiche storie del Ciclo Carolingio, che avevano come attori i burattini (‘i pupàzze) azionati dagli stessi Artisti-proprietari-attori-tuttofare. E senza microfoni!
Queste marionette interpretavano personaggi come Orlando con la sua spada Durlindana e il suo corno magico Olifante, (immediatamente riconosciuto dagli spettatoti per suo mantello rosso e per il suo marcato strabismo), suo cugino Rinaldo (con il mantello verde), il Re Carlo Magno, Angelica, Gano di Magonza (o di Maganza, il traditore), Astolfo, Bradamante, il Conte Ruggiero, Ferraù un guerriero islamico molto possente, ecc. ecc.
Alcuni soprannomi, come ad esempio Malaggìgge, sono presi proprio da da questi personaggi.
Il pubblico si immedesimava talmente tanto nella storia, che quando entrava sulla scena il traditore Gano di Magonza (nome italiano della città tedesca di Mainz, nella Renania) rumoreggiava e lo prendeva a parolacce…Buuuuu! Stu chernüte, vattì scunnacchjéte, chjüne de mèrde, jìsse före, busciàrde! = Questo cornuto, vattene, pieno di corna, pieno di merda, esci fuori, bugiardo!
Il ‘pupo’ per tutta risposta si girava verso il pubblico e gli faceva la “mossa”. E scoppiava immediatamente un boato! Roba da farci un film neorealista.
Quando alla Scuole Medie in Letteratura abbiamo studiato “L’Orlando Furioso” di Ludovico Ariosto, tutti questi personaggi (ricordate la “Chanson de geste” o la “Chanson de Roland”?) ci sono sembrati così familiari!
Come siparietto finale usciva ogni sera sul palco un burattino chiamato Zabbacchièllo (o Zi’ Bacchiello), che atterrava i suoi rivali con incredibili capocciate. (Che diàvele è ‘stu guaglione: Zabbacchièeeeello)
Il Capocomico era il mitico Don Giovanni. Costui e tutti i suoi familiari napoletani, costruivano, restauravano e azionavano magistralmente i burattini a cui prestavano la voce e le movenze. I combattimenti con la spada erano il clou della serata. I pupi sembravano che vivessero di vita propria. Un incanto!
Aggiungo che dipingevano con vivaci colori anche il cartellone che esponevano all’estrerno del “teatro”, con la scena principale dell’episodio che si sarebbe rappresentato la sera, e il relativo titolo. Ad esempio: “Carlo Magno manda Orlando a Roncisvalle a fermare l’avanzata dei Turchi”. Oppure “Il duello finale di Orlando con l’infedele Ferraù”, ecc…
Talvolta recitavano in persona. In questo caso venivano rappresentate storie d’amore, di gelosia e di coltello, recitate nel loro simpaticissimo dialetto napoletano. Il famoso triangolo dele “sceneggiate” napoletane: ìsso, éssa e ‘o malamènte.
Ricordo che per sferrare una coltellata al rivale, il marito tradito usò come arma da punta un improbabile coltello da cucina con la punta arrotondata… .Ma non fa nulla: sarebbero riusciti ad estasiarci anche se il coltello impugnato fosse stato di cartone. È questa la magia del teatro.
Ritengo che questa benemerita famiglia di girovaghi (avevo solo 10 anni e non mi ricordo il cognome di Don Giovanni) sia rimasta bloccata forzatamente a Manfredonia per tutta la durata della guerra.
Successivamente, credo nel 1950 ha definitivamente “sbaraccato” (scusatemi l’involontaria battuta visto che sto parlando di baraccone….) non so se a causa della scarsezza di pubblico, perché la piazza era ormai satura delle loro storie, o per far ritorno nella propria zona.
Chiedete a qualche pescatore anziano: ” ‘U sé che jì ‘u baraccöne de Don Giuànne?” Vi racconterà meraviglie e gli brilleranno gli occhi! Decisamente questo teatrino aveva più fascino del cinema.
Chiedete anche se sanno qualcosa di più: mi pare che sia avvenuto un matrimonio tra uno/a di Manfredonia e una/o di loro.
Forse avrete capito che io ero uno di quelli che ‘appena appena’ si incantava ai loro spettacoli…..:-)
Dopo la chiusura del baraccöne di don Giuànne , un certo Rasjille, grandissimo appassionato delle storie di Carlomagno e dei Paladini di Francia, aveva allestito per conto suo un localino per i nostalgici fans di Orlando e Rinaldo. Dava delle piccole rappresentazioni con dei pupi costruiti da lui.
Non disponendo di un copione, basava le sua storie sulla sua pur formidabile memoria. Ma durante le recite venivano fuori dei frecàbbele (svarioni) passati alla storia:
– Sire, c’è il traditore Gano di Magonza!
– E fricàtelo a mare! ? ?
– Sire, il ponte trabbaléscia
– E mettitece una sippònda ? ?
Bannajùle s.m. = Banditore
Non c’erano altri mezzi di fare pubblicità, e si ricorreva a questi personaggi tipici dell’Italia meridionale, chiamati banditori.
Costoro giravano per le principali vie della città e annunziavano, dietro compenso, gli slogan e le notizie di interesse generale.
Due erano i Banditori ufficiali di Manfredonia:
Uno era Domenico Notarangelo, detto Tremelànde = tremolante, affetto da parkinsonismo; l’altro era Antonio Potito, detto ‘Ndònje Melöne per via della sua testa calva che sembrava un melone.
Erano entrambi dotati di voce possente e penetrante.
Del primo ricordo che girava con la carrozzella da trasporto persone di Michelino (u cavalle p’ ‘a palla grosse!) sulla quale era fissato il “tabellone” con la locandina del film che si sarebbe proiettato la sera al Cinema dei Fratelli Pesante (soprannominati Prijatòrje), e lui sedeva a fianco al cocchiere. Talvolta usava un megafono di latta.
Annunciava in italiano, perché dovevano capire anche i forestieri di passaggio:
“Questa sera, al Cinema di Pesante, ci sarà il bellissimo filmo:”A sud di Pago-Pago”!!!!
Oppure:
“Al cinema di Murgo! Tutti al Cinema di Muuuuuurgo!: Andate a vedere “Tarza’ contro i Cacciatori Bianchi” Inutile chiedergli di pronunciare Johnny Weissmüller! Fino a Randolf Scott o Tirò-mpòve (Tyrone Power) e Alà-lladd (Alan Ladd), poteva anche riuscirci…
E anche:
”E’ uscito il nuovo filmo di Totòoo! Uagnü’… (ragazzi), tutti addu Priatòrje stasööööööre!!!.
Si vede che Tremelànde aveva appaltato l’annuncio di tutti i Cinema dell’epoca.
L’altro era Antonio Potito, alias ‘Ntonje Melöne. Dopo la sua scomparsa nel 1951 per qualche tempo svolse le funzioni di bannajule suo figlio Ciro o l’altro figlio Michele.
Ricordo qualche grido di “Melöne”, dotato di voce possente e squillante, da tenore d’opera:
“Uhé, sentite! E pò dicite ca non sentite!…: Chi a fusse truwéte ‘na scarpetèlla nèrjia…” = Chi avesse trovato una scarpina nera…
“A Mundicchje c’jì pèrse ‘nu uagnöne de trè janne. Iétele a trué, ca la mamma chjànge!!! ” = Al Rione Monticchio si è smarrito un bambino di tre anni. Andatelo a cercare, trovatelo perché sua madre piange …
“Alla candüne de Pachjìreche jì arrevéte ‘u vüne nùuve! Mado’ quant’jì saprüte!!” = Alla cantina di P. è arrivato il vino novello! Madonna mia quant’è saporito!
“Stasöre, ci’ fé ‘u cumìzzje sott’u Municipje!. Uà parlé l’Onorevele Micöle Magne!! ” = Questa sera ci sarà un comizio in Piazza del Popolo (sotto il Municipio): parlerà l’Onorevole Michele Magno.
“-Jògge, alle djice e mezze, ce vènne ‘a carne a bassa-macèlle söp’a chjazzètte!!!! “! = Oggi alle ore dieci e trenta si inizierà la vendita della carne di bassa-macelleria alla Piazzetta del mercato.
“’Sepònde ‘a Ciavarèlla ho fatt ‘nu pjìzze di uagnöne màaascule: Iét‘a vedì quand’jì bèlle!!! E non ce jéte ch’i méne vacàaande!!! = Sipontina Ciavarella ha partorito un bel bambino maschio. Andate a vedere quant’è bello! E non andateci a mani vuote!
Talvolta annunciava la nascita del maschietto alludendo ai suoi piccoli genitali, maliziosamente chiamati pólepe arreccéte = polpo arricciato. Se la neonata era femminuccia, parlava di tregghja spacchéte = triglia spaccata.
Fantasia, spirito e buonumore non mancavano a questi personaggi del passato ormai scomparsi, non solo per inevitabili questioni anagrafiche.
Il mio amico Lino Nenna ha dedicato dei versi a questa benemerita figura. Ascoltate Lino (cliccate sul triangolino bianco) e leggete la sua composizione:
‘U bannajule
-« Uhé, sendïte!… Ca pò decïte ca nen sendïte:
Duméne matüne tutte a Seponde,
ce accumènzene i sàbbete alla Madonne!»
-«Pruvvedìteve d’acque:
uà manghé pe trè jurne!»
-«Abbasce Culìcchje
jì arrevéte ‘u lanajule;
ho purtéte ‘a léne p’i matarazze!»
(…e ‘nu cambiöne jìsse purtöve ‘mbrazze).
-«Söp’a chiazzètte ce vènne
‘a carne a bassa macèlle!»
Ce fermöve ai pìzze-candüne, addumannanne
püre chi afósse truéte ‘nu uagnöne,
‘na scarpetèlle, ‘nu braccialètte o ‘nu bortafoglie.
A sertìrle de gredé te venöve voglie.
-«Tutti al cinema di Murgo questa sera!…»:
annunciöve acchessì ‘nu bèlle film e ‘a staggiöne.
E gredanne p’i stréde. ‘nvurmànne ‘a gente,
a cchjó de jüne, ‘u bannajule, faciöve cundènte.
Traduzione: “Ehi, sentite! E poi dite che non sentite: domani mattina tutti a Siponto, ché cominciano i sabati alla Madonna!” “Provvedetevi di acqua ché deve mancare per tre giorni”. “Giù al Boccolicchio è arrivato il lanaiolo, ha portato la lana per i materassi!” (e un campione portava in braccio). “Sulla Piazzetta del Mercato si vende la carne di bassa macelleria!”
Si fermava agli angoli, domandando anche chi avesse trovato un bambino, o scarpettine, braccialetti, portafogli. A sentirlo di gridare ti veniva voglia. “Tutti al cinema Impero questa sera…”: annunciava così un bel film e la stagione. E gridando per le strade informando la gente, a più di uno un banditore faceva contento.
Vi voglio infine rimandare alla bellissima pagina del libro “Arti e mestieri a Manfredonia”, scritto dal compianto insegnante Giuseppe Antonio Gentile (Ed.1988 Centro di documentazione storica-Manfredonia), al capitolo riguardante proprio (clicca qui→) IL-BANDITORE.
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Balaccöne s.m. = Polaccone o Pollaccone
Al plurale suona balaccüne.
Il balaccöne è termine marinaresco che indica una vela triangolare, posta fra l’albero di prua e il bompresso. Di solito nei velieri sono multiple.
Nelle mie ricerche mi sono imbattuto nell’inesauribile Enciclopedia Treccani, che mi dà questa spiegazione:
«Polaccone (ant. pollaccone) – Nell’attrezzatura navale, vela triangolare, molto usata nei piccoli velieri mediterranei (detta anche mezzavela), che si dispone a prua di un albero a vela latina, invece di un fiocco, sostenendola con un’asta (buttafuori o spigone) che tiene luogo del bompresso.»
A proposito di orecchie esiste una simpatica definizione, le famose “rècchje a balaccüne“, ossia orecchie a sventola, quelle con il padiglione molto sporgente in avanti. Sventola o ventola è quella specie di ventaglio usato per ravvivare il fuoco.
In dialetto si fanno paragoni di frequente con qualcosa:
rècchje a balaccüne,
jàmme a chjurlüne,
nése a pepöne,
pjite a pàpere,
capìlle a mammazze… e così via