Tag: sostantivo invariabile

Mòneche

Moneche s.m = frate

Questo sostantivo ha diversi significati in dialetto.
Mi riferisco a quanto riportato nel famoso «Vocabolario di Manfredonia” dei miei amici Caratù e Rinaldi (Editore: Nuovo Centro di Documentazione Storica di Manfredonia-2006) dal quale ho attinto a piene mani!

1 – Mòneche s.m. = frate, generalmente francescano
2 – Mòneche s.f. = suora
3 – Mòneche s.m. = scaldino per il letto
4 – Mòneche s.m. = argano per sollevare pesi o per alare a riva imbarcazioni
5 – Mòneche s.m. = campana, copertura traforata di ottone per braciere
6 – Mòneche s.m. = mulinello d’aria, di vento, talvolta impetuoso (mòneche de vjinte)
7 – Mòneche s.m. = girotta, banderuola girevole da comignolo (mòneche de cemenöre)

Se non ricordo male, era detto anche mòneche de trappüte il paletto centrale del torchio dei frantoi oleari, intagliato come una filettatura, sotto il quale si impilavano i fiscoli (i fìšque) pieni di pasta delle olive frante per la loro spremitura.

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Zìnghere

 Zìnghere o zìngre s.inv., agg = Zingaro

Oltre al significato tradizionale di girovago,  nel nostro dialetto assume una valenza molto negativa.

Se una persona viene definita zìnghere, zingaröne, significa che è capace di creare dissidi tra famiglie rapportando ora a una, ora all’altra, fatti travisati o inventati di sana pianta.

Insomma fa zingramjinde o zingarüje = contrasti, pettegolezzi intricati, noiosi, e dannosi.

Quèdde jì ‘na zìngre!= Guàrdati da costei, non confidarti con lei,  perché è una persona ingannevole e menzognera, capace di farti trovare al centro di una bega.

Il suo difetto minore è la sua riconosciuta trascuratezza nel vestire.

Te sì vestüte accüme a ‘nu zìngre = Ti sei abbigliato come uno zingaro.

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Ziéne

Ziéne s.i. = Zio, zia, zii, zie

“Il fratello del padre o della madre, rispetto ai figli di questi: zio paterno, da parte di padre; zio materno, da parte di madre | ( estens.) marito della zia | gli zii, lo zio e la zia”

Questa descrizione del vocabolario della lingua italiana mi va un po’ stretta…

Ritengo che gli zii, e specialmente le zie, siano per i loro nipoti persone molto più indulgenti e accattivanti dei propri genitori (che devono essere istituzionalmente e giustamente più severi).

Dal punto di vista grammaticale, in dialetto il termine ziène è del tutto invariabile.
Dall’articolo si deduce se è maschile, femminile, singolare o plurale.

Per l’attribuzione della parentela c’è tutta una classifica. Vediamo insieme:

Mio zio = ziàneme, ‘u ziéne müje
mia zia = ziàneme, ‘a ziéna möje
tuo zio = ziànete, ‘u ziéne tüje
tua zia = ziànete, ‘a ziéna töje
suo zio = ‘u ziéne süje
sua zia = ‘a ziéna söje
loro zio = ‘u ziéne löre
loro zia = ‘a zièna löre
i loro zii = ‘i ziéne löre
le loro zie = ‘i ziène löre

Se in forma aggettivale precede il nome proprio (esempio: lo zio Matteo), si usa ‘u zzüjeper il maschile e ‘a zzüja per il femminile.

Famme sapì quanne vöne ‘u zzüje Mattöje = Fammi sapere quando verrà zio Matteo.

‘A zzüja Marüje uà passé giuvedì = La zia Maria deve passare (passerà) giovedì

Rivolgendosi ad una persona avanti con gli anni che non si conosceva, si diceva: Ze-züje= Zio.
Ovviamente era una forma di rispetto per l’età, e poi non era lecito dare del tu agli anziani. Ze-züje, segnerüje add’jì ca jàvete? = Buon uomo, voi dove abitate?

Ultimo avviso di carattere fonetico: mentre in italiano la zeta è sorda (pronuncia di pezzo) in dialetto è sonora (come in azzurro)

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Vréche 

Vréche s.m. = Mutande

Si intende sempre al plurale = ‘i vréche.

Capo di biancheria intima, indossato a nudo sulla pelle per coprire la parte inferiore del corpo, perlopiù sgambato o a calzoncino o addirittura lungo fino alle caviglie..

Modo di dire: scappé p’i vréche ‘mméne = fuggire precipitosamente.

Ossia scappare in situazione di imminente pericolo, senza avere il tempo nemmeno di sollevarsi le brache.

Ricordo il tragi-comico racconto di un reduce della Grande Guerra:

Ce ne süme scappéte dalla trenciöje p’i vréche mméne, pecchè stèvene arrevànne l’Astr’ungàreche = Ci siamo buttati fuori dalla tricea con le brache in mano perché stavano giungendo gli Austro-ungarici.

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Streméte

Streméte agg s.inv.. = Sfinito, unto

1) Streméte agg = Stanco, sfinito, sfibrato, sfiancato, ecc.

2) Streméte s.m. = Persona che ha ricevuto il Sacramento dell’Estrema Unzione.

Dopo il Concilio Vaticano II del 1983 questo Sacramento è stato denominato “Olio degli infermi”.

Il Concilio, oltre a cambiarne la denominazione, ha stabilito che è lecito somministrarla anche più volte se il soggetto, fortunatamente per lui, dopo l’Unzione sacra, se la cava e rimane ancora in ‘questa valle di lacrime’.

Ecco perché si diceva stremé: dare l’Estrema Unzione, perché era l’ultima Azione svolta a favore di una persona ancora in vita.

Quindi la persona scampata veniva etichettata come streméte= che ha già ricevuto l’Unzione estrema.

Come accadeva spesso, il popolino non acculturato ha mischiato il sacro e la superstizione. Ragion per cui lo streméte, essendo stato a un passo dalla morte, ha acquisito poteri particolari: guai se si metteva a sendenzjé e guai a colui che si buscava una sua sendènze!

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Sgagnéte

Sgagnéte agg.s.m.sopr.= Sdentato

Riferito a qlcu di qcn. che ha perso alcuni o tutti i denti per carie, piorrea, traumi o altre amenità del genere.

La persona senza denti.

Esiste anche un soprannome: io ricordo Lelüne ‘u sgagnéte = Michele Ciociola, bravo autista e bravissimo meccanico di TIR

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Sdangagliöne

Sdangagliöne sost.inv. = persona grande e grossa

Dicesi di persona di grande mole e statura, alta e robusta. In italiano si difinisce un “Marcantonio”.

Talora si usa la versione sdangaliöne oppure sdangalliöne.

Si può usare anche al femminile.

Jöve ‘na pjizze de sdangallione = Era un pezzo di ragazza. Qui Si mette in evidenza solo la statura, la mole della tizia, a prescindere dlle sue fattezze più o meno armoniche.

Come termine di paragone, l’italiano cita talora un armadio: Quel giovanottone è grande come un armadio.

Invece i nostri nonni facevano riferimento alla stanga del carretto, robusta e lunga. Il leone da sempre simboleggia la forza.

Quindi alla lettera: stanga-leone.

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Scucchjande

Scucchjànde agg. e s.inv.. = Scoordinato, non attinente, incoerente, inappropriato, sconclusionato

Etimo. Partendo da accucchjé  = accoppiare, unire, attaccare, incollare, si giunge al suo contrario disaccoppiare = scucchjé e quindi al discorso o alla persona che di si scollega dalla logica, non accoppia, cioè è scucchjànde.

In politica Tonino Di Pietro ha usato la locuzione: “e che ci azzecca?” = e che c’entra?, usando il termine napoletano-molisano azzeccà, che significa attaccare, incollare.
Noi similmente diciamo che ce cèntre? = Che c’entra?

Ma che sté decènne? Sì proprje ‘nu scucchiànde! = Ma che stai dicendo? Sei proprio un incoerente.
Insomma un discorso fuori tema, che illogicamente salta di palo in frasca (dicono quelli che hanno studiato) che non collima con quanto si sta discutendo.

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Scemunüte

Scemunüte agg., s.m. = Idiota

Persona con poco cervello, scimunito, andato di testa, rincitrullito, rintronato, rincoglionito

Si diceva anche ‘nzallanüte, con un termine napoletano da noi passato nel dimenticatoio.

Madònne e cumm’agghja fè ca stù marüte müje alla vecchiéje c’jì scemunüte apprjiss’i fèmmene! = Madonna, come devo fare ché questo marito mio alla vecchiaia si è rincitrullito dietro alle donne.

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