Tag: Locuzione idiomatica

Jericìnne de letteciüje

Jerecìnne de letteciüje loc. id. = Andare incontro a debolezza organica, deperimento, consunzione

Purtroppo la popolazione manfredoniana e di tutto il sud, nel periodo tra le due guerre, era falcidiata dalla tubercolosi, dovuta a denutrizione e a cattive condizioni igieniche.

A causa dei questi due fattori molte persone non avevano i mezzi per sostentarsi,e dimagrivano, ce ne jèvene de letteciüje. = si debilitavano, deperivano per inedia e anemia.

Sfùrzete a mangé, fìgghje, se no te ne vé de letteciüje = Sforzati a mangiare figliolo, altrimenti vai incontro ad un serio deperimento organico che può condurti alla morte.

Fortunatamente ora le migliorate condizioni di vita hanno debellato la TBC e di conseguenza il deperimento fisico.

Tuttavia la “letteciüje” ora si ripresenta come conseguenza di “disordine alimentare”. Parlo dell’anoressia che può condurre anche alla morte del soggetto per denutrizione diciamo “volontaria”.

Per quanto abbia chiesto ai miei informatori l’etimo del sostantivo letteciuje non sono riuscito ad ottenere una risposta soddisfacente. Forse è un termine prettamente medico, storpiato dal dialetto.

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Jericìnne ‘nzùcchere

Jericìnne ‘nzùcchere loc.id. = Andare in visibilio

Andare in solluchero, in estasi, in brodo di giuggiole, salire al settimo cielo, toccare la felicità.

Insomma presciaracìlle = godersela.

Accüme ‘i pjéce a jìsse! Quann’arrüve Carnevéle ce ne vé ‘nzùcchere = Come gli piace! Quando arriva il Carnevale se ne va in visibilio.

Quianne Luìgge söne ‘a tròmbe ce ne vé ‘nzùcchere = Quando Luigi suona la tromba se ne va in estasi.

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Jerecìnne de chépe

Jerecìnne de chépe loc.id. = Andar fuori di testa.

Perdere l’uso della ragione, diventare pazzo, dare i numeri, perdere la testa, ecc. Tutte espressioni che definiscono la mancanza di raziocinio. Insomma significa “impazzire” e non solo nel significato psichiatrico.

Generalmente in modo figurato significa essere totalmente preso dalla passione per una persona (secondo le proprie tendenze o pulsioni) da non aver più raziocinio, sragionare.

“Impazzivo per te” cantava Adriano Celentano.
“Lola, ne ho fatte di follie per te…” cantava Fred Bongusto. Ecco, fare follie d’amore, penso sia la definizione più calzante.

Nen pùte arraggiuné, Giuànne ce n’jì sciüte de chépe apprisse a quèdde = Non puoi più ragionare, Giovanni ha proprio perso la testa per lei.

Ho usato volutamente la voce verbale sciüte = andato al posto di jüte (entrambe corrette), perché con la coniugazione più antica, o se volete più marinaresca e quindi autentica del verbo andare, la frase risulti più incisiva.

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Jerecìnne ‘mpalòmme

Jerecìnne ‘mpalòmme loc.id. = Gongolare, godersela

Manifestare un senso di intensa soddisfazione. Essere lieti di qlco. Andare in sollucchero. Andare in brodo di giuggiole.

Insomma una cosa buona, finalmente, apprezzata fino all’ultima molecola.

Io ad esempio, me ne sò jüte ‘mpalòmme quando mia figlia, alla sua tesi di laurea, si è beccata un bel 110 cum laude (fortunatamente senza il bacio accademico…).

Traducendo alla lettera jerecìnne ‘mpalòmme dovrei ricordarvi il significato 2 di palòmme, ossia ‘girandola’. Quindi potrebbe equivalere alla locuzione italiana “col in vento in poppa”. Eh già perché il vento fa muovere la girandola!

Simile a jerecìnne ‘nzùcchere

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Javezé ‘na pröte da ‘ndèrre

Javezé ‘na pröte da ‘ndèrre loc.id. = Beneficare, 

Significato letterale: alzare una pietra da terra.

Mi ricordo la scena finale del film “Schindler list”, quando gli Ebrei scampati ai campi di sterminio, sollevavano una pietra da terra e la posavano sulla tomba di Schindler. Un bel gesto di riconoscenza che dimostrava che costrui era stato un “uomo giusto”, che in linguaggio semitico equivale a “santo”.

Il significato metaforico è molto più nobile. In questo caso sollevare una pietra significa fare un’opera di bene, consistente, sacrificandosi in propio in maniera sostanziosa per “sollevare” qlcu da una situazione critica.

Se vogliamo fare qualche esempio basta ricordare l’elenco delle opere di misericordia della dottrina cristiana:
dare da mangiare agli affamati, vestire gli ingnudi, visitare gli infermi, consolare gli afflitti, ecc.

Ecco l’esempio suggerito da Enzo Renato: Javezé ‘na pröte da ‘ndèrre. Si dice dello sposare una donna povera, senza niente.

Mia nonna diceva che “si devono sposare le carni, non i panni”. Ossia si deve sposare la “persona” per le sue doti morali, e non per i suoi beni materiali.

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Jàmme a chjurlüne

Jàmme a chjurlüne loc.id. = Gambe arcuate

Conformazione ossea che presenta l’asse femore-stinco un’angolatura verso l’interno (190°-gambe ad arco), invece di essere allineato (180°-gambe dritte). Nel valgismo fisiologico invece l’angolatura va verso l’esterno (170°-gambe ad x).

Viene pronunciato in segno di spregio, come se il poveretto questo inestetismo se lo sia procurato da sé per incuria o per stravizi.

Ritengo che derivi dalla forma del becco del chiurlo (chjurlüne), un uccello palustre dal becco ricurvo.

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Jàcce-e-jöve

Jàcce-e-jöve  loc.id  = Malridotto, malconcio

Significato letterale: sedano e uova….sembra una ricetta di cucina.

Si tratta invece di una minaccia: Se venghe allà, te fazze a jàcce e jöve. Cioè ti riduco a mal partito, ti riempio di botte.

Si dovrebbe dire àcce e öve….ma c’è una regola fonetica che richiede la “j” iniziale (Jacce – jöve) perché il termine è preceduto da vocale.

La locuzione trae origine dalla narrazione del Vangelo (Giov. 19,5), quando Pilato mostrò Gesù flagellato alla folla, disse: “Ecce homo”, ossia “Ecco come ho ridotto l’uomo che voi volete che io condanni”.

Significa in pratica malridotto, ferito, pieno di sangue e di piaghe.

Le nostre nonnine, che non capivano il latino, hanno ripetuto ad orecchio, italianizzando ECCE per “accio” e HOMO per “uova”.

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Giòvene de ciàppe

Giòvene de ciàppe = loc.id. Giovane elegante, ma di poco costrutto.

La ciàppe è il gancio che allaccia i due lembi della cappa, il tabarro dei nostrti nonni. I gancetti minuscoli per i reggiseni si chiamano ciappètte.

Una volta tutti gli uomini, invece del cappotto, d’inverno usavano un mantello che era allacciato al collo da questo fermaglio di metallo. Spesso era di ottone lucidato col Sidol.

Se era particolarmente rifinito, la ciàppe riluceva sul mantello nero. Era la prima cosa che saltava agli occhi quando si osservava il giovanotto.

L’origine della locuzione  è decisamente iberica  infatti in spagnolo hombre de chapa significa uomo serio, assennato, giudizioso.

Da noi viene spesso usato in antitesi, oppure in maniera ironica.  Per molti la cappa non mostrava quello che c’era sotto, e l’aspetto esteriore poteva nascondere ben altro.

Allora figuratamente il giòvene de ciàppe era uno che badava all’apparire e non all’essere.
Proprio come fanno molti ragazzi dei giorni nostri.
La natura umana non cambia mai: cambiano i mezzi e le epoche.

Fine della lezione di morale.

Ecco cosa scrive l’amico Enzo Renato per spiegare il significato della locuzione dialettale:

«Vado ad intuito e penso si riferisca alle “ciappe“, i ciappette, chiusura a scatto di stagno, quindi uomini di ciappe, di poco conto, rispetto ai bottoni, forse più “dignitosi” delle ciappette!

Il numero e la posizione dei bottoni ha sempre contraddistinto chi li portasse o indossasse. Avere molti bottoni forse nell’immaginario popolare antico corrispondeva al meglio, come per la “coppola” .

Si diceva anche di un uomo di poco conto che è “ l’óteme bettöne d’a vrachètte!” = l’ultimo bottone della patta. oppure che “Oraméje jì cadüte a còppele!” = ormai gli è caduta la “coppola” (segno che anticamente contraddistingueva il maestro artigiano)  come per dire non ha più l’autorità del Maestro.»

 

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Frósce-e-premöre

Frósce-e-premöre s.m.loc.id.= Colore e primiera

Si tratta di un gioco di carte cui possono partecipare due, quattro o più giocatori, perché, come nel “Sette e mezzo” tutti si misurano con il cartaio per una posta in gioco, solitamente di pochi centesimi.

Da un mazzo di carte da gioco “napoletane” ne vengono distribuite quattro a ciascun giocatore. Se uno di essi ottiene le quattro carte di seme diverso (còppe, denére, spéte o bastöne) vince perché fa premöre = primiera.

Ma se un altro giocatore ottiene tutte e quattro le carte dello stesso seme, raggiunge un punteggio superiore, perché fa frósce, ossia ‘colore’, annulla la vincita dell’avversario e vince la posta in gioco.

Se al primo giro nessuno ha fatto “primiera” o “fruscio”, è consentito sostituire una o più carte.

La locuzione idiomatica fé frósce-e-premöre significa fare l’en plein, ossia guadagnare punteggio pieno, stravincere, ottenere condizioni vantaggiosissime, ecc.

Per esempio:far man bassa di cibo, ripulire il tavolo di tutte le sue leccornie, stipulare un contratto forse vessatorio per la controparte, imporre ad altri condizioni limitative, aver fortuna in un matrimonio con il/la partner abbiente, ecc. ecc.

Qlcn dice con linguaggio moderno: fare Bingo. In dialetto tradizionale si dice: fé tèrne e quatèrne.

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Freché la ’mbìgne

Freché la ’mbìgne loc.id. = Fare la pelle, uccidere.

Generalmente questa locuzione viene pronunciata quale serissima minaccia verso un interlocutore che si comporta o mostra di comportarsi in maniera estremamente scorretta.

Cmq nessuno, dicendo questo, vuole veramente uccidere il contendente. Piuttosto gli esprime così una minaccia, un forte monito a comportarsi correttamente.

La mbìgne è una parte specifica del cuoio della scarpa, ossia la tomaia.
Quindi freché la ‘mbigne equivale a “sciuppé ‘u còrje” = estirpare il cuoio, fare la pelle, come la locuzione verbale in italiano.

Viene usato anche scherzosamente nel raccontare una solenne bastonatura, equivalente a fé ‘nu paliatöne, o fé ‘na frechéte di mazzéte.

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