Tag: Locuzione idiomatica

Nen tenì nesciüne amöre

Nen tenì nesciüne amöre loc.id. = Essere insipido, non aver alcun aroma o profumo deciso, riferito a ortaggi, pesci, minestre, ecc.

Quelli più esigenti, calcando la mano, evidenziano che la pietanza nen töne nesciüne amöre, nè sapöre. = Non ha alcun aroma, né sapore.

In questo caso amöre (omofono con amöre = amore, nel senso di sentimento) con il significato di gusto, deriva dall’aggettivo amurèvle = gustoso

Stu cazze de cetrüle nen töne nescjüne amöre = Quest’accidenti di cetriolo non ha alcun sapore.

‘Stu melöne assemègghje a ‘na checòzze: nescjüne amöre = Quest’anguria somiglia ad una zucca: non ha alcun sapore.

Presumo che sia stata fatta un po’ di confusione con i termini italiani. “Odore+aroma = amöre

Con lo stesso significato si può dire sciapüte= scipito, insapore, o nen dé nè de mè e nè de tè =Non sa né di me e né di te.

Come se i due interlocutori fossero essi stessi, all’assaggio, fatti di sapore diverso, uno dolce e l’altro salato.

Il contrario, ossia ricco di sapore, è amurèvele, o più semplicemente, saprüte = saporito, squisito.

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Ne jàvezé manghe ‘nu zippere da ‘ndèrre.

Ne jàvezé manghe ‘nu zippere da ‘ndèrre loc.id. = Essere sfaticatro, pelandrone, svogliato, indolente, fannullone, ecc.

Alla lettera: Non raccogliere nemmeno uno stecco da terra.

Quindi, usato in terza persona: Códde ne jàveze manghe ‘nu zippere da ‘ndèrre! = Costui non si sforza minimamente di collaborare.

Esiste una variante: invece dello stecco, il nostro amico non ha voglia di alzare da terra nemmeno ‘nu füle de pàgghje = un filo di paglia, una pagliuzza.

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N’abbaste a rengrazzjé

N’abbaste a rengrazzjé loc.id = Grazie infinite

È un modo di ringraziare decisamente più intenso dell’abituale “grazzje tànde” = Tante grazie.

Quando il ringraziamento è molto sentito per aver ottenuto un grosso favore, si ricorre alla locuzione del titolo, di solito rivolto in prima persona, sing. e plur.

Significa in effetti: io non finirò mai di ringraziarti, io non ti avrò ringraziato mai abbastanza per quello che hai fatto per me.

Volto al plurale:n’abbastéme a rengrazzjé = Il nostro ringraziamento è indeguato rispetto al beneficio ricevuto. Non basta, non è bastevole, è insufficiente.

In effetti questo modo di ringraziare è sempre spontaneo e cordiale e direi simpatico.

Qualche volta, tra amici, viene detto ironicamente o per sfottò, quando il favore è stato promesso e non mantenuto.

Note di fonologia:

1 – la negazione, per il fatto che il verbo comincia per vocale, non è il solito nen = non, come ad es. in nen parle, ma n’:

2 – la frase usa il verbo un po’ italianizzato abbasté come una specie di riguardo verso l’interlocutore cui si rivolge il ringraziamento.
In manfredoniano si dovrebbe dire avasté. Torno a ribadire l’influsso nel nostro dialetto della lingua spagnola, la quale pronuncia nello stesso modo la ‘b’ e la ‘v’, ossia espirando a labbra strette un po’ di fiato, come se si dovesse spegnere una candelina. Un esempio per tutti. Sp. brazo, braza = dial. vrazze = it. braccio, braccia.

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Muzzeché i féfe

Muzzeché i féfe loc.id. = scappellare le fave

Muzzeché i féfe = mordere le fave era una operazione – se vogliamo un po´schifosa – consistente nel levare, appunto con i denti incisivi, il nasello e staccare un po´di buccia dalle fave secche, in modo che durante l´ammollo l´acqua penetrasse meglio tra la fava e il guscio.

L´ammollo e la cottura sterilizzavano qualsiasi impurità

Era un´operazione lunga e noiosa, perciò si praticava di volta in volta per il quantitativo necessario alla minestra del giorno.

Talvolta si cucinavano le fave “scappellate”, con il loro guscio morsicato, o addirittura con il loro corteccia intera, per fare “volume”, e si ottenevano le famose féfe aggraccéte, fave raggrinzite, e i féfe arrustüte, fave arrostite, mangiate come bruscolini nei cinema.

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Müte Mengüne (fé ‘i)

Müte Mengüne Loc.id. = Chiudersi in deliberato silenzio, fingersi muti.

Figuratamente fé ‘i müte Mengüne significa chiudersi in ostinato mutismo. Non parlare pur avendone le capacità, per indolenza, per introversia, per riservatezza.
Alla lettera: fare come i muti Mengoni.

jìnd’a ‘sta chése assemegghjéme ai müte Mengüne =In questa casa non si parla mai!

Non si sa chi siano stati questi ‘Mengoni’, che forse erano tutti muti, e in quale epoca vanno collocati. Io ho sentito nominare questi muti da mia suocera, classe 1903, che l’avrà sentito da bambina dai suoi genitori, e quindi ci spostiamo al 1880 minimo…

I soggetti taciturni talvolta destano inquietudine negli altri interlocutori i quali, non riuscendo ad interpretare i loro pensieri tenuti nella rigorosamente chiusi dentro la loro zucca, cadono in malintesi. Se si chiariscono si sbotta in : Pe ffòrze! Quà stéme facènne ‘i müte Mengüne!

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Mò la bòtte

Mò la bòtte o anche mò jì la bòtte loc.id. = È ora il caso, adesso cade a proposito,

La sintetica locuzione letteralmente significa: adesso (è opportuno citare) la battuta = ora viene a proposito una battuta.
Corrisponde anche a: decètte códde ‘na vòlte = Disse quel tale una volta…

Si usa anche, con lo stesso significato, la locuzione: ‎mò ‘u fàtte = adesso (si verifica) il fatto (già da tutti conosciuto) e anche quànne düce = quando dici (una cosa e poi accade veramente).

Significa che, mentre si parla, si indica una citazione, si richiama un proverbio, si nomina un riferimento, si menziona un modo di dire ben noto agli interlocutori, ecc., che avvalori in quel momento le proprie argomentazioni.

A chése de puverjille, mò la botte… = A casa di poverelli, come si dice…(nen mànghe ‘nu stuzzarjille = non manca un tozzo di pane). In questo esempio si evidenzia che a casa nostra, c’è sempre una tangibile accoglienza per chiunque venga a trovarci.

È un intercalare simpaticissimo.

Mio padre a volte riferiva: mò la bòtte, accüme decette ‘u caföne, Pulecenèlle, Màste Giüre, ‘u škattamùrte, ecc. = come disse il contadino, Pulcinella, Mastro Ciro, il becchino,ecc…… e giù una spiritosa battuta conclusiva.

Fazze tande e, mò la bòtte, me tröve senza njinde = Faccio di tutto e, come disse il poverello, mi trovo senza nulla.

Qualche buontempone pronunciava: Mò jéve la bòtte = Ora (tu) prendi una sberla, facendo scansare il suo vicino tutto allarmato dalla minaccia.

Sempre citando qualcosa di noto, la frase viene sintetizzata, senza collocazione del tempo: ‘a botte du ciócce, alla vecchjéje cacciàtte ‘u trótte = come l’asino, che alla vecchiaia (dopo una vita di flemma) iniziò ad eseguire il trotto.
(Citazione di Enzo Renato)

Sono esempi e paragoni uniti prevalentemente a voci proverbiali.

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Mo ce sfrjiche!

Mò ce sfrjiche loc.id. = Mi stai scocciando

Mo’ ce sfrjiche! = Espressione (volgare) di stizza che si indirizzava – dopo aver dapprima ostentato una certa indifferenza, e molto autocontrollo – verso qlcn che si comportava da inveterato, pedante, inopportuno, insopportabile, e reiterato rompiscatole (Giuà, mo’ ce sfrjìche!! Si’ pròpete ‘nu checa-cà’***! = Giovanni, mi stai importunando, sei proprio un seccatore!).

Il senso era di rinfacciare allo sfrontato interlocutore d’essere colui che viene a “rompere le scatole” proprio quando si è intenti – diciamo così – a compiere qualcosa di estremamente interessante…

Era così diffusa l’invettiva, che si lanciava anche sottintesa con un monosillabo accentato, ben chiaro e comprensibilissimo dalla controparte: “ …Sfrjì!…”

Immaginate quando qualcuno vuol fare un discorso serioso in un gruppo di amici. Minimo si sente dire, quale immediato commento, magari a mezza voce: “Sfrjì!”… In questo caso scoppia una risata (o una rissa, dipende dall’affiatamento del gruppo).

Ovviamente era prevista la risposta del soggetto preso di mira: “Ma pròprje!” (oppure: “ma pròpete!”), nonché la contro-risposta, articolata in una micidale alternativa. O si lanciava di nuovo lo: “Sfrjì!”, oppure si porgeva un grazioso e gentile invito, una speranzosa richiesta: “Pùrte a sòrete, ca stéche prònde!….”

Sulle note della marcetta di Stanlio e Ollio addirittura si cantava l’intero repertorio: “Mo’ ce sfrì/ma pro’/mo ce sfrì/ma pro’/purteme a sòrete/ca stéche prònde!”

Insomma il “dialogo” così codificato sovente andava sfociare in un’inevitabile colluttazione (vé a fenèsce a taccaréte), e perciò era consigliabile non lasciarsi andare troppo su questa china.

Fortunatamente questa “moda” è passata in disuso verso il 1960.

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Mezza-parendöle

Mezza-parendöle s.f. = Lontana parentela

In dialetto, alla lettera, significa “mezza parentela”…l’altra metà si è perduta per la scarsa frequentazione di persone apparententi alla stessa famiglia.

Possono essere mezzi parenti i prozii diretti (fratelli del nonno) o acquisiti (il/la loro consorte, ossia i cognati del nonno). Ancora più lontani i procugini (i genitori sono cugini).

‘U sé ca pe Frangìsche tenüme ‘na mezza-parendöle? = Lo sai che con Francesco abbiamo una lontana parentela?

Qualcun altro direbbe: Pe Frangìsche süme strazza-parjinde = Con Francesco siamo parenti alla lontana.

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Mètte-sotta-pjite

Mètte-sotta-pjite loc.id. = Maltrattare

È un modo di dire nostrano per indicare un abuso, un prepotenza, una vessazione, un po’ come è spiegato dal termine moderno mobbing.

Il significato letterale è: mettere sotto i piedi. Chiaramente nessuno calpesta materialmente con le suole delle scarpe un malcapitato. Caso mai lo fa figuratamente, come graziosamente usano fare i prepotenti, i quali sono forti con i deboli, ma deboli con i forti…. Vigliacchi.

Viene usato talvolta come affettuoso rimprovero materno verso la figliola usa cambiarsi spesso d’abito.

Te sté mettènne tutte cöse sotta-pjite… = Stai usando tutti i tuoi vestiti…(cioè è meglio che ne serbi uno per una circostanza più adatta!)

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Mètte ‘i Sànde espòste

Mètte ‘i Sànde espòste loc.id. = Mettere i Santi esposti.

Modo di dire efficace e immediato che significa: far ricorso a personaggi influenti per ottenerne favori o raccomandazioni.

Alla lettera significa ‘esporre i Santi’, o meglio, in un italiano più corretto: disporre i simulacri dei Santi, come avviene nelle Chiese, affinché tutti possano riconoscere le loro virtù e sappiano quanto siano influenti nell’intercedere per essi.

So’ jüte mettènne ‘i Sànde espòste pe trué düje begliètte alla partüte = Mi son dovuto raccomandare a persone influenti per procurarmi due biglietti per assistere all’incontro di calcio (evidentemente i biglietti erano andati a ruba).

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