Tag: Locuzione idiomatica

Purté ‘u quédre alla Madònne de Sepònde

Traduzione letterale: Portare il quadro alla Madonna di Siponto. Il famoso ex-voto “per grazia ricevuta”.

Era considerato un gesto di grande devozione quello di portare alla Madonna Sipontina un quadretto di stile naif in cui erano illustrate le circostanze che avvaloravano lo scampato pericolo per l’intervento della Vergine.

Un atto di ringraziamento e di devozione, quindi, che si poteva esternare anche  più semplicemente andando a piedi, e talvolta scalzi da Manfredonia alla Basilica di Siponto.

Se qualcuno era scampato a un pericolo, trovava sempre chi gli consigliava di portare un quadretto di ringraziamento a Siponto. Come per dire, ringrazia Dio di come ti è andata. Potevi restarci secco.

Va pùrte ‘nu quédre alla Madonne de Seponde!.

Per impetrare un intervento autorevole alla Beata Vergine, talvolta si tira in ballo il “quadro” magari in forma semi-seria.

Pe nen fàrle parlé chjò, jèsse alla scàveze a Sepònde! = Per farlo tacere andrei a piedi scalzi a Siponto (per ringraziare la Madonna dopo avergli tappargli la bocca! Evidentemente l’interlocutore è troppo ciarliero).

Se te pìgghje ‘stu cazze de deplöme, véche alla scàveze a Sepònde! = Se riuscirai finalmente a diplomarti, andrò scalza a Siponto come segno di ringraziamento (cuore di mamma).

Un po’ come il ferro a San Leonardo (←clicca)

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Purté ‘ngambéne

Purté ‘ngambéne loc.id. = Protrarre, prorogare, rimandare la conclusione di un affare, di un accordo, rinviare, posticipare.

Alla lettera: portare in campana. Questa locuzione idiomatica locale ha una variante: si può ripetere una o due volte ‘ngambéne come fosse un rafforzativo.

Fajöle me sté purtànne ‘ngambéne ‘ngambéne e ‘a cazze d’a chése nen me la làsse angöre = Raffaele sta rimandando di mese in mese (sta protraendo la data del) il rilascio della mia casa.

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Purté ‘a paröle

Purté ‘a paröle loc. id. = Fidarzarsi ufficialmente

Sono cose d’altri tempi. I genitori dello sposo si recavano in casa della futura sposa per la prima volta per conoscere i suoi familiari e magari stabilire le condizioni reciproche di dotazione.

Per prima entravano nella casa della sposa i futuri suoceri. Parlottavano un po’ con i consuoceri, e se tutto filava come ci si aspettava, il papà della fanciulla le diceva che il ragazzo poteva entrare, perche veniva “accolto” nella nuova famiglia.
Subito la donzella si affacciava all’uscio e invitava ad entrare il giovanotto emozionato in trepidante attesa sulla strada.

Rosolio e pizzarelle. Poi veniva consegnato dalla suocera un anellino e una collanina alla futura sposa.

A volte c’era una persona che aveva fatto da tramite. Costei o costui recitava quasi come una poesia di presentazione:

“Cóste jì ‘u giòvene, quèsta jì ‘a giòvene!
U giòvene jì fatiatöre e sesteméte de chése.
A giòvene jè ‘ndre chése, aggarbéte, e setuéte!
A paröla möje ‘ndèrre nen m’jì cadüte”.

Ossia: questo è lo sposo e questa è la sposa. Il ragazzo è lavoratore e possessore (addirittura di una) casa. La ragazza è casalinga, garbata, laboriosa e ben sistemata (economicamente). La mia parola non è mendace (Mado’ che parola!) ossia non dico falsità.

C’erano addirittura i ringraziamenti dei quattro consuoceri per aver fatto combinare questo matrimonio tra i loro figli:

Cumbé/cummé, n’dabbaste a rengrazzjé! = Compare/comare, le parole non sono sufficienti per esprimerti i nostri ringraziamenti.

Io intanto ringrazio Enzo Renato per il suggerimento.

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Pónde-e-mumènde

Pónde-e-mumènde loc.avv. = ripetutamente, senza sosta, frequentemente, spesso.

Alla lettera significa: punto e momento.

Talvolta la locuzione viene annunciata in modo più completo: ogne e pónde e mumènde= ad ogni momento.
Quelli che parlano bene l’italiano dicono: ad ogni piè sospinto (figuratamente = ad ogni passo).

‘Stu cazze, ogne e pónde e mumènde m’addumanne che jöre jì = Costui ripetutamente mi chiede l’ora.

Nota linguistica:
dopo la congiunzione “e”, che sembra faccia da rincorsa, la consonante iniziale della parola successiva si pronuncia raddoppiata. Preferisco non scrivere il raddoppio, se non in casi specifici.

È quasi una regola di fonetica.

Qualche esempio:
ogne e tande = ogni tanto (si pronuncia “ognè-ttànde“)
màmmete e pàtete = tua madre e tuo padre
pìcche e pe njinde = poco e spesso, sovente
péne e pemmedöre = pane e pomodoro
acque e sapöne = acqua e sapone
córle e zajagghje = trottola e sagola
frìške e tüse = fresco e teso
a ràngeche e mùzzeche (fig. = mediante graffi e morsi) = faticosamente, a stento.

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Pónde de stèlle

 

Pónde de stèlle loc.id. = Punto fatale, giorno nefasto

 

Nella fantasia popolare, alcune date nel corso dell’anno erano considerate perniciose, funeste, e perciò bisognava stare particolarmente attenti e svegli in modo da evitare infortuni.

Erano considerati giorni infausti, perché lo predicevano le stelle.

Veramente i compilatori di oroscopi parlano di influssi dei Pianeti, ma come fare a spiegare al popolo analfabeta la differenza dei vari corpi celesti, ossia stelle, satelliti e pianeti? Per la gente ignorante i notturni punti luminosi della volta celeste sono tutte stelle!

In punto di stelle ricorrente in certi giorni veniva ricordato dalla mamme premurose ai loro figli quando andavano per mare o nei campi: ca jògge j’ pónde de stèlle… = Poiché oggi è una giornata segnata negativamente dalle stelle. Una sorta di preconfezionato oroscopo sfavorevole.

Si dicono anche (clicca→) jurnéte arrecurdèvele = giornate infauste (che si ricordano).

Ad esempio la terza domenica del mese di aprile dedicata all’Incoronata di Foggia, o il 28 settembre, vigilia della ricorrenza di San Michele Arcangelo.

Particolarmente negativo era considerato il periodo dal 24 giugno (‘a notte de San Giuànne) al 29 giugno (‘a notte de San Pjitre e Pàvele).

Stàteve attjinde ca quìste so’ jurnéte arrecurdèvele: so Pónde de stèlle!”

Per questo motivo il 16 luglio (giorno della Madonna del Carmine) i lavoratori edili di Manfredonia, anche al giorno d’oggi, disertano in massa  i cantieri, consapevoli di perdere la giornata di paga.

 

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Pigghjé l’appöse

Pigghjé l’appöse loc.id. = solere, essere solito volutamente

Prendere il vizio, la consuetudine di fare sempre un’azione a danno di altri.

Si dice pigghjé o pegghjé, indifferentemente. Sarebbe più corretto dire pigghjé come l’italiano pigliare. Difatti all’imperativo si dice pìgghje = piglia.

Scherzosamente la mamma, quando notava un giovanotto ronzare intorno alla propria casa, passare e ripassare, diceva:

E jìsse! ho pegghjète l’appöse a venì sèmbe quattórne = (Guardalo!) ui è ormai ha preso l’abitudine a gironzolare sempre in questi paraggi.

Mò te déche ‘nu becchjerüne, ma nen pigghjànne l’appöse = Ora ti dò un liquorino, ma che non diventi un’abitudine.

Cerco di capire il significato di pigghjé l’appöse, e mi sembra “prendere una discesa”. Quindi figuratamente, giungere agevolmente ai piedi della china, arrivare a fine corsa senza fatica, perché è più facile andare in discesa piuttosto che in salita.

Gira e gira e si giunge al posto preferito, anche perché l

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Pigghjé i vjirme

Pigghjé i vjirme loc.id. = Terrorizzarsi, spaventarsi, sobbalzare.

Alla lettera significa: prendere i vermi. Ma non per andare a pescare con la lenza e l’amo!

Significa prendere un solenne spavento, una paura, una fifa memorabile.

E che c’entrano i vermi? Dico il mio parere: uno stato di paura o di stress genera spasmi viscerali e involontarie contrazioni muscolari, dando una fastidiosa sensazione come se nella pancia ci fossero dei torciglioni, dei vermi in movimento.

Tutti abbiamo vissuto questi momenti! Che so, prima dell’esame di maturità, prima del conseguimento della patente, dopo essere usciti illesi da una situazione di pericolo o durante l’incombere di esso, ecc.

Ecco, questo movimento intestinale viene descritto come aver “preso i vermi”, ossia aver contratto una di quelle malattie viscerale che ora sono scomparse: la tenia, l’ameba o altre simpatiche malattie di “panza”

Me sò vìste a cóste annànze tutte ‘na volte: m’ò fatte pigghjé i vjirme! = Costui mi è comparso davanti inaspettatamente: mi ha spaventato!

Altre locuzioni similari:
torce l’ùcchje;
fàrece venì a jòcce
fàrece venì ‘u staghegghjöne

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Pigghjé asse pe fiüre

Pigghjé asse pe fiüre loc.id. = Sbagliare, prendere un abbaglio.

asso_denariCommettere un errore, prendere una cantonata, fare un passo falso.

Talora si pronuncia Pegghjé jàsse pe fiüre
Fiüre, in questo caso non significa “fiori”, bensì “figure”

Alla lettera significa: prendere asso per figura. Chiaramente si riferisce ad una mossa errata nel gioco delle carte.

Commettere un errore, prendere una cantonata, fare un passo falso.

Di solito l’asso, specie nella briscola o nel tressette è una carte importante e nel fare una giocata lo si è calato erroneamente al posto di una “figura”, ossia il “cavallo, la “donna” il “re” (le altre carte sono chiamate “pezzenti”, ossia scartine.

Il linguaggio figurato trasferisce questa mossa di gioco per indicare un errore madornale, anche di valutazione.

ANNOTAZIONI FONETICHE
Molte parole che iniziano in italiano con la vocale ‘a’, ‘e’, ‘o’ ‘u’ prendono nel dialetto la semivocale ‘j’ come avviene, per esempio, nei seguenti casi:
Abitare = javeté
Alzare = javezé
Amaro = jamére
Angelina = Jangiulüne
Aprire = japrì
Essa = jèsse
Oggi = jògge
Otto = jòtte, ecc….

Sono grato al nostro grande poeta Franco Pinto, che sfodera queste colorite espressioni, perché che mi danno modo di trarne spunto per comporre questi miei post dialettali.

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Pi calecagne ‘ngüle

Pi calecagne ‘ngüle locuz.avv. = Velocemente

La locuzione alla lettera si traduce con i talloni a contatto con le natiche e vale come l’avverbio “velocemente” (per questo si dice locuzione avverbiale. Ragazzi ho dovuto ripassarmi le regole di Grammatica per affrontare questa fatica!!!)

I talloni potrebbero toccare contemporaneamente le natiche se si è accoccolati. Ma qui le toccano alternativamente durante una fuga precipitosa!

In italiano per la stessa descrizione si dice: a gambe levate.

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Pezzènde e fetènde

Pezzènde e fetènde loc.id. = Schizzinoso

Quando qualcuno stenta ad accettare un dono, un aiuto, un sostegno, forse per un malcelato segno di orgoglio, si dice che è pezzente e fetente, ossia misero ma orgoglioso e dai gusti difficili.

Ma come: ti dò un piatto di minestra e tu ci sputi sopra? (Metaforicamente, s’intende).

Ma quìste so’ pezzjinde e fetjinde (plurale)

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