Nen avv. = Non
Avverbio di negazione. È sempre usato nelle frasi in cui si nega o si esclude il significato del verbo successivo.
In italiano questa costruzione linguistica dicesi “coniugazione negativa”.
L’esempio, come al solito, chiarisce il concetto:
Jògge chjöve = oggi piove (affermativo);
jògge nen chjöve = oggi non piove (negativo)
Spesso il nen, davanti a certi verbi, viene scomposto in ne-n, accorpando la seconda “n” al verbo successivo.
Ecco l’esempio:
Invece di scrivere nen sacce = non so, si può scrivere ne nzacce, più vicino alla reale pronuncia.
Un’altra particolarità riscontrabile in quasi tutta la Puglia risalta nella coniugazione dell’imperativo negativo.
In questo modo verbale, in italiano si usa anteporre la negazione “non” davanti all’infinito (non parlare, non bere, non fischiare ecc.).
In dialetto invece si pone davanti al participio presente: ne mparlanne, ne mbevènne, ne nfrišcanne. Come dire: “ non (sii) parlante, bevente, fischiante”.
Probabilmente anticamente si esprimevano così, ma nel corso dei secoli ha prevalso l’uso dell’attuale declinazione.
Ho sentito da ragazzino un ordine un po’ strano: nen te jènne cutulanne = rimani immobile [alla lettera: ”non ti andare muovente”]. Ormai anche questa costruzione verbale è andata in disuso.