Scurcé v.t. = scorticare, scuoiare
Verbo derivante da scorza, corteccia.
Nella forma scurciàrece significa procurarsi delle escoriazioni sul corpo, sugli arti, per esempio a seguito di una caduta dalla bicicletta.
L’amico Matteo Borgia junior mi suggerisce l’aggettivo scurcéte per indicare un difetto, un graffio, un’abrasione su una superficie liscia, come un mobile o una scarpa, o una parete.
Scurcéte riferito persona indica la sua testa calva o con vistosa alopecia (chierica pronunciata).
Mio padre mi raccontò un gustoso episodio (inventato o accaduto) che esasperava gli sfottò quotidiani tra il curato (gobbo) e il sacrista (semi-calvo). A quell’epoca il prete celebrava la Messa di spalle all’assemblea e rigorosamente in latino. Ad un certo momento della liturgia doveva voltarsi verso i fedeli intonando “Dominus vobiscum” ed aspettarsi la risposta “Et cum spiritu tuo”.
Invece per sfottere il sagrestano, cantò «Dominus scurcizzum». La risposta del sacrista fu immediata «Et cum sgubbizzu tuo!»
Figuratamente in forma di sostantivo ‘nu scùrce, indica una seccatura, un intoppo, e di aggettivo designa una persona inopportuna, intrusa.
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