Nazzeché v.t. = Cullare
Far addormentare o calmare il bambino facendo oscillare la culla.
Dondolare tra le braccia il bambino accompagnando il movimento con cantilene.
Le donne anziane tenendo il bimbo in braccio, facevano un movimento avanti-indietro sulla sedia, prima sul davanti, e poi – spingendo la spalliera – all’indietro, senza rischio di stramazzare a terra!
Per far dormire il pupo “a braccia”, ossia senza culla e senza sedia, l’italiano adopera un bellissimo verbo: ninnare, ossia fare addormentare i bambini cullandoli e canticchiando la ninnananna (vocabolario Sabatini-Coletti.)
Nella forma intransitiva nazzecàrece significa dondolarsi, specialmente di un dente che non è saldo nel suo alveolo ed è prossimo alla caduta.
Ce nazzecöje u dènte de nnanze = dondola il dente davanti.
Un ricordo di infanzia di cui mi vergogno e non ho detto mai a nessuno e che ho appreso dai racconti dei genitori. Un cugino di mia madre, falegname nella bottega di “sfasciacumò” per regalo costruì con le sue mani una “navicola” in legno ben massiccia e consistente. Pare che tutte le sere era difficile farmi dormire, nonostante mia madre dormisse con una braccio tra le stanghe per “nazzicare”. Mentre lei si addormentava per la stanchezza, io mi alzavo a sedere e gridavo “Nàzzeche!!” Finché una notte mio padre si alzò incazzato nero, venne verso la navicola e, con tutti i nervi, morse il parapetto rotondo e sollevò la culla con me dentro, con la forza dei denti. Quando a volte mia madre raccontava ai visitatori (era sarta professionale con molti clienti) la vicenda, mi allontanavo e andavo alla culla (usata per il mio fratellino) e toccavo con la mano i segni lasciati dal morso.