Ghjòmmere s.m. = Gomitolo di filo.
Deriva dal latino glomus – glomeris.
Accettabile anche ghjòmere, con una sola “m” e gghjòmere con iniziale semplice o doppia.
Si tratta di una palla di filo dipanato e avvolto a mano.
Si comprava il filo (di cotone o di lana) a matasse (a bomméce). Lo si avvolgeva a gomitolo per avere il filo continuo senza pericolo di aggrovigliamento. E poi si usava per sferruzzare.
Le nostre nonne erano abilissime ai ferri (per farne calzettoni) o all’uncinetto (firracruscé= francese “fer-à-crocher” = ferro da uncinare, da agganciare).
I Napoletani pronunciano gliòmmere (con la ‘gl’ di figli, non di glicine).
Quelli più piccoli sono detti ghjumarjille,
In altre provincie di Puglia e Basilicata questa voce diminutiva (gnumeridde, gnumeriedde, gnimeredde) indica i nostrani torcinelli (←clicca).
Per le donne che amano lavorare ai ferri, sono in commercio dei gomitoli pronti, preparati industrialmente, che hanno una forma ovoidale, non sferica.
Per distinguere i due formati, questi in dialetto vengono chiamati gumìtele, con voce simil-italiana.
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