Funére s.m. = Cordaio, funaio
Chi fa spaghi, sagole, cime, corde, funi, e gomene ad uso della marineria locale utilizzando fibre tessili, operando in maniera artigiana.
Un ragazzo manovrava una ruota a tamburo che dava il movimento rapido, mediante una cinghia di trasmissione, a dei mandrini cui si fissava la canapa grezza da torcere e riavvolgere. Il cordaio, indietreggiando, e lasciando attorcigliare la canapa che reggeva intorno alla vita, otteneva uno spago lunghissimo.
Nei successivi passaggi attorcigliando più volte questi spaghi otteneva una fune della grossezza voluta.
Un cordaio operava all’interno dello Stadio Miramare (allora non era recintato) parallelamente al viale. Un altro (o lo stesso?) dov’è ora l’Hotel Gargano. Questo che vediamo nella foto ha montato la sua ruota probabilmente sul “Tratturo di Pulsano” o nei pressi dell’attuale Zona mercatale, in Zona Scaloria.
Anche colui che vendeva questi prodotti era chiamato ‘u funére.
Io ricordo il negozio di De Gennaro, proprio di fronte alla Farmacia Centrale Murgo, che vendeva cordame e reti da pesca di sua produzione.
La produzione industriale delle funi, confezionate con fibre sintetiche anziché con la canapa, ha introdotto sul mercato spaghi, sagole, cime e gomene resistenti e immarcescibili. Di conseguenza ha causato la scomparsa di questo antico mestiere.
Ringrazio l’amico Matteo Borgia per avermi fornito la foto pubblicata in questo articolo.
Vi propongo una poesia del nostro poeta dialettale Lino Nenna, tratta dalla sua raccolta “Pètele de röse” (Petali di rosa), dedicati ad una figura scomparsa dalla nostra Manfredonia.
‘U funére
‘Nnanze e dröte
‘u funére jì jüte
e quanda zöche ho arravugghiète;
pe lu cüle ‘ndröte jöve
e de fàcce sèmbe returnöve.
Da ‘u söle ca l’abbrunzöve
‘na pagliètte nghèpe ce mettöve.
Pe’ sedöre e pe fatüje
matasse e ghiòmmere
ho mìsse ‘nfüle.
‘Mbàcce ‘a röte ‘u uagnöne
ca aggeröve ‘a manuèlle
peccenìnne e tenerjille
au patrüne stöve attjinde.
P’aggeré forte o chiéne
Lu sendöve da lundéne.
Sòtte e söpe ‘u funére jì jüte
C’a matasse de la vüte.
Traduzione per i lettori non locali.:
Avanti e indietro il cordaio è andato e quanta corda ha avvolto; a ritroso indietro andava e di faccia sempre ritornava. (Per ripararsi) dal sole che l’abbronzava, un cappello di paglia in testa si metteva. Con sudore e con fatica matasse e gomitoli ha messo in fila. Di fronte alla ruota il ragazzino che girava la manovella, piccolo e tenero al (comando del) padrone stava attento. Per girare forte o piano lo sentiva da lontano. Sotto e sopra il cordaio è andato con la matassa della vita.
Che io ricordi, quest’uomo operava nel largo dove c’è oggi l’istituto magistrale Roncalli. Uno dei Di Gennaro operava nella parte sud del campo sportivo e nell’adiacente stradina alle spalle del cinema Impero. L’ altro si traferirí alla “Cunzarijie” (Retificio Di Gennaro)
Mio nonno materno era funaio a Monte S.Angelo e lavorava presso dei propri parenti, poi andò alla Guerra, la Prima Mondiale, e la fece tutta. Quando fortunatamente tornò al suo paese, trovò il suo posto di lavoro occupato, così prese armi e bagagli e, insieme a moglie e due figli piccoli, compreso mia madre, si trasferì a Manfredonia. La sua lontana parentela con i funai di Manfredonia gli assicurarono un precario posto di lavoro, ma il salario era insufficiente e così mia nonna, che durante la Guerra aveva aperto una bancarella per la vendita di frutta e verdura a Monte, nella sua abitazione vicino al Santuario, la riaprì anche Manfredonia (Tonino la ricordi Marianna?).