Frèchete inter. = Va’ in malora, va’ a farti benedire!
Imperativo del verbo frecàrece, nel senso di rovinarsi (non di strofinarsi).
Si dice a qualcuno che non ha saputo mettere a frutto una circostanza favorevole. Spesso si antepone l’interiezione “oh” per esprimere un rafforzativo al biasimo. Come l’avversativo italiano “ma” : Ma va a quel paese!
Ecco un esempio: Oh, frèchete! Tenjive bèlle carte ‘mméne e nen l’ha sapüte juchéje = Ma va’ a farti benedire! Avevi delle belle carte in mano e non le hai saputo giocare.
Per chiudere definitivamente un discorso, quando l’interlocutore continua ad agire di testa sua, a dispetto dei buoni consigli, si antepone la congiunzione “e”.
Faccio un paio di esempi chiarificatori:
Pigghjiatìlle e frèchete = Prenditelo (nonostante il mio veto), e che buon pro ti faccia.
Nen ve süte appresentéte alla fèste ‘ncampagne? E frecàteve! = Non vi siete presentati alla festa (che ho dato) in campagna? Peggio per voi, non sapete che cosa vi siete persi.
C’è una variante frìchete: Frìchete a te e pàtete (o màmete). Va in malora, tu e tuo padre (o tua madre)
Se l’epiteto è rivolto a più persone, al plurale si accorda con: frecàteve!
Frecàteve, a vüje e a quanda mùrte ca tenüte..= Andate alla malora: lo dico a voi e ai morti che avete.
Scusate, questi improperi erano usati da noi monellacci che vivevamo allo stato brado per le strade di Manfredonia, durante i nostri giochi. molto burrascosi.
Per i bambini c’era la versione “leggera”: oh, frìjete = friggiti, va a farti friggere.
Ora i ragazzini gridano ai loro compagni di giochi, a seguito di scontri fisici o di opinione, in perfetto italiano: “mongoloide!” Credo che questo epiteto sia molto più riprovevole di un bel “frèchete a te e pàtete!”
Quando qualcosa va storto, sia rivolto a se stessi o anche al proprio gruppo (se si è in compagnia) ci si rammarica esclamando: frecàmece! = siamo fritti, non c’è rimedio, siamo spacciati, che figuraccia, hanno capito il nostro intento, tutto lavoro inutile, ci hanno sgamati, ecc.
Contrariamente a noi che la pronunciamo molto rapidamente, quasi frèkt, gli Abruzzesi dicono Fréeeechete!, con la è molto allungata, con significato di notevole ammirazione, per esempio, nel vedere una prosperosa donzella, e talvolta di invidia, quando vengono a conoscenza del successo di un amico.
Un po’ come “figo!” usato ora dai ragazzi per esprimere sorpresa, meraviglia, ammirazione, entusiasmo.
Gentilissimo Antonio, tu sei una persona molto pudica ed educata, e ti siamo riconoscenti per la grazia con la quale tratti l’idioma sipontino. Ma il dialetto è volgare per sua natura, e non si fa scrupoli di usare parole molto forti, anche parolacce, molto comunemente.
È il caso della parola “Frèchete” che hai trattato in questo articolo. Essa in realtà viene dal verbo “freché” (fregare), l’atto di consumare un rapporto sessuale senza un legame sentimentale, che etimologicamente deriva dal latino frĭcare, strofinare, proprio per lo strofinio tipico dei corpi nel rapporto intimo.
In italiano frèchete può essere tradotto “frègati”, sinonimo di “fottiti” ed assolutamente equivalente nel dialetto manfredoniano, anche nella forma riflessiva. I due verbi, nella lingua volgare, vengono usati in senso negativo e spregiativo, come tu correttamente indichi, quali equivalenti di rubare o anche approfittarsi, ingannare, ecc., oppure per sentenziare un danno fatto a sé stessi (e frèchete = peggio per te, oh fúttete = povero te).
Ovviamente molte parolacce, usate correntemente, vengono depotenziate nel loro significato sconcio o offensivo (è il caso del siciliano minchia, per fare un esempio) e per questo oggi il signor Ezio Greggio si può permettere di usarlo tutte le sere in una trasmissione in prima serata (forse per omaggiare il suo amico/compare “Maestro Pavarotto”, al secolo Matteo Troiano, di recente scomparso) senza che nessuno gli ponga alcuna obiezione.
Per chiudere, all’uopo, segnalo un proverbio sipontino molto conosciuto, che forse per mia colpa non sono riuscito a trovare sul sito: «Cumanné jí chjù dòlce du freché» = Comandare è più dolce del fare sesso.
Si dice delle persone a cui piace dare ordini e a cui non piace lavorare.
Distintamente.
Grazie Matteo!
Ancora una volta, qualora fosse necessario ribadire il concetto, la collaborazione tra me e i lettori si rivela sempre illuminante.
A proposito del Detto, io lo conoscevo così:
«Jì mègghje a cummanné ca a fotte». o con la variante finale di freché.
Valida la puntualizzazione di Matteo. Dubito molto che la parola “mongoloide” sia corretta o consentita nella lingua italiana, pur essendo onnipresente sulle labbra dei nostri “pargoli”.
Ho trovato in rete:
«Mongoloide = sindrome di Down [1828-1926] (che ne ha descritto il quadro clinico), caratterizzata da malformazioni somatiche e soprattutto una caratteristica facies (occhi piccoli, a mandorla, simili a quelli dei mongoli, donde il nome originario della sindrome)».
Il senso dispregiativo del termine deriva dalla presunta carenza intellettiva di queste dolcissime persone.
Eh già.
A sproposito sulla bocca.
In manfredoniano “moderno”, 《….stu mongoloid !》.
In Campania: 《 …..confront a jsse, nu mongoloid se mette a gravatte !》.