Categoria: V

Verròcchele

Verròcchele s.m. = Cavalletta, locusta

Si tratta della locusta migratoria, un insetto ortottero della famiglia degli Acrididi (Anacridium aegyptium), comunemente detta cavalletta, che si sposta periodicamente in sciami arrecando enormi danni alle coltivazioni di cereali.

La locusta è caratterizzata da due fasi: la fase sedentaria (o solitaria) e la fase migratrice (o gregaria).

Misteriosamente le migrazioni periodiche di massa avvengono ad intervalli molto irregolari, anche a distanza di decenni. Ma quando arrivano in sciami sono numerosissime e distruggono interi raccolti di frumento. Fu una delle bibliche piaghe d’Egitto.

In dialetto è al maschile, ‘u verròcchele, e si pronncia con la “ò” larga. Al plurale fa ‘i verrócchele, con la “ó” stretta.

verròchele s.m. (gr. broukos) Cavalletta, locusta

Quando non c’era la play-station i bambini si divertivano a catturare una cavalletta, metterla sotto un barattolo vuoto, con una pietra sopra. Si diceva che dopo una settimana l’insetto sarebbe diventato di celluloide (non esisteva nemmeno la plastica). Probabilmente sotto il solleone la povera bestia imprigionata nella latta si cuocesse agli infrarossi e disidratandosi lasciava visibile l’involucro disseccato e fragile.

Ho letto da qualche parte che verròcchele deriva dal greco  broukos.

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Verrüte

Verrüte agg. = Nerboruto, vigoroso.

Fornito di una muscolatura forte ed evidente. Possente e agguerrito.

Me sènde verrüte. che sso’ ch’àmma fé? = Mi sento pieno di vigore: che cosa abbiamo da fare?

Che è nella condizione giovanile di prestanza fisica, ricco di forza e vigore, specificamente per affrontare rapporti sessuali.

Il soggetto non ha problemi di erezione: più nerboruto di così…

Infatti l’aggettivo proviene dall’italiano “verro” ossia il maschio del maiale adibito esclusivamente alla riproduzione, come i cavalli stalloni. Quindi forte e potente come un verro. Insomma come un vero porco in tutti i sensi.

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Versüre

Versüre s.f. = Versura

Unità di misura di superficie agraria, in uso nell’Italia meridionale fino al 1860, con valore diverso da luogo a luogo, il più diffuso è di 123,45 are, ossia di 1,2345 ettari, pari a 12345 mq.

Per trasformare la versura in ha (ettaro) dividere per 0,81004. Per il contrario, moltiplicare l’ettaro (ha) per 0,81004 e si ottiene la versura.

Sottomultiplo: il tomolo (1/4 di versura)

Con l’unificazione dell’Italia fu adottato in tutto il Regno il sistema metrico decimale, ma in agricoltura praticamente era adoperato solo negli Atti notarili di compravendita o di successione e nelle scritture del Catasto: i coltivatori ancora per un secolo hanno continuato a intendersi sulla base delle antiche misure.

Per indicare una persona dotata di intelligenza e cultura, si diceva che costui aveva quàtte versüre de cervjille = quasi cinque ettari di cervello. Come se il sapere e l’intelligenza si potessero misurare come un terreno seminativo.

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Verzèlle

Verzèlle s.f. = Vergella

Deriva da verga, al vezzeggiativo vergella = verzèlle.

In metallurgia si intende il semilavorato di ferro “dolce”, laminato a caldo, a sezione piatta o rotonda, usato per fabbricare ringhiere, staffe, stipiti ecc.

Ferro dolce significa che ha basso contenuto di carbonio, e perciò lavorabile anche a freddo. Il ferro duro è l’acciaio lavorabile dopo forgiatura. La ghisa non è forgiabile e si usa dopo averne ottenuto le forme per colatura dalla fusione.

Ho sentito mio padre fabbro che la chiamava verzellüne = vergellina. Evidentemente di dimensioni minori. Quella che ricordo io, ‘a verzèlle, era di larghezza di cm 5, e di spessore di cm 0,5 ed è tuttora usata per i corrimano delle balconate.

‘A verzellüne larga cm 2 e spessa cm 0,3 cm. è usata per le decorazioni arricciate del ferro battuto, ad es. come tante “C” affiancate e sovrapposte in una intelaiatura, quale finestra per separare due ambienti.

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Verzjìre

Verzjìre sm = Verdura

Verdure in genere, e tutti i prodotti dell’orto. La gioia dei vegetariani.

Un vecchio Detto
La mòrte de li pólpe jì la cepòlle, e la salüte de l’öme jì lu verzjire. = La morte del polpop è la cipolla, mentre la salute dell’uomo è la verdura.

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Vesazze

Vesazze s.f. =Bisaccia

Sacche accoppiate di stoffa pesante o di cuoio, di identica capacità e opposte, che i viaggiatori si mettevano sulla spalla o sulla groppa della cavalcatura.

Usata anche dai frati questuanti (i mùnece cercatöre) per raccogliere vettovaglie per la loro comunità.

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Vèsce

Vèsce s.f. = Teredine

Con il nome di “Vèsce” (o vèscje) in marineria si indicano le Teredini (Teredo navalis), dette dai pescatori manfredoniani anche “mange-e-chéche” = mangia e caca, tutto un programma.
 
Dal nome di questa insaziabile creatura che attacca anche il legno delle imbarcazioni, per similitudine, si è passati a definire la voracità di certe persone ingorde.
 
Il legno attraversato dalle gallerie causate dalle Teredini dicesi “vescéte” [pronunciato con doppia “sc” (come pescéte)] perde qualsiasi consistenza e può essere frantumato come un biscotto con la pressione di una sola mano.
 
Leggo in rete:
«Le Teredini, uno degli organismi xilofagi (voraci mangiatori di legno) che vivono e proliferano nelle acque salmastre, rosicchiavano le palificate degli antichi porti che costituivano sostegno dei moli e delle bocche di porto. Stessa sorte toccava al fasciame delle imbarcazioni, traforate in breve tempo dai molluschi. Le teredini eleggono come loro habitat naturale i legni infissi o galleggianti in acque salmastre portuali, li erodono dall’interno nutrendosi della fibra legnosa formando una cannula calcarea interna al legno dove alloggiano. In poco tempo sono in grado di distruggere le caratteristiche dei maggiori legni conosciuti.»

Oh! Tjine ‘sta sorte de vèsce! = Ehi!, Hai questa insaziabile voracità!

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Vescéte

Vescéte agg. = Roso da parassiti.

Il parassita in questione è la vèsce, nota ai pescatori anche con il nome di mànge-e-chéche = mangia e caca, per la sua icredibile voracità.

Il legno vescéte, ossia attaccato dalla vesce (Teredo navalis) presenta lunghe gallerie e si briciola, divenendo friabile per l’assenza di fibre, tutte divorate da questo parassita.

Il termine per estensione si riferisce a qls oggetto corroso.

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Vése

Vése s.m. = Bacio

Parola di etimologia spagnola. Gli Iberici scrivono bèso ma pronunciano veso

Faccio un esempio sulla forte influenza che ha avuto la lingua spagnola sul nostro dialetto: la frase: “Dàmme nu vése” (dialetto parlato fino agli anni ’50; ora si dice bbéce) è quasi identica alla stessa richiesta detta in spagnolo: “Dame un béso”.

In spagnolo le consonanti b v si pronunciano entrambe con l’identico suono, ossia con un leggerissimo soffio in punta di labbra, come se si dovesse spegnere una candelina.

L’ascoltatore non può notare la differenza tra le due consonanti che è evidente solo nello scritto. Questo spiega perché noi diciamo in dialetto: varvire, àrve, vràzze, vrùcchele, avàste, ecc. per barbiere, albero, braccio, broccoli, basta, ecc.,

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Vestemènde

Vestemènde s.m. = Abito carnevalesco

Il carnevale è stato sempre un’occasione di spensieratezza, specie per il popolo di Manfredonia. Il fatto di potersi travestire, non essere riconosciuti, dava euforia a giovani e vecchi.

Per fare la propria mascherata ognuno inventava un propro vestemènde, da quelli più semplici (giacche indossate rivoltate, federe di cuscini usati come cappuccio, ecc.) a quelli più sofisticati ispirati alla Commedia dell’Arte (Pulcinella, Colombina, Arlecchino), fino all’immancabile pagliaccio (da bianco Pierrot o Clown multicolore).

Vestemènde si potrebbe tradurre, se mi passate il termine, con “costume teatrale”.

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