Vannüne s.m. = Puledro
Cavallo di tenera età, puledro, chiamato anche vannenjille o peddìdre.
Veniva attaccato al bilancino più per fargli fare movimento che per obbligarlo al tiro del carretto.
Delizia dei bambini per la sua docilità.
Cavallo di tenera età, puledro, chiamato anche vannenjille o peddìdre.
Veniva attaccato al bilancino più per fargli fare movimento che per obbligarlo al tiro del carretto.
Delizia dei bambini per la sua docilità.
Vàrde s.f. = Basto
Specie di sella, grossa di cuoio e legno, per asini e muli, che serve per caricarvi la soma (sacchi, legna, ceste e altro).
Varda vecchje = per similitudine è così chiamato un grosso oggetto in disuso, inefficiente, polveroso, che dà intralcio. Forse per il fatto che venisse usata raramente, il basto rimaneva lungamente in un angolo della stalla a prendere polvere.
Jettàtale ‘sta varda vecchje = Buttatela questa robaccia.
Anche riferito a persona distesa sulla sabbia, sul divano, ecc. da lungo tempo e non dà segni di volersi rialzare.
Jàvezete da llà, c’assemìgghje a ‘na varda vècchje = Alzati da lì, ché sembri un basto logoro.
Termine che deriva dall’arabo bardaah. (بردى) che indica una specie di sella senza arcioni.
Varröne s.m. = Spranga, barra snodata
Spranga, paletto di ferro incernierato all’interno delle case sui battenti della porta dell’uscio. In italiano si usa il verbo sprangare per indicare questa operazione.
Era di uso comune quando le abitazioni erano quasi tutte al pianterreno.
La notte si chiudevano prima le porte a vetri, e poi quelle più robuste di legno.
Sulla parete situata dietro ciascun dei due battenti c’era una sbarra (detta varra da cui deriva ‘u varröne) di ferro a sezione circolare dal diametro di circa 2,5 cm e dalla lunghezza variabile dai 50 cm in su.
La barra era forgiata con due occhielli alle due estremità.
Uno era incernierato ad un altro occhiello a codolo, e questo era fissato al muro dietro la porta, e quindi rendeva snodabile la spranga.
L’altro occhiello veniva inserito al “dente” fissato alla porta quando era chiusa, in modo da tenerla ben salda.
Un altro tipo di varrone invece di terminare ad occhiello, era forgiato a gancio che si innestava nell’occhiello fissato nell’anta della porta oppure a parete, come nella foto gentilmente fornitami dall’amico Matteo Borgia.
“U varröne” è sinonimo di solidità, robustezza.
I bambini nella notte di Ognissanti vi appendevano le calze vuote perché la mattina le avrebbero trovate colme di doni portati dalle anime dei defunti. La festa della Befana non si celebrava.
Recipiente cilindrico, bombato al centro, formato da doghe di legno usato anticamente per il trasporto di liquidi (principalmente vino, o acqua, ma anche olio, o birra) usato spesso in tandem, ossia in coppia, e legati ai due lati del basto di un somaro.
Il fabbricante di botti e barili si chiamava varlére.
Nel Regno delle due Sicilie il barile era unità di misura equivalente a litri 43,625030. Ma esistevano anche recipienti di capacità inferiore usati per usi non commerciali. Ho visto in Germania barili di questa capacità sul bancone della birreria da cui attingevano i loro boccali da litro, e sostituiti man mano che si svuotavano da altri barili posti al fresco nella sottostante cella.
Dalle nostre parti il barile da sella aveva una capacità di circa 16 litri (così diceva mia nonna, classe 1880, moglie del curàtolo del Barone Cessa). Raccontava – scusate la divagazione, ma è un aneddoto molto divertente di cui era stata testimone – che il figlio del Barone Cessa, con un barile pieno di vino fresco legato sulla sella del suo cavallo, raggiunse nel campo i mietitori, impegnati a falciare il grano, per portare loro un refrigerio nella calda giornata di luglio.
Uno dei lavoratori un po’ più sfacciato, lasciò la falce e chiese al Signorino se poteva fare “una sorsata” direttamente dal barile. Il Barone gli diede via libera. Il tizio, calò il barile dal cavallo, ne tolse il tappo di legno, lo accostò alla bocca riarsa, sorreggendolo con le due mani, e bevve a suo piacimento.
Quando pensò di aver bevuto abbastanza posò il barile per terra in posizione verticale!….e dal foro centrale non uscì nemmeno una goccia di vino perché il disgraziato aveva bevuto più della metà del suo contenuto!, ossia circa otto litri! Tutti rimasero allibiti, di sasso. Risata generale. Non so se poi costui abbia continuato a menare la falce quel giorno!
Prima dell’avvento del sistema metrico decimale imposto con l’unità d’Italia si usava il barile, il cui corrispondente in litri era molto diverso da città a città.
Attualmente viene usato nelle transazioni commerciale del petrolio greggio ed è pari a 42 galloni USA ovvero a 158,987294928 litri.
Vedi Ortografia e Fonologia
sulla home page.Curiosità linguistica: se diciamo “due barili”, pronunciamo düje varrüle. Ma se vogliamo indicarne uno solo cambia la consonante iniziale: ‘u uarrüle. Così tutte le parole che iniziano per “v”. So che questo fenomeno fonetico ha un nome, ma adesso non lo ricordo.
Antiestestica piega adiposa che si forma sotto il mento di persone molto grasse.
La voce è desueta, usata ormai solo dalle persone anziane, da cui l’ho sentita recentemente.
Deriva da vàrve = barba. Ciò non toglie che la pappagorgia sia portata purtroppo anche dalle donne affette da obesità.
Töne ‘nu sòrte de varvazzéle = Ha un’enorme pappagorgia.
Per curiosità: pappagorgia è di derivazione spagnola, come tanti termini manfredoniani, papar = pappare, trangugiare avidamente, ingozzarsi e gorga = canna della gola (nganne, cannarüle, cannarüte), lo stesso sostantivo latino gurgula, da cui derivano gola e gargarismo.
Che ha un’altezza inferiore alla norma, che si trova in posizione non elevata.
Stu murjille jì troppe vàsce = questo muretto è troppo basso.
Ovvviamente se riferito a persona indica che ha bassa statura, anche come s.m.
Si ricorre al vezzeggiativo vasciòtte = bassotto, sempre riferito alla statura di una persona.
Si usa il superlativo è vasce-vasce (‘nu chéne vasce-vasce = un cane basso basso); al femminile si dice vascia-vasce (‘na segge vascia-vasce = una sedia bassa bassa)
‘U vàsce = Basso, o al femminile, ‘a vasce = La bassa, è l’uso sostantivato dell’aggettivo, ed indica una persona che ha proprio queste caratteristiche.
Mo vöne ‘u vasce = Ora viene il Basso.
Attenzione: lo strumento musicale il Basso o il Contrabbasso, sono chiamati ‘U basse, e ‘u controbbasse (o, con termine più antico, catarröne).
Anche qui la B che diventa V è tipico della lingua spagnola degli Aragonesi, e della sua influenza sul nostro dialetto.
Usato solo per designare una persona, maschile o femminile, di statura non elevata.
Talvolta si usa il vezzeggiativo vasciulìcchje o al femminile vasciulècchje, ma questa opzione grammaticale non aggiunge nemmeno un centimetro alla statura carente dei soggetti cui si riferisce l’aggettivo.
L’aggettivo ha valenza un po’ canzonatoria verso queste personcine, le quali di solito esprimono auto-ironia sulla loro statura e perciò si rivelano più intelligenti dei loro denigratori.
Conosco un tipo un po’ bassino, ma spiritosissimo. Quando un buontempone l’ha voluto deridere, ha prontamente risposto: i crestjéne bbune ce mesórene fjine a nu mètre e mjzze: ‘u reste jì chjüne de mèrde! = le persone valide si misurano fino a un metro e mezzo: tutto il resto è (superfluo perché )pieno di cacca!
Un altro soggetto una volta prese uno scivolone, e raccontandolo agli amici disse: me ne sò jüte lunghe-lunghe ‘ndèrre = me ne sono andato lungo disteso per terra. Quel lungo era accompagnato da eloquente gestualità. Intelligente la battuta auto ironica che evidenzia il contrasto fra il suo essere corto e l’espressione lùnghe-lunghe, lungo disteso.
Pianta erbacea delle Labiate originario dalle regioni calde dell’Asia e dell’Africa, dalle foglie di odore assai grato. Dette foglie sono commestibili, e usate come condimento nella cucina mediterranea.
Esistono nel mondo varianti all’Òcymum basilicum Crispum, Cinnamon, Minumum, Dark Opal, Anise, ecc
Il succo delle foglie strofinato sulla pelle allontana le zanzare.
Proprietà terapeutiche: stimolanti, antispasmodiche, diuretiche, tonico-digestive, antisettiche, antinfiammatorie
Il termine ‘basilico’ deriva dal latino basilicum e questo dal greco basilikòn ‘regio’ e cioè (erba) regale.
Chiaramente dal dotto basilikòn con l’andare dei secoli si è giunti a vasenecöle = vaso-nicola perchè il popolino questo riusciva a captare e a ricordare.
Vatte lu frjiche! loc.id. = Vattelapesca
Somiglia, come costruzione verbale, a quello che la inesauribile Enciclopedia Treccani spiega sulla locuzione vattelappésca, cioè :
«[da vàttelo (imperat. di andare, rafforzato dalle particelle ti e lo) a pesca (pop. per «a pescare»)]. – Propr., «va’ a trovarlo, a indovinarlo; va’ a saperlo.»
Come dire chissà dov’è finito!
Nel nostro caso, alla lettera, caso corrisponde “vattelo a frecare”, nel senso che è ormai impossibile acchiappare, catturare, bloccare un ipotetico fuggitivo, scappato via fulmineamente di fronte alla prima avvisaglia di pericolo.
Ad esempio un gattino che sfugge al tuo tentativo di presa. O un monello che ha compiuto una birichinata e teme la tua reazione o la tua minaccia.
Nota fonetica:
Vatte lu frjiche! si pronuncia tutto d’un fiato appoggiando e prolungando l’accento tonico sulla penultima sillaba. come fosse scritto vattelufriiiiche! (ascolta cliccando sul triangolino bianco qui sotto).
Vavógghje s.m. = Bava
Saliva particolarmente viscosa che cola dalla bocca, spec. nei bambini molto piccoli, o anche in persone adulte o animali con alterate condizioni fisiche. Secrezione viscosa prodotta dalle lumache e da altri molluschi.
Figuratamente si definiscono al plurale vavógghje le poche goccioline di pioggia di una giornata uggiosa, o anche pioggerellina frammista a neve, leggero nevischio.