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Telére

Telére s.m. = Cassetta, telaio

Generalmente intendiamo quelle cassette con il bordo basso, una volta fatte di legno e ora di plastica, usate per contenere il pesce fresco.
Guardate il contenitore, prego, e non il contenuto!

‘Nu telére de cechéle = Una cassetta di cicale (cicale di mare = canocchie).

Si usava chiamarle anche spasètte.

Quelle che contengono la frutta in un solo strato con un termine francese sono dette anche platò (plateau, pron. plató, con la ó stretta). Ora le fanno di legno, di plastica e anche di cartone.

Il nome somiglia all’italiano “telaio”, ma se vogliamo dargli questa connotazione intenderemo l’intelaiatura della bicicletta: ‘u telére d’a bececlètte.

Esiste anche il telaio da ricamo.

Ricamo-Telaio2

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Tembré

Tembré v.t. = Temperare o temprare, impastare.

1) Tembré = temperare.
Sottoporre a tempra vetri e metalli per conferire durezza e resistenza.

Tembré ‘u fjirre = Temperare il ferro.
Metodo artigianale per temprare un oggetto tagliente (piccone, vomere, falce, scalpello ecc.). Si scalda nella forgia la parte interessata fino  all’incandescenza, e poi la si raffredda rapidamente con immersione in acqua (o in olio minerale).
Credo che il fenomeno dell’indurimento sia dovuto alla perdita di una parte di carbonio contenuto nel ferro dolce, per effetto del calore: quello che resta è acciaio, quindi più duro.

2) Tembré ‘u péne = Panificare.

Tembré ‘u péne =Impastare farina di frumento con acqua lievito e sale. L’operazione successiva è detta škané ‘u péne = spezzare la massa e farne delle pagnotte (‘i škanéte). Infine avviene ‘a ‘nfurnatüre = la cottura nel forno.

Cungè, damme ‘na zènne de crescènde ca cré matüne jà tembré = Concetta, dammi un tozzo di lievito perché domani mattina devo panificare.

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Temènze

Temènze sf = Timore, soggezione, rispetto, riguardo

Indica uno stato d’animo interiore, come di trepidazione, di soggezione, di rispetto, di apprensione.

Un sostantivo che sta scomparendo. Peccato perché ha un bel suono ed è comprensibile anche se lo si sente per la prima volta, a causa della stessa radice di “temere” da cui deriva.
Era usato nell’italiano antico: infatti si trova proprio “temenza” a partire da Boccaccio nel XIV secolo, e credo fino agli scrittori del Novecento. Trovo che sia un termine elegante.

Nel nostro dialetto era usato fino alla generazione precedente l’attuale, ossia fino agli ani ’60. .

Nen töne temènze de nesciüne = Non ha timore di nessuno.

Ricordo che mia madre quando mi rimproverava per qualche marachella, commentando il mio atteggiamento un po’ di sfida, diceva che io avevo pavüre senza temènze = paura senza timore. Ossia che la mia “paura” era solo finzione…
Ma ero in età pre-scolare e mi fu risparmiata più di una volta la meritata sculacciata.

Ringrazio l’amico Nardino Mastroluca per il prezioso suggerimento.

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Tenemènde

Tenemènde v.t. = Guardare, osservare

Ho sentito anche la versione tenemendì.

Verbo andato quasi in disuso. Ora è adoperato solo dagli ultra 70enni. con il significato di guardare, osservare attentamente, fissare qualcuno o qualcosa come per memorizzare (tenere a mente) ogni particolare.

Chessò ca tenemjinde? = Cosa hai da guardare?

Tenemjinde a quèdde! = Osserva quella (bella ragazza)!

Tó adda tenemènde accüme fàzze jüje, se no nen te mbére méje = Tu devi guardare attentamente come opero io, altrimenti non impari mai (il mestiere). Il consiglio del bravo artigiano al suo allievo.

Anche in napoletano antico su usava questo verbo. Ricordate la celeberrima canzone “Torna a Surriento”?

Vide ‘o mare quant’è bello!
Spira tantu sentimento.
Comme tu a chi tiene mente
Ca scetato ‘o faje sunnà.

Vedi il mare come è bello!
Ispira molto sentimento.
Come te che a chi guardi
Da sveglio lo fai sognare.

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Tenetüre

Tenetüre s.f. Asperità, sporgenza.

A volte è pronunciato tinetüre.

È un termine in uso specifico nella marineria locale.

Indica precisamente un’asperità dal fondo marino roccioso (detto comunemente aspre), che crea impedimento all’avanzare delle reti a strascico. Talvolta le sventra perchè restano impigliate sul fondo.

Ma ormai da tempo i nostri pescatori sanno dove calare le reti per recuperarle indenni! Sono lupi di mare che conoscono i fondali palmo a palmo, esanno benissino come evitare queste tenetüre.

Secondo me il sostantivo può derivare dal verbo tenì = trattanere, bloccare; quindi qualcosa che tiene, che impedisce di salpare le reti, impigliate sugli scogli del fondale.

Ringrazio vivamente il lettore Antonio Sorbo per il prezioso suggerimento fornitomi.

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Tenì ‘a chépe all’allèrte

Tenì ‘a chépe all’allèrte loc.id. = Avere la testa libera da preoccupazioni

Vivere spensieratamente, senza crearsi problemi.

A Potenza diconotiene la capa a lu scjuóco = ha la testa rivolta al gioco, proprio come i bambini.

Vjéte a tè ca tjine sèmbe sta chépe all’allèrte! = Beato te che hai sempre codesta testa scevra da crucci.

All’allèrte = in allerta, desta, sveglia.

Ci sono molti modi di tenere la testa:
– tenì ‘a chépa càvete= avere la testa calda = essere litigioso, facilmente irritabile.
– tenì ‘a chépa frèške = avere la testa fresca, libera da serietà e da problemi = essere allegri, pazziarjille.
– tenì ‘a chépa tòste = avere la testa dura = essere testardo e cocciuto.
– tenì ‘a chépe nglòrje = avere la testa in gloria, fra le nuvole = essere distratto e magari inaffidabile.
– tenì ‘a chépe de càzze = no comment.

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Tenì ‘a chiéva gròsse

Tenì ‘a chiéva gròsse loc.id. = Avere la chiave grossa.

Ovviamente non per aprire materialmente i grossi portali…

Il significato reale del detto è: avere come protettore un importantissimo personaggio, che spiana tutte le strade, elimina le difficoltà, favorisce (magari anche interessatamente) la carriera di qlcn. In una parola chi ha la chiave grossa è un raccomandato di ferro.

In lingua si direbbe: “Avere i Santi in Paradiso”.

Il fenomeno della raccomandazione è decisamente deprecabile dal punto di vista morale. Se qualcuno deve progredire deve far valere i propri meriti e non la ‘chiave grossa’! La “chiave” favorisce uno, ma sicuramente lo fa a danno di un altro, che magari ha maggiori capacità: e questo non è accettabile in una società civile dove purtroppo prosperano i faccendieri di questo genere.

La raccomandazione detta anche “una spintarella” o più esplicitamente un “calcio in culo” che tutti sono disposti a ricevere, metaforicamente s’intende, per il proprio tornaconto.
Fertüne e cavece ngüle…

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Tenì ‘a morte addröte ‘u cuzzètte

Tenì ‘a morte addröte ‘u cuzzètte loc.id. = Trovarsi in imminente pericolo di morte.

Alla lettera significa avere la morte dietro il collo, pronta a ghermire la povera vittima.

Cuzzette è l’occipite, proprio la parte posteriore del collo.

In italiano si dice “sentire il fiato dietro al collo”, ossia avere sentore di un avversario o di un pericolo che ci insegue e sta per agguantarci.

Nel dialetto si parla proprio di morte, che è vicinissima sia per la salute cagionevole, sia per l’età avanzatissima, sia per un’impresa rischiosa, che mettono tutte a repentaglio la vita di qlcn.

Qualche esempio? Un malato terminale, un ultranovantenne, un artificiere, un soldato combattente, ecc…

Ecco, costoro tènene sèmbe ‘a morte addröte ‘u cuzzètte. = sono sempre vicinissimi alla morte.

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Tenì ‘i cendrüne a travèrse

Tenì ‘i cendrüne a travèrse  loc.id. = Macchinare, tramare, essere malintenzionato

Va bene anche tenì i cendrüne de travèrse.

Una volta chiarito cos’è questo cendröne, cerchiamo di capire perché questi chiodi stanno di traverso…

La locuzione vuol dire che qualcuno sta macchinando qualche azione a danno di altri. Insomma costui ha pensieri bellicosi, o intenzioni fraudolenti.

Quindi – per il parlare figurato – significa che non va tutto liscio. Ossia metaforicamente, nell’asse di legno spunta la testa di qualche chiodo perché non era stato conficcato bene. Il chiodo non è sceso dritto ma è andato di traverso. Se l’azione malvagia è grossa, il chiodo diventa in proporzione un cendröne.

Invito i lettori a dare una spiegazione, o a scrivere una replica se conoscono l’origine, di questa locuzione che sia più plausibile o più calzante. Grazie!!!

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Tenì ‘i möde

Tenì ‘i möde loc.id. = Avere tatto, essere avveduto.

La traduzione letterale “avere i modi” è troppo riduttivo, limitando tutto all’esteriorità dell’atto.

Il significato vero è quello di possedere senso dell’opportunità, accortezza nel parlare o nel modo di comportarsi, avere gentilezza, tatto, prudenza, modertatezza, ecc.

Al primo posto metterei, se siete d’accordo, la dote dell’educazione.

Insomma un soggetto amabile sotto ogni punto di vista.

Giuànne me piéce! Códde töne ‘i möde! = Giovanni mi attizza! (suscita in me una grande passione per il suo aspetto e per i suoi modi accorti e premurosi)

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