Categoria: S

Scasé

Scasé v.i. = Traslocare

Portar via i mobili e le masserizie da una casa per andare ad abitarne un’altra.
Attualmente per traslocare possiamo avvalerci di Aziende specializzate che usano autocarri imbottiti e che dispongono di imballatori e stivatori  espertissimi.
Una volta, per i traslochi nella stessa città,  si noleggiava dal carradore un carrettino spinto a braccia e si impegnavano tutti i membri della famiglia per smontare-caricare-trasportare-scaricare-rimontare le poche masserizie delle modeste abitazioni di una o due stanze ubicate quasi tutte a piano terra (i cosiddetti “sottani”).

Esiste il sost. ‘Nghése e schése= alloggia-trasloca, per definire qlcn che cambia spesso casa perché sfrattato per morosità. Un poveraccio insomma.

Códde jì ‘nu nghése e chése = costui non ha fissa dimora, è uno sventurato, sfrattato per morosità.

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Šcaùtte

Šcaùtte (o Šcavùtte o Šcavùrte) s.m., agg. = Tozzo, tarchiato

È un termine ormai desueto. Designava una persona bassa, tarchiata, forzuta, come i cavalli “schiavi”, ossia provenienti dall’antica Slavonia o Schiavonia.
Così era intesa una Regione geografica e storica della Croazia orientale, che aveva stretti rapporti commerciali con la Repubblica di Venezia.
Per estensione erano detti “Schiavoni” o “Schiavi” anche gli abitanti slavi (non latini) provenienti dalla Dalmazia, sotto il dominio della Serenissima, considerati ottimi soldati, chiamati “i fedelissimi di San Marco”.
Ricordo che a Venezia esiste tuttora la “Riva degli Schiavoni”, adiacente Piazza San Marco, così chiamata perché vi approdavano per i loro commerci le navi mercantili slave, ed erigevano le bancarelle per la vendita dei loro prodotti.

Dei “cavalli schiavi”, muscolosi e pieni di forza parlano diversi documenti storici che provengono da Dubrovnich (la bellissima città adriatica detta “Ragusa di Dalmazia” dai tempi della Serenissima).

Sappiamo che quando spira il vento freddo dai Balcani le nevicate arrivano fin sulla costa adriatica.
Anche quel vento dagli antichi abitatori di Puglia e Basilicata era chiamato Šcavenidde”, ossia proveniente dalla Schiavonia.

Ringrazio di cuore il dott.Matteo Rinaldi per avermi fornito tutti i dati utili alla compilazione di questo articolo.
Mi ha fatto venire in mente un compagno di giochi, dalle parti di della Chiesa di S. Francesco, che era detto proprio Šcavùtte (anche Šcavùrte assonante con urte = orto). Ora collego il perché: era nostro coetaneo, ma a differenza di noi mingherlini, costui era grosso, forte e ben piantato!

Nota linguistica.
Vi ricordo che la consonante “s” accentata con il segno diacritico della “pipetta” (tecnicamente detta hacek), usata in alcune lingue straniere slave o nordiche, ossia la “š” si deve leggere come il francese ch o l’inglese sh, o l’italiano “sce” o “sci” (scena, scemo, sciarpa, sciroppo, ecc.).

Un esempio conosciuto anche da noi è il famoso marchio «Škoda» (auto, camion e motori marini).

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Scavedé

Scavedé v.t. = Bollire, cuocere, lessare

Far cuocere del cibo in liquido bollente.

I fabbri usano questo verbo, o il similare cavedjé, per indicare l’azione di porre un ferro nella brace della forgia per renderlo incandescente e poterlo battere fino alla forma desiderata.

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Scavetatjille

Scavetatjille s.m. = Scaldatello

È corretta anche la versione scavedatjille.

Biscotto salato al finocchietto, tipico della Puglia e della Basilicata.

In quest’ultima Regione, a Potenza,  sono conosciuti come “òssere de muórte” = ossa di morti, perché al tatto e al colore sembrano ossa… umane.
Per ottenerli croccanti bisogna impastare la farina con acqua, olio di oliva, semi di finocchio e sale.
Se ne ricava un cannello lungo che viene tagliato a circa 18 cm.
Ognuno di questi segmenti viene acciambellato.
Quando tutti le ciambelle sono confezionate vengono prima sbollentate, poi scolate e messe ad asciugare su un canovaccio.
Dopo di che vengono disposte in una teglia larga (detta ‘a ramöre = la lamiera) per la successiva cottura in forno.
Il nome dei biscotti, usato generalmente al plurale (i scavedatjille = gli scaldatelli), deriva dal fatto che sono stati scavedéte = bolliti.Ottimi quelli del tarallificio “Nella” Scusate la pubblicità, ma sono proprio uguali a quelli che faceva mamma mia jìndrechése.

Nel resto della Puglia, oltre a quelli classici ai semi di finocchio, si producono anche  quelli al pepe, al peperoncino, alla salvia, al timo o alla maggiorana, e di formato mignon, a nodini o treccine.
Insomma la fantasia non manca ed il loro successo è indiscusso.

(foto tratta dal sito: www.destinazionegargano.it/)

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Scavezachéne

Scavezachéne s.m. = Scalzacani, miserabile, poveraccio.

Può significare anche “persona poco valida dal punto di vista professionale”.

Penso subito a suonatori principianti senza talento e a quelli che sanno decantare la loro abilità solo a parole. Millantatori.

Il termine scalzacane, o anche al plurale scalzacani, dispregiativo allo stato puro, fu introdotto nella lingua italiana addirittura da Pietro l’Aretino (1492-1556). Secondo un’ ipotesi del dizionario etimologico Cortelazzo-Zolli, «scalzare» significa anche «scalciare, tirar calci», quindi «scalzacane» sarebbe colui che tira calci ai cani e che sa fare solo quello.

Lo troviamo in tutti i dialetti d’Italia, ognuno con la sua pronuncia tipica.

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Scazzamurjille

Scazzamurjille s.m. = Gnomo, folletto

È nella credenza popolare un dispettoso spiritello domestico.

Si dice che costui di notte si pone sullo stomaco del dormiente e lo opprime, divertendosi delle sue sofferenze.

Se il malcapitato riesce a rubargli il copricapo rosso, il folletto piange e ne implora la restituzione. In cambio è disposto a dare un bel po’ di monete d’oro.  Quelli che fortunatamente ci sono riusciti…sono rimasti ovviamente anonimi.

Questo quadro di Johann Heinrich Füssli ( Fuseli – 1781, Detroit Institute of Arts. fonte Wikipedia) intitolato “L’incubo” rappresenta  proprio un pesante gnomo seduto sullo stomaco della fanciulla .

Io credo  che il peso sullo stomaco era causato dal piattone di erbe campestri cucinate con abbondante aglio soffritto.

In Abruzzo è chiamato Mazzamurièlle.  In Basilicata lo chiamano lu munacìdde, il fraticello, il monachino e tutti hanno gli stessi atteggiamenti di quello pugliese.

Riporto qui un brano della famosa giornalista Matilde Serao (Leggende napoletane 1881, Ed. Sarago).: «Chiedete ad un vecchio, ad una fanciulla, ad una madre, ad un uomo, ad un bambino se veramente questo munaciello esiste e scorrazza per le case. Vi faranno un brutto volto, come lo farebbero a chi offende la fede. E ti va bene che non finisci sgarrupato».  A Napoli lo chiamano “munaciello”, che sarebbe “il monaco con l’uccello” perché un poco “rattuso” e guardone di belle fanciulle e di amanti in amplesso»

Ecco i vari nomi regionali (fonte Wikipedia) (clicca→qui) affibbiati al nostro simpaticone:

  • Carcaluru
  • Laurieddhu
  • Laùru
  • Mazzamauriello
  • Mazzemarille
  • Monacello
  • Moniceddhru
  • Munaciedd
  • Mnacidd
  • Munachicchio
  • Scarcagnulu
  • Scattamurreddhru
  • Scanzamurieddhru
  • Scazzamauriegghiə
  • Scazzamauriegghij
  • Scazzamauriello
  • Scazzamurrill
  • Scazzambrridd
  • Scazzamureggi
  • Sciacuddhri
  • Sciacuddhruzzi
  • Tiaulicchiu
  • Uru
  • Urulu

Una filastrocca materana tradotta in lingua, dice:

«Monacello monacello
Fatti prendere il cappellino rosso
Che mi porterà tanta fortuna
Porterai via la mia sventura
Dal petto togli l’affanno
Dalla testa, il dolore grande.»
Potrebbe essere un'illustrazione raffigurante il seguente testo "U Mnacidd Mnacidd, mnacidd fott pigghié u cppln riss ca ma prté tanta frtn, ta prté la sfrtina maj, l'affonn, dalla kep u dlor gronn."
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Scazzé l’öve

Scazzé l’öve loc.idiom. = Camminare guardingo, cautamente.

Alla lettera significa rompere, schiacciare le uova.

La frase potrebbe adattarsi alla massaia o al cuoco che prepara un intingolo.

Invece si indica un modo di procedere misurato e cauto. Potrebbe trattarsi di impedimento dovuto a malattia: allora non c’è nulla da canzonare.

Se invece si usa come sfottò vuole intendere che il soggetto cammina come se avesse timore di rompere con le sue scarpe delle ipotetiche uova sparse sul terreno: quindi mette un passo qui, poi se si è rassicurato, mette un altro passo là.

Camüne spìccete, assemègghje angöre scazzé l’öve! = Cammina, sbrigati, mi sembri che stai attento ad evitare di rompere le uova.

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Scazzeché

Scazzeché v.tr. = Stuzzicare, stimolare

Specificamente si riferisce all’appetito.

Scazzeché l’appetüte = stuzzicare l’appetito.

Oh, màngiatìlle ‘stu scavetatjille ca fé scazzeché l’appetüte = Ehi, mangiatelo questo scaldatello per stimolare l’appetito.

Attenti all’accento. Anticamente si usava il sostantivo maschile ‘u scàzzeche  per indicare l’antipasto, o uno spuntino vario e improvvisato.
Si tratta di una serie di stuzzichini (olive, formaggi, affettati, sottaceti, sottolio, verdure grigliate).

È andato completamente in disuso (il termine, non gli stuzzichini!)…

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Scazzètte

Scazzètte s.f., sopr. = Zucchetto

Con questo nome vengono identificati alcuni tipi di copricapi.

1) Il pileolo, ossia lo zucchetto, quel copricapo a forma di calotta emisferica a otto spicchi, indossato dagli ecclesiastici. È di colore diverso a seconda del loro grado gerarchico, usato dagli alti prelati cattolici sotto la mitra; bianco per il papa, porpora per i cardinli, rosso per i vescovi. Quello nero è usato dagli Ebrei nelle Sinagoghe, sia dai Rabbini, sia dai fedeli;

 

 

2) la cuffietta dei neonati, con due nastri che si annodavano sotto il mento per evitare che cadesse. Era diffusa l’usanza di fé lavé ‘a scazzètte=far lavare la cuffietta da qlcu.

Il gesto equivaleva alla designazione ufficiale della futura madrina di battesimo. Rarissime volte la prescelta rifiutava di diventare la comare di Battesimo: accettava, e come gesto d’amore concreto verso la creatura, si prendeva cura di lavare a casa sua la prima cuffietta indossata dal/la figlioccio/a;
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3) il berretto da notte di lana grossa fatto all’uncinetto, che gli anziani indossavano per proteggersi dal freddo durante il sonno in inverno. In italiano dicesi papalina.

Esiste anche un soprannome Scazzètte attribuito alla fam. Sportiello

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Scazzìlle

Scazzille s.m. = Cispa

Secreto della congiuntiva che si raggruma sul bordo e agli angoli delle palpebre, spec. durante il sonno o negli stati patologici dell’occhio.

Quanto qlcu è affetto da questa patologia (congiuntivite) si dice in dialetto che ha l’ucchje pescéte = gli occhi… pisciati!

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