Categoria: S

Scappellàrece

Scappellàrece v.i. = Scappellarsi

Oltre al significato letterale di salutare togliendosi il cappello, in segno di ossequio o di deferenza, significa anche fare il leccapiedi a qualche pezzo grosso per ottenere favori per sé o per altri.

Me so’ jüte a scappellé per fàrete trué ‘nu poste! = Sono andato ad umiliarmi per farti avere un impiego, un lavoro.

Ejü mò m’agghja jì a scappellé mbàcce a jìsse? Ma mànghe ‘na vòlte!= Ed io ora dovrei andare a inchinarmi davanti a lui (ossequiarlo)? Ma nemmeno per sogn

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Scapulé

Scapulé v.i. = Cessare di lavorare

Chiudere la giornata di lavoro.
Smettere di lavorare o studiare, uscendo di bottega o da scuola

Jògge scapuléme chjù tarde, c’hamma fenèsce d’appezzeché ‘i màneche = Oggi cessiamo più tardi (di lavorare), ché dobbiamo ultimare di attaccare le maniche (al vestito)

Qlcu pronuncia scapelé.

È un verbo che viene dritto dal latino excapulare ossia: EX = fuori e CAPULUM = cappio. Quindi excapulare = uscire dal nodo, sciogliersi, liberarsi, venir fuori.

(Ringrazio il Prof.Gaspare Cirròttola per avermi fornito l’etimologia di questo verbo).

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Scaramöne

Scaramöne s.m. = Scarafaggio, blatta

Lo scarafaggio (Blatta orientalis) è un insetto della fam. Blattoidea tra i più comuni e fastidiosi, capaci di nutrirsi di ogni tipo di alimento ed in caso anche di una grande varietà di materiali organici.

Vivono generalmente nelle case più vecchie e fatiscenti.

Sono attivi principalmente durante la notte, mentre di giorno si riparano nelle crepe dei muri, intercapedini soprattutto in cucine, bagni, perché prediligono i luoghi umidi.

Al plurale fa scaramüne. Il nome deriva dal greco skarabos.

L’unico modo per combatterli una volta era quello di rincorrerli e schiacciarli con la suola della scarpa… (ózze!). Con l’avvento delle truppe alleate alla fine della guerra, si sono diffuse nella città delle bombolette spray di insetticidi al DDT, e una puzzolentissima polvere (‘a pòlve ‘i scaramüne) che si spargeva sul pavimento, agli spigoli con le pareti.
Ora si adopera, nei rari casi si infestazione domestica di formiche e scarafaggi, l’efficientissima Baygon, polvere e spray (scusare la réclame).

Mi viene in mente il notissimo proverbio napoletano: Ogne scarrafone è bella a mamma soja = ogni scarafaggio (per quanto ripugnante) è bello a(gli occhi di) mamma sua

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Scaramöne-a-pallotte

Scaramöne-a-pallotte s.m. = Scarabeo stercorario

Insetto del genere Geotrupe (Geotrupes stercorarius) dal corpo tozzo caratterizzato da rivestimento coriaceo di colore scuro e lucido. La testa, enorme, sembra quasi staccata dall’addome, come la motrice di un TIR dal suo rimorchio.

E’ copròfago (= che mangia gli escrementi di bovini ed equini, puah!). Il suo habitat naturale si estende sulla fascia delle dune sabbiose.

La bestiolina è attiva nelle ore più calde della giornata. Grazie all’odorato va alla ricerca di sterco, che raccoglie formando una pallina che poi fa rotolare con le zampe posteriori fino all’imboccatura della tana.

La “polpetta” viene consumata subito ma, all’epoca giusta, funge anche da incubatrice per le uova, in modo che alla loro schiusa, le larve trovino alimento pronto e possono penetrarla fino al loro sviluppo completo.

Ho fatto una profonda ricerca e mi sono fatto una bella cultura di merda!

Quando vediamo qualcuno indaffarato a svolgere un’attività che richiede grandi sforzi muscolari, lo si paragona a nu scaramöne attórne alla pallòtte.

Il lettore Enzo Renato mi suggerisce che questo animaletto era popolarmente conosciuto anche con il simpatico nome di Papà-Giuànne = Papà-Giovanni.

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Scaravàtte

Scaravàtte s.m. = Vetrinetta, teca

Le nostre nonne lo serbano ancora tanto caro questo scaravàtte.

Si tratta si una vetrinetta di legno lucido intagliato,  ovale, foderata all’interno di velluto rosso o celeste, fatta rigorosamente a mano dai nostri bravi artigiani.

Si appendeva sulla parete, dalla parte della testata del letto matrimoniale, e conteneva un bel Crocifisso d’argento. La croce suddivideva lo spazio in quattro quadranti. Su ogni quadrante si fissava una magnifica filigrana d’argento. Al centro di ogni filigrana poteva esserci una medaglia con l’immagine di un Santo protettore o semplicemente un cuoricino con le iniziali degli sposi (VR e GC ad esempio, per Vincenzo Racioppa e Grazia Clemente). Due filigrana per le iniziali e due per le medaglie.

Ho letto sul Vocabolario Italiano Devoto-Oli la seguente definizione:

«Scarabàttolo (o scarabattola). Piccolo mobile, sorta di stipetto a cristalli, per oggetti pregiati per valore e per fattura.
Part., edicola a vetri in cui un’immagiune sacra, general.scolpita, è esposta alla venerazione dei fedeli.
(Prob. dallo spagnolo escaparràte incrociato con l’it.carabàttola).»

Escaparate nella lingua spagnola.significa “vetrina”

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Scarciòfele

Scarciòfele s.f.. = Carciofo

Pianta rizomatosa perenne, con infiorescenza a capolino, che, quando è in boccio, produce un gustoso ortaggio. In pratica è un fiore quello che mangiamo.

Famiglia Asteracee, genere Cynara, specie cardunculus scolymus..

Apprezzatissimo, quest’ortaggio versatile può prepararsi in mille modi.

Quello che mi ha incuriosito e sorpreso è il carciofo alla brace. Si allargano le foglie e si pone il carciofo sulla griglia a testa in giù. Poi si spiluccano le foglie ad una ad una intingendole in olio. Il carciofo ai ferri non sazia, perché la parte edule è scarsa, ma dà la sensazione di mangiare bruscolini.

Non chiamateli carciöfe per favore. O “i scarciòfele”, alla mambredunjéne, o “i carciofi” in italiano.

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Scardapèlle

Scardapèlle s.f. = Pesce salato o essiccato

Generalmente i nostri nonni si riferivano a sardine e alici sotto sale.

Questo procedimento di conservazione – strati di acciughe e strati di sale tenuti sotto un peso per favorirna la fuoriuscita di liquido – disidratava i pesci li rendeva quasi solo pelle e lisca.

Credo che ìi scardapèlle siano le sardine e le alici che hanno superato il punto giusto di frittura, e quindi involontariamente diventate croccanti, a causa della riduzione dello spessore del filetto attaccato alla lisca centrale.

Figuratamente in forma aggettivata scardapèlle designa una persona molto magra. Come dire: pelle e ossa.

Ringrazio il lettore Amilcare Renato per il suggerimento.

Invito i lettori a replicare  qualora avessero una definizione più azzeccata.

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Scarfògghje

Scarfògghje s.f. = Tegumento

[da Wikipedia: In biologia e anatomia, viene genericamente definito tegumento qualsiasi membrana o tessuto di varia natura che svolga una funzione di rivestimento e protezione di un organo o di un intero organismo].

Specificamente in dialetto si definisce scarfògghje quella pellicola vegetale che ricopre ogni strato dei bulbi in genere: di cipolla, di muscari (lambasciüne). Al plurale la “o” si pronuncia stretta: ‘i scarfógghje.

La pellicina interna è piuttosto morbida, quasi diafana.

Quella esterna quando la cipolla viene appena sterrata è ancora umida. Dopo un po’ si asciuga, protegge gli strati inferiori, ma è ugualmente sottile e fragile.

Gli anziani spesso ci dicevano che la nostra vita va riguardata perché essa è fragile e delicata come ‘na scarfògghje di cipolla. Era l’immancabile invito alla prudenza, che partiva da persone considerate sempre maestri di vita, un’importente fonte di insegnamento per noi ragazzi della nostra epoca.

Questo monito sarebbe quanto mai necessario adesso, verso la gioventù moderna che non riconosce alcun punto di riferimento morale, e si lascia andare, cedendo alle lusinghe dell’alcol, della spericolata velocità, dai rave-party, dalla droga… La cultura della morte, non della preziosa e irripetibile vita.

Mi voglio fermare qui: io mi devo occupare solo della parte letteraria di questa rubrica, senza sconfinare (troppo) in altri campi! Sono partito dalla foglia di cipolla e sono aapprodato nell’etica.

Ringrazio Tonino Starace per il suggerimento di scarfògghje.

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Scarièlle

Scarièlle s.f. = Tarallo pasquale

Le scarièlle sono confezionate con farina, zucchero e uova. L’impasto viene tirato a ciambella, cotta al forno nella solita ramöre larga imburrata.

In Terra di Bari e nel Salento le chiamano scarcelle o anche scarcedde.

Le ciambelle, larghe anche 20 cm, vengono spalmate di giulebbe (impasto cremoso di chiare d’uovo montate a neve e abbondantissimo zucchero) e cosparsi di confettini colorati.

In tal modo diconsi ‘ngeleppéte = glassate

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Scarpiöne

Scarpiöne s.m. = Geco

Il geco (Tarentola mauritanica) è un piccolo rettile simile a una lucertola, appartenente alla fam. dei Geconidi di color grigiastro o bruno, innocuo e insettivoro.

Ha abitudini notturne. Ha caratteristiche dita a spatola munite di lamelle adesive che gli permettono di arrampicarsi sulle pareti e muoversi velocemente.

Tipico delle zone temperate mediterranee. Era erroneamente ritenuto velenoso per il suo aspetto orripilante, molto diverso dalle fattezze aggraziate e guizzanti della mamàngele =  lucertola.
Difatti di qlcu che non aveva una sembianza aggraziata, si diceva: Jì ‘nu scarpiöne = È brutto come un geco dei muri.

In Campania è detta lacerta ‘mbracedata (lucertola guastata, corrosa).

Il geco comune si trova nelle abitazioni situate in ambienti caldi e umidi. Visto che è un rettile innocuo, è bene non allontanarlo poiché si nutre di insetti fastidiosi per l’uomo come falene, mosche, moscerini e zanzare.

Nulla a che vedere con lo scorpione velenoso cui assomiglia solo nel nome.

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