Categoria: S

Sciuppé

Sciuppé v.t. = Spiantare

Per estensione sconficcare, estirpare, sradicare, chiodare, cavare un dente, depilare le sopracciglia, ecc. Tutti questi verbi chiedono decisione ed una certa energia nella loro esecuzione.

Lunedì vònn’èsse sciuppéte i féfe = Lunedì bisogna estirpare le piante delle fave.

Sciuppéme i rafanjille = Sradichiamo i ravanelli.

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Sciuppé ‘u còrje

Sciuppé ‘u còrje loc.id. = Uccidere

Alla lettera: estirpare il cuoio (capelluto)

È un gesto da pellerossa Sioux o Comanches, che veniva eseguito sul cadavere del nemico vinto in battaglia, scuoiandone il cranio dal cuoio capelluto. Lo scalpo del nemico era un trofeo ostentato per accrescere il proprio prestigio di guerriero.

Da noi, molto meno efferati, il verbo era usato come una minaccia della mamma verso i pargoli irrequieti:

Stàteve fèrme, ca se no vènghe allà ve sciòppe ‘u corje! = State buoni se potete…

Il maestro artigiano, quando l’allievo con metteva in atto a regola d’arte i suoi insegnamenti, mentre, spazientito dal suo tardo comprendonio, simpaticamente gli assestava uno scappellotto, gli diceva a mezza voce:

Gghja quèdda mòrte ca ne te sciòppe ‘u còrje! = Maledizione a quella morte che non viene proprio ora a farti la pelle!

Corje significa cuoio in genere, anche quello usato per fabbricare borse, cinghie e scarpe.

Ringrazio Vito e sua madre per il suggerimento.

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Sciurté

Sciurté v.t. =  scegliere o contare le bestie.

Il verbo è tipico degli allevatori, usato per designare la conta delle bestie, fatte passare una alla volta attraverso l’accesso dell’ovile, o una strettoia,  o il cancello della stalla.

Significa anche scegliere fra i capi di aggruppati di bestiame, e metterne da parte i migliori.

Presumo che derivi da “sortire”, un verbo antico rimasto nel francese moderno sortir = uscire.

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Sciuscé

Sciuscé v.i. = Soffiare

Soffiare nel senso specifico di soffiare sul fuoco per attizzarlo, o soffiare dal naso per liberarlo dal muco.

Si usa anche una forma riflessiva sciusciàrece = soffiarsi, ventilarsi, arieggiarsi

Scióscete ‘u nèse, nen surchjànne = Soffiati il naso, non tirar su.

Fé càvete, scióscete p’u vendàglje = Fa caldo, arieggiati col ventaglio.

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Sciuscjille

Sciuscjille s.m. = Pastone.

Impasto poco sodo di crusca e brodaglia, o pane vecchio ammollato nell’acqua di bollitura della pasta (sciòttele), dato come mangime alle galline allevate in casa.

Talvolta capitava che il capo famiglia, vedendo che la cena si presentava tutta brodosa e per niente di sostanza, dicesse:
e che ‘mma fé quà, u sciuscjille ‘i jallüne ? (E che dobbiamo fare qui, il pastone delle galline?).

Qualcuno più ruspante avrebbe detto: e che jì ‘stu sciacquapecciöne= E che cosa è questa sbobba?

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Scjìnere (o jìnere)

Scjìnere (o jìnere) s.m. = Genero

Scjìnere (o jìnere) s.m. = Genero

Il primo termine è più antico, il secondo è più recente, meno rozzo.
Il significato è semplice: si tratta del marito della figlia, il genero.

Alcuni, per un fenomeno linguistico chiamato metatesi, ossia spostamento di vocali e consonanti all’interno di un termine, pronunciano scjirne o jirne. Altri esempi di metatesi: frabbeche, crépe, pröte, struppjé = fabbrica, capra, pietra, storpiare.

Se si riferisce al proprio genero, si dice scjirneme,o jirneme, oppure, con parlata moderna, ‘u jinere müje = mio genero.

Se si tratta del genero di chi ascolta, si dice: scjirnete o jirnete, ‘u jinere tüje.

Ovviamente al femminile fa nöre, nòrete, nòreme (anche ‘a nöra möje) = nuora, tua nuora, mia nuora.

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Scjitte

Scjitte s.m. = Vomito

Il contenuto gastrico espulso in modo totale o parziale dalla bocca per indisposizione o mal d’auto.

I ragazzi moderni dicono ‘u vòmete. Ma loro hanno fatto le scuole dell’obbligo mentre i vecchi pescatori no. Finché saranno vivi questi ultimi circolerà la versione originale. Non dimentichiamola.

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Scolle

Scòlle s.f. = Cravatta

Il termine deriva dal latino “ex collum“, cioè, ciò che scende giù “dal collo”.(Ringrazio il prof. Michele Ciliberti  per questa preziosa precisazione)

Accessorio dell’abbigliamento maschile costituito da una striscia di stoffa colorata più larga a una delle due estremità, che viene annodata intorno al collo sul davanti allo scopo di nascondere la fila di bottoni della camicia, ritenuti antiestetici nel 1700.

Diminutivo scullüne s.m. (se preferite scriverlo in altro modo suggerisco scullïne)= Cravatta a farfalla, papillon.
Sinonimo cravattïne o cruattïne.

In origine era un fazzoletto da collo, ricamato o inamidato, usato per coprire la scollatura (da cui il nome “scolla” ripreso e tramandatoci dall’800) degli abiti maschili e femminili. Quindi, se vogliamo, il nostro termine scolle è più antico del settecentesco cravatte.

Infatti il sostantivo cravatte (usato ora al posto di scolle ) deriva dal francese cravate, derivante a sua volta dal termine croato hrvat, che vuol dire appunto “croato”. Infatti i cavalieri croati, assoldati da Luigi XIV, portavano al collo una sciarpa. In origine era apostrofata come “sciarpa croatta”, poi abbreviata in croatta e dunque in cravatta.

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Scòmbre

Scòmbre s.m. = Scombro

Lo sgombro (Scomber scombrus), comunemente chiamato anche “maccarello”, è un pesce azzurro della famiglia degli scombridi, molto diffuso nel Mediterraneo e nell’Atlantico

Nella zona di Bari lo chiamano Maccarello (e anche Naccarello) sulla scorta del norvegere Makrel , del tedesco Makrell e francese Maquerau.

Molto usato nella cucina mediterranea è raccomandato dai medici per il suo apporto in grassi omega 3 particolarmente adatti per chi è affetto da ipercolesterolemia.

Nella cucina manfredoniana si usa spaccarlo longitudinalmente e speziarlo com prezzemolo e aglio tritati, un po’ di pepe, e semi di finocchietto. Si fanno cuocere sulla graticola spennellandoli con “salmoriglio” (olio,aceto e sale sbattuti con la forchetta per ottenerne l’emulsione). Tutta salute.

Nota linguistica, Al singolare fa scòmbre con la ò aperta; al plurale scómbre, con la ó chiusa (come fórne).

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Scöpe

Scöpe s.f. = Scopa

Fino all’avvento della plastica, le scope erano assolutamente fatte con vegetali ed esistevano due tipi:

1) Scöpe-felìnje fatta con le infiorescenze delle canne di palude opportunamente intrecciate.
Si innestava ad un manico di legno (‘a mazze) per spazzare di fino i pavimenti, oppure in cima ad una lunga canna per raggiungere il soffitto a togliere eventuali ragnatele.

Morbida, flessibile, raggiungeva gli angoli più remoti da pulire.

2) – Scöpe de sciónghe fatta con giunchi di palude. Era dura, adatta ad un pavimento di basole o per l’esterno delle casi di campagna. Anche questa scopa si innestava alla mazza.

A confezionare queste scope, e anche canestri e cesti di giunchi palustri, si dedicavano due simpatiche vecchiette in un vano a piano terra di Corso Manfredi, di fronte al portone di Grieco e dell’antico Bar “Giannino Gatta” (non so l’attuale nome del bar).

Negli anni ’50 sono arrivate le scope di saggina, messe in commercio con tutto il manico, con le setole lunghe oltre 20 cm, di lunga durata.

L’avvento della plastica ha “spazzato” via tutti questi prodotti.

L’aspirapolvere li ha passati definitivamente nel dimenticatoio.

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