Categoria: S

Sciammèrje

Sciammèrje s.f. = Marsina, frac, tight

Abito maschile da cerimonia, nero, con falde a coda di rondine.

Il popolino, almeno fino agli anni ’60 lo conosceva solo per averlo visto indossato dal cocchiere ‘in alta uniforme’ alla guida del carro funebre.

‘U cucchjire pe ‘sta catòbbe e pe ‘sta sciammèrje stöve tüse tüse = Il cocchiere con il cilindro e il frac stava tutto impettito.

Infatti il volgo non era frequentatore di soirée di gran gala, o di concerti al Teatro Alla Scala, o di cerimonie mondane di qualsiasi genere.

Taluni lo pronunciavano anche sciammèreche in assonanza con Amèreche.

 Mi sono documentato!  All’origine del sostantivo c’è il nome del Maresciallo di Francia Charles Schomberg, (1601-1656) che introdusse la moda nell’uniforme militare (giacca con le code) durante la guerra in Catalogna intorno al 1650.
Durante la dominazione spagnola del Sud Italia il termine chamberga è rimasto con poche modifiche da noi e anche in altre località della Daunia.

Sciammèrje, in linguaggio gergale ormai desueto, significava avere un rapporto sessuale mercenario. 

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Sciapüte

Sciapüte agg. = Insipido, sciapo, privo di sapore

Riferito specialmente a vivanda preparata accidentalmente con poco sale, quindi con poco sapore.

Può applicarsi anche a persona insulsa, melensa, sciocca.

Quèdda Giuannüne jì proprje ‘na uagnöna sciapüte = La Giovannina è proprio una ragazza sciocca.

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Sciarabbàlle

Sciarabbàlle s.m. = Calesse. (Arch.fot. Manfredonia Ricordi)

Calesse leggero a trazione animale, munito spesso di un’ampia “capote” a mantice ripiegabile, per riparare il conducente e l’eventuale passeggero dal sole o dalle intemperie.

Era dotato anche di una coppia di freni, detta ” ‘a martellüne” = la martellina, azionata dal posto di guida con un’unica leva laterale.

I ceppi stringevano dall’esterno i cerchioni e rallentavano la corsa. Usato solo in discesa per evitare che il peso del calesse spingesse il cavallo in avanti e lo facesse cadere.

Il termine sciarabàlle identifica un veicolo a due ruote – a Napoli lo chiamavano sciarabballo, o anche ‘o ri’rote = il (carro a) due ruote – non è altro che la trascrizione fonetica, con lieve distorsione dovuta all’ignoranza del popolino, del francese “Char-à-bancs”, che si proncia “sciarabbànc” cioè “carro dotato di sedili a panca”.

Era costruito per il trasporto di sole persone. Sul retro e sotto il sedile c’era spazio solo per un sacco di biada e per un secchio vuoto per rifocillare la bestia durante una tappa.

Veniva usato per spostarsi dal paese alla campagna, o da una masseria all’altra.

Ovviamente era alla portata dei soli proprietari terrieri, dei medici per gli spostamenti nelle loro visite domiciliari, o dei mediatori per i loro commerci.

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Sciasciòsce

Sciasciòsce s.f. = Prozia

Indica la sorella del nonno o della nonna che, nelle famiglie patriarcali di una volta, rimasta zitella o vedova senza figli, veniva accolta in casa di un/una nipote.

Quindi era una zia per i genitori e una prozia per i figli.

La brava donna non voleva sembrare un sovrappeso e perciò si rendeva utile all’andamento della casa, prestandosi a stirare o a badare alla cucina o ai nipotini.

Quasi sempre era una figura positiva. Dolce e simpatica, prudente e riservata, poche parole e molti fatti. Soprattutto non interferiva mai nei fatti dei coniugi che la ospitavano.

Non esiste il termine corrispondente al maschile.

Con questa parola c’era un gioco di parole, quasi uno scioglilingua che diceva così:
Sciasciò, ‘a scìtte o ‘a scètte ‘a sciòtte?
Tradotto in parole comprensibili significa: Cara zia, la butti tu o la svuoto io l’acqua di cottura della pasta?

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Sciavòrte

Sciavòrte s.f. = Agnellone

Nato di pecora che ha superato da poco l’anno di età.

Si tratta di bestia che si azzoppa e necessariamente dev’essere macellata e consumata in tempi brevi.

Non è ancora una pecora adulta, e per questo ha le carni meno tenere di quelle dell’agnello, ma sicuramente più gustose, specie se preparate a rijanéte o al ragù.

Per il fatto che la povera sciavorte  difettata non potrà essere sfruttata né per la produzione di latte, né per quella della lana (quindi praticamente inutile al tornaconto del pastore), il sostantivo nella forma aggettivata veniva usato come epiteto verso una donna poco virtuosa, svogliata e trasandata: praticamente inutile nell’economia domestica.

Allo stesso modo di quando usiamo asino o capra riferendoci a certi soggetti poco brillanti in intelligenza o in profitto scolastico.

Cungettèlle jì proprje ‘na sciavorte = Concettina è proprio una sciattona.

In questo caso è sinonimo di svertuéte (←clicca)

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Scìgne

Scìgne s.f. = Scimmia

scimmiaLa scimmia è un mammifero appartenente all’Ordine dei Primati, molto agile e intelligente.
Allo stato naturale vive In Africa equatoriale. Altre specie vivono in sud-America e in Asia.

Fu molto popolare la scimmia hallywoodiana Cheetah (Cita), propriamente uno scimpanzè, che compariva in tutti i film di Tarzan.

Prima ancora della sua apparizione al cinema, era nota perché era un’attrazione dei vari girovaghi (circhi, artisti di strada) che sostavano nei paesi.

Usato come aggettivo (scigne) o come accrescitivo (scignöne) descriveva una persona sgraziata.

Al contrario, come vezzeggiativo scignarèlle, indicava una bimbetta che fa la smorfiosa.

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Scìgne ‘n palazze (‘a)

Scìgne ‘n palazze (‘a) loc.id. = Scimmia in palazzo (la)

Questa locuzione idiomatica definisce una donna che ritiene di essere diventata una vera signora  solo perché non abita più al piano terra, come nel secolo scorso avveniva per il popolino.
Difatti i piani più alti erano dimora dei più abbienti, che ostentavano anche così il loro status sociale..

Il corrispondente maschile era definito pezzènte revenüte = pezzente rinvenuto, come per dire che fino a poco tempo prima era un poveraccio…

Il grande Totò spesso ci ricordava che “signori” (nel senso più alto del termine) si nasce, non si diventa.

Ringrazio l’inesauribile dott. Enzo Renato per l’imbeccata.

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Scignò

Scignò s.m. = crocchia, chignon

È un’acconciatura tipicamente femminile (ora veramente non ne sono tanto sicuro che sia solo femminile) che raccoglie dietro la nuca i capelli lunghi variamente annodati. Ho trascritto in grafia nostrana il termine francese chignon che si pronuncia scignò(n) con al n finale molto nasale.

Cito solo quella più semplice, a coda di cavallo, e quella, sempre un campo equino, a ciambella un po’ elaborata, detta a cüle de jummènde (a culo di giumenta). Qualcuna più sfacciata diceva a pecciöne jummènde (a forma dei genitali di giumenta).

Le nostre nonne si limitavano ad acconciarsi col tuppo, (‘u tuppjille),  fissando con forcine sull’occipite le trecce pendenti dai sue lati della testa.

Poi ce ne sono svariatissime e molto elaborate. Se cercate crocchia, o tuppo su “Google immagini” troverete pagine e pagine di questa svariatissime acconciature.

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Scioffèrre

Scioffèrre s.m. = Autista, conducente

Con l’avvento dell’automobile, agli inizi del ‘900 non esisteva in italiano un termine specifico e si ricorse al francese chauffeur per designare il conducente del veicolo, il guidatore.

La pronuncia è quasi identica (sciófför). Il termine fu usato a lungo, almeno fino all’avvento del Fascismo che bandì termini stranieri, definiti barbarismi, come cocktail, bar, chauffeur, foot-ball, basket, pullmann, ecc. ecc.sostituendoli con il corrispondente italiano coccotello (!), caffè, autista, calcio, palla-canestro, torpedone, ecc….

Scherzosamente ogni tanto si tira fuori scioffèrre, specie per canzonare i Montanari: Scioffèrre, fìcce la màchene c’hadda piscé megghjèreme! = Conducente, ferma l’autobus perché mia moglie ha un’impellente bisogno di fare plin plin.

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