Categoria: R

Rjódene

Rjódene s.f. = Ribolla o sgura,  ceppo dell’ancora.

1) Barra del timone – in linguaggio tecnico è ribolla o sgura, È generalmente è di legno, di lunghezza variabile proporzionata all’imbarcazione, con un ‘occhiello’ ad una delle due estremità, dentro il quale si inserisce le testa del timone incernierato a poppa.

La barra è rimovibile, come il timone stesso del resto, per quando la barca è portata in secca.

Qualcuno pronuncia rjótene, con la ‘t’. Accettabile.

2) Ceppo dell’ancora – Anch’esso – almeno nelle ancore antiche – era di legno ed era posto immediatamente sotto l’occhiello dell’ancora (cicala), perpendicolare all’asta dell’ancora (fuso) e all’allineamento delle marre. Serve a favorire la presa delle marre al fondale.
Nelle ancore moderne è di ferro, ed è sfilabile per uno stivaggio ottimale quando viene salpata a bordo. Vedi foto (dal Web).

Grazie al Prof. Matteo Castriotta per il suggerimento

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Ròbbe de pröta pòmece e fjirre de cavezètte

Ròbbe de pröta pòmece e fjirre de cavezètte Loc.id. = Roba di scarso pregio, fasulla,

Alla lettera: roba di pietra pomice e ferri da calza.

Materiale di scarso pregio, o inadatto.

Credo che si riferisca anche ad un lavoro fatto male.

Invece di usare pietrisco di varie pezzature (gli ingegneri parlano di Curva granulometrica di Fuller) per l’impasto del calcestruzzo si è adoperata la pietra pomice, porosa e friabile.

Così pure, al posto del tondino di ferro nervato dal diametro di mm 8 o maggiore, nel pilastro si sono inseriti ferri lisci e sottili come quelli usati per i lavori a maglia.

Insomma con i materiali scadenti non si possono ottenere buoni risultati.

La locuzione vale per cose, azioni ma anche persone, approssimative e scadenti e perciostesso inaffidabili.

Figuratamente indica la valutazione di un fatto insignificante o di un’opera, magari tanto decantata, ma rivelatasi di scarso pregio.

Grazie a Enzo Renato per il suggerimento.

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Rócche-rócche

Rócche-rócche s.m. = Ciarlone, indiscreto

Persona che riferisce ad altri, arricchendolo a suo piacimento, qualsiasi fatto o o discorso cui ha assistito o di cui ha ascoltato la descrizione.

La ó va pronunciata stretta, quasi una u.
A Bari lo pronunciano con la “u” ossia rùcche-rucche ed ha lo stesso significato.

Sinonimo voccapjirte = bocca aperta.

Ne stéte a sènde a códdu rócche-rócche! = Non date ascolto a quel chiacchierone.

Al femminile si dice ciandèlle, voccapèrte, zingra-zingre, ecc.

Mi sembra il verso dei piccioni gruggrugru.

rucche-rucche s.m. onom. Approfittatore,
manutengolo, ruffiano.

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Röse-marüne

Röse-marüne s.m. = Rosmarino

Qualcuno pronuncia anche Rösa-marüne

Termine derivato dal latino ROS = rugiada e MARINUS = di mare.

Il Rosmarino (Rosmarinus officinalis) è un arbusto sempreverde della fam. delle Liabatae, originario delle regioni mediterranee; in Italia è presente in tutto il territorio, spontaneo o coltivato, dal piano agli 800 metri.

Viene usato per insaporire carni, pesci, minestre, focacce, oli e aceti aromatici.

Proprietà terapeutiche: stomachiche, stimolanti, aperitive, digestive, tonico-stimolanti, antisettiche.

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Röte

Röte s.f. = Ruota; cortina; rete.

1) Röte s.f. = Ruota. Organo meccanico girevole a forma di disco che trasmette il movimento mediante contatto diretto: la r. della carrucola, la r. del mulino, la r. del carro. Al plurale è invariabile (‘a röte, ‘i röte).

‘U sciarabbàlle töne döje röte = Il calesse ha due ruote

2) Röte s.f. = Cortina. Tenda divisoria a rete sorretta da anelli metallici che, come un sipario, divide un ambiente dall’altro o che ne nasconde una parte. In uso tuttora sugli usci delle abitazioni a piano terra. Al plurale non cambia desinenza.

Annètte, mamme, mjine tutt’e döje ‘i röte ca tràsene ‘i mosche = Annetta, bella di mamma, stendi entrambe le tende a rete, altrimenti entrano le mosche.

3) Röte s.f. = Rete. Attrezzo costituito da fili più o meno grossi di fibre tessili intrecciati e annodati a maglia, usato per catturare pesci o anche uccelli e animali selvatici. Al plurale fa rüte (‘a röte, ‘i rüte).

Jéme all’albe a salepé ‘i rüte = Andiamo all’alba a salpare (sollevare dall’acqua) le reti calate in precedenza.

Per estensione ‘a röte è anche quella metallica usata per la recinzione o quella di maglie d’acciaio fissate a un telaio di ferro, che serve da sostegno al materasso del letto.

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Ròtelavjinde

Ròtelavjinde s.m. = Ipèrico, Erba di San Giovanni.

È una pianta spontanea, la Hypericum perforatum, chiamata anche Erba di San Giovanni, usata in erboristeria per le sua qualità curative.

I nostri raccoglitori di fichidindia la usavano solo per spazzolare i frutti raccolti e stesi su uno spiazzo allo scopo di privarli, almeno grossolanamente delle micidiali spinette. Infatti identificavano la pianta col nome di scuparèlle,  piccola scopa.
Presumo che il nome sia composto dalla terza persona del verbo rutelé, rimestare, come il movimento rotatorio dell’erba sui fichidindia, e vjinde = vento, che si porta via le spine. Per fare questa operazione la persona deve porsi sopra vento…

Ho attinto il nome scientifico della pianta dall’inesauribile  “Vocabolario Manfredoniano” dei miei amici dr.Pasquale Caratù e dr.Matteo Rinaldi, (Nuovo Centro di Documentazione Storica di Manfredonia-2006), ai quali va il mio ringraziamento. Io non ci sarei mai arrivato!

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Rózzene

Rózzene s.f. = Ruggine, ossido

Deriva dal latino aerūgo -gĭnis, propriammente nel significato di: dare origine.

L’ossido si crea quando il ferro è a contatto con l’ossigeno, sia quello dell’aria, sia quello dell’acqua.

Difatti i natanti con lo scafo metallico sono protetti da strati di vernici al minio (antiruggine) per evitarne il contatto con l’acqua marina.

Una nostra locuzione descrive l’avaro come chi sté attacchéte alla rózzene = sta attaccato alla (maniera della) ruggine, nel senso che è radicato ai suoi beni da cui non vuole staccarsi.

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Ruàgne

Ruàgne s.m. = Cantero

Si tratta di un grosso contenitore cilindrico di terraglia smaltata con maniglie.  Era munito di flangia, sempre di terraglia, che fungeva da sedile circolare.

Sinonimi: prüse, cacatüre, càndere. Quest’ultimo è un termine derivato direttamente dello spagnolo càntaro = vaso, contenitore

Quando non esisteva la rete fognaria funzionava da W.C., con tanto di coperchio di legno.
Usato prevalentemente dalle donne e dagli anziani.

Gli uomini, per espletare le loro funzioni corporali (insomma per cacare),  si lanciavano nelle piantagioni di fichi d’india o negli anfratti della scogliera.
Il nostro storico vaso veniva posizionato in un punto ben nascosto della casa.

In tempi successivi fu messo in commercio il ruagne di ferro smaltato bianco col bordino blu (scusate il raffronto: aveva gli stessi colori dei piatti e dei tegami fatti col medesimo materiale detto firrefüse =ferro fuso)  forse perché, essendo più leggero, favoriva le ‘operazioni di spostamento, di svuotamento e di lavaggio.

Le donne lo portavano a svuotare la notte, quando passava per le che cittadine un nauseabondo carro-botte del Comune che immagazzinava tutti i contenuti dei ruagne e li versava fuori città, nei campi o direttamente in mare. Nella foto, tratta dalla pagina “Le Bellezze del Gargano” si vede una specie di imbuto per il  riempimento ma non il bocchettone posteriore per lo svuotamento.

L´amico Sandro Mondelli mi suggerisce che, con una sorta di rispetto, se l´oggetto doveva proprio essere nominato,  si usava aggiungere subito un deferente: pe reverènze = come dire con riverenza, con rispetto parlando.
Infatti chi nominava cose immonde (piedi o panni sporchi, porcilaia, corpo sudato, pidocchi, cesso, cacca ecc,) si affrettava ad aggiungere parlanne pe respètte.

A orecchio sembra il francese roi (leggi ruà) = Re. Chi ci sta seduto sopra sembra il Re sul trono.
Dicono che il Re di Napoli Ferdinando IV di Borbone ricevesse i suoi ministri seduto pomposamente su questo simpatico oggetto.

Domenico Palmieri mi ha ricordato che scherzosamente ‘u ruagne  – a proposito di alte cariche – era chiamato anche ‘u monzegnöre, cioè usando l’appellativo con cui (sempre con tutti il rispetto) si identifica l’arcivescovo.

Luigi Beverelli mi suggerisce: «Le dimensioni del ruàgne non erano sempre uguali e famiglie numerose spesso erano costrette ad averne di dimensioni più grandi, e per citarne la capacità si indicava il numero di defecazioni che avrebbe potuto contenere, ad esempio: ruàgne da 36 cachéte.»

Ora, a questo proposito, mi piace trascrivere e recitare una poesia del compianto Michele Racioppa tratta dal volumetto «Nzinghe Nzelanghe» – Edito nel 1997 da “M. Armillotta & C. snc”

         ‘U RUAGNE
«Non pozze méje scurdé!
Cchiù de na volte non putive fé…
Grusse jöve lu fastidje,
tirarle före jöve defficile.
Ammuccéte sott’u fucarïle,
nen vedöve anema vïve;
jöve jirte nu mizze mètre,
pe döje màneche grussetèlle,
l’orle de quatte döte larje,
de cröta lócede e colore bianche.
T’assettive susperanne
“Oh, fisalmente söp’u ruagne!…»

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Rubbamjinde

Rubbamjinde s.m. = Ruberia

L’azione di rubare, in maniera abituale, di taluni soggetti dediti a qest’attività comprendente anche truffe, abigeato, saccheggio.


Tasse da quà, tasse da llà, jì tutte ‘nu rubbamjinde!
 = Tasse di qua, imposte di là, è tutto un furto!

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Rucchje

Rucchje s.m. = Rocchio, tocco, pezzo, parte

Specificamente indica ciascuno dei pezzi della salsiccia, fresca o stagionata, ottenuta con la strozzatura del budello e legata con spago.
Quanne fé ‘u süghe, mamme mètte sèmpe düj rucchje de savezìcchje = Quando fa il sugo mia madre mette sempre due rocchi di salsiccia.

(Foto tratta dal web)

Gli ingrossamenti tipici del tarallo puperéte possono essere chiamati rucchje o ntacche (tocchi).

(Foto tratta da “il sipontino.net”)

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