Raškéte s.f. = Pomiciata
L’insieme di effusioni amorose che precedono o sostituiscono l’atto sessuale completo.
In mancanza di meglio…
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L’insieme di effusioni amorose che precedono o sostituiscono l’atto sessuale completo.
In mancanza di meglio…
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Pezzo di pane tagliato grossolanamente a “U”, specificamente dalla parte della crosta, a forma di tacco di scarpa da uomo. 🙂
Si differisce dal taccöne, perché questo indica un grosso tozzo, scorza e mollica.
Il raškètte è ritenuto il più pregiato, specie se è tagliato dalla pagnotta di pane fresco, perché croccante e con poca mollica.
Qlcu pronuncia craškètte, per il suono onomatopeico (crašk) della crosta croccante sotto i denti (un po’ come i salatini cracker e i biscotti Crich).
Come sinonimo è usato anche scurzètte.
Stasöre ‘nu bèlle raškètte p’a pemedöre e stéche a poste = Questa sera (mi preparerò per cena) un bel tozzo di pane croccante col pomodoro e ne avrò abbastanza.
Raspulènde agg = Ruvido, scabroso
Non uniforme al tatto, irregolare, rugoso, scabroso.
Che sté facènne pe ‘sti méne raspulènde? Mìttete ‘na zènne de cröme! = Che fai con queste mani ruvide? Mettiti un po’ di crema!
Agghje mangéte ‘nu cachìzze ca m’ho lasséte a lènghe tutta raspulènde = Ho mangiato un loto che mi ha lasciato la lingua tutta ruvida (perché il frutto non era non maturo)
Penso che derivi da raspa perché scabroso come l’arnese usato in falegnameria,
Per indicare il contrario è usato sciulènde o scevulènde = scivoloso, viscido
Attrezzo di legno o di ferro formato da un’asta trasversale fornita di rebbi fissata a un lungo manico, usato per raccogliere erba, fieno e paglia, per ripulire il terreno da foglie, ghiaia e sim.
Quelli che portano questo soprannome vengono dalle famiglie Spano e Castriotta.
Perché per esempio Mattöje Rastjille? Forse perché non lasciava nulla, raccoglieva tutto, come l’attrezzo omonimo.
Ratavjille s.m. = Rastrello, spazzolone per pavimenti
Il termine deriva dal francese râteau = rastrello.
Grossa spazzola di forma rettangolare, munita di lungo manico, usata per lavare i pavimenti.
Quelle in uso dalle nostre mamme erano di fattura artigianale, praticamente eterne, con la “spazzola” rettangolare completamente liscia. munita di un lungo manico, usata per sorreggere lo straccio bagnato nel raccogliere lo sporco.
Ora si usa uno spazzolone di plastica, con setole o dentini, o anche il morbido Mocio per la sua leggerezza.
Sarà più funzionale e più maneggevole; tuttavia non può mai avere l’effetto deterrente verso i figli discoli quanto il robusto ratavjille di legno di veterana memoria.
Un vero castigamatti, come il classico battipanni, o come la ciabatta (‘u chjanjille) lanciata simpaticamente dalle mamme esasperate contro la testa dei monelli in fuga.
In altre parti della Daunia (Monte S:Angelo, Cerignola, paesi del sub-Appennino) è pronunciato ratavidde. Forse anche da noi fino agli anni ’40.
Il lodato Vocabolario Sabatini-Coletti dice: ” Chi, per una forma di perversione sessuale, ha l’abitudine di spiare le nudità e gli atti erotici altrui.”
È un soggetto che vive di pornografia. In cima ai suoi pensieri c’è solo il sesso. Ma solo nella sua fantasia….
Sono rattüse p er esempio quei guardoni che d’estate vanno alla spiaggia a mangiarsi con gli occhi le ragazze. Non sono capaci di attaccare discorso come una persona normale. “Io con quella ragazza farei questo, farei quello…” ma alla fine non fanno nulla.
Altro esempio di persone rattüse sono quelli che vanno a spiare le coppiette nei luoghi appartati.
I soggetti rattüse si vantano (e qui bisogna fare molte riserve), di essere dotati sessualmente, e di avere un’attività erotica intensa. Attenzione. Chi si vanta di queste cose jì tutte füme e njìnde arróste. Chjacchjere vacande! Il volpigno invece sa tacere.
Insomma sono esseri schifosi, viscidi, vermi luridi e vigliacchi.
Per oggi basta…se no me mètte a sfelé ‘a cröne = altrimenti mi metto a sgranare la corona del rosario, ad elencare una sfilza di improperi.
Questo termine è diffuso in tutto il Sud. Non so se lo è in questa forma anche altre parti d’Italia, dove pure esistono tali soggetti.
La derivazione del termine è di dubbia origine. Rattüse potrebbe derivare dal verbo latino radere che significa sfiorare o dall’aggettivo latino rapidum ovvero veloce. (dal web)
Razzètte s.f. = Capezzale, immagine sacra
Sulla parete a testa del letto, generalmente nei Paesi di tradizione cattolica, si appendeva un Crocifisso oppure un’icona sacra, come per impetrare dal Cielo la protezione sulla famiglia.
In questo caso (ossia parlando di immagine), a volte il quadretto era retroilluminato, oppure a bassorilievo, e rappresentava la Sacra Famiglia, o una Madonnina, o un Santo protettore.
Il nome razzètte, è il diminutivo di razze, che facilmente è una corruzione del sostantivo arazze = arazzo, la cui iniziale era intesa come l’articolo femminile (arazze = ‘a razze).
Nei tempi antichi in alternativa alla razzètte si usava appendere ‘u scaravatte, più impegnativo come peso e come dimensione. Per saperne di più cliccate qui).
Ai nostri giorni il capezzale è adornato con immagini astratte o con gigantografie di paesaggi esotici. No comment.
Nota fonetica:
La doppia zeta di razzètte si pronuncia “sorda” (come mazze, pèzze, puzzètte).
Da non confondere con rezzètte = ricetta, dove la doppia zeta si pronuncia “sonora” come in ‘nzèrte, ‘nzunne, lenzöle
Rè-rè avv. = Spavaldamente, sfrontatamente, in modo invadente.
Credo che sia un po’ un eufemismo. Significa: “che è come un Re, cui si deve rispetto e obbedienza”.
Ce presènde rè-rè e a chi dé a chi combromètte = Arriva baldanzosamente e fa il gradasso.
Guardàtele a jìsse, rè-rè söpe ‘a spiàgge! = Osservatelo, sfrontatamente fa il galletto sulla spiaggia.
A la fèste, tutte quande hanne purtéte ‘nu riéle, e stu cazzöne ce n’jì venüte rè-rè = Alla festa (del compleanno) ognuno ha portato un regalino, ma lui, il minchione – come al solito – ha fatto la sua figura di merda per essersi presentato a mani vuote.
Quelli che non hanno peli sulla lingua dicono: (clicca qui→)càzze-càzze…
Mò ce ne vöne cazze-cazze...= Se ne viene senza essere stato invitato o interpellato, e vuole, con altezzosità e presunzione, imporre il suo modo di vedere.
La risposta sorge spontanea: Ma va lu pìgghja ‘ngüle! (sempre per il fatto che non c’è peluria sulla lingua) = Ma vàffa!
L’avverbio ha anche un significato, diciamo civile, di: gelosamente, con attenzione, con cura.
Esprime il concetto del massimo rispetto, specie se si affida un oggetto a qualcuno.
Tjinatìlle rè-rè, come per dire: custodiscilo gelosamente, tienilo caro caro, con la massima cura.
Anche ironicamente, rimproverando qualcuno che poteva conferire un oggetto, ad esempio un salame o un bottiglione di vino per una cenetta, e non lo ha fatto: tjinatìlle rè-rè = conservalo come un trofeo.
1) Rebbàtte (mecc.) = Rivettare, congiungere due lamiere di metallo mediante i rivetti, chiodi che passando tra i fori eseguiti sulle due lastre, che vengoro ribaditi con il martello, a freddo o a caldo. I due pezzi rivettati non sono più movibili. Quindi è un fissaggio che si esegue quando non è possibile ricorrere alla saldatura.
I rivetti sono chiamati chjuètte pe’ rebbàtte = chiodini da ribaditura.
2) Rebbàtte (sart.) = Rifinire, eseguire cuciture definitive a mano o a macchina dopo l’imbastitura dell’indumento in lavorazione. Anche qui si tratta di fissaggio vero e proprio di stoffe.
L’aggettivo è riferito a persona vivace, turbolenta, allegra, che porta scompiglio. Si può anche dire rebeljiànde.
È usato anche come sostantivo per indicare la persona. Mo ce ne vöne ‘u rebbellànde = Ecco che arriva il “ciclone”
È il jolly della compagnia, un po’ matto, un po’ arruffone, decisamente simpatico, che trova sempre la maniera di ravvivare l’atmosfera da mortorio che sovente incombe su una festicciola o semplicemente sul gruppo di amici.
Deriva dal verbo rebbellé (o rebbelléje o anche arrebbellé o arrebbelléje), però con valenza positiva, simpatica.