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Rùnghe

Rùnghe s.m. = Grongo

Grongo (Conger conger). Pesce di mare. Vive nel Mediterraneo e nell’Atlantico. È molto comune nei mari italiani. Si incontra da profondità minime, di pochi centimetri fino a 300 metri.

Il grongo vive negli anfratti rocciosi dai quali esce di notte per cacciare. Una volta insediatosi in una tana è raro che si allontani da essa. Esclusivamente carnivoro si ciba di invertebrati (è un grande cacciatore di polpi) e di pesci. Non disdegna i pesci morti.

Il corpo, di colore grigio e con il ventre bianco, ha l’aspetto tipico degli Anguilliformi ma è più massiccio e potente. È liscio, senza scaglie.

Questo pesce può raggiungere dimensioni gigantesche: fino a tre metri per 70 chilogrammi con un diametro del corpo pari a oltre 20 centimetri ma di solito non misura più di un metro. Le femmine sono molto più grandi dei maschi.

Quelli pescati in Adriatico e che arrivano sulle nostre bancarelle non superano i 50 cm. Deliziosi preparati in umido.

Stranamente, runghe era usato come aggettivo, appioppato a persone avare e venali.
Quantunque il pesce abbia buone qualità il raffronto è tuttavia coerente, perché entrambi mostrano di avere una grande voracità.

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Rüsce

Rüsce s.f. e s.m.= Carbonella, refolo, baldanza

1) Rüsce, s.f. = Sminuzzatura di carbone di legna, usata specificamente per ottenere rapidamente l’accensione e per alimentare il braciere. Mette a cènere söp’a rüsce = Coprire la carbonella con la cenere (così dura più a lungo).

2) Rüsce, s.m. = Alito di vento leggero, foriero del successivo rapido rafforzamento.
Mò ce jàveze ‘u rüsce = Ora si solleva una refola di venticello.
In ambiente marinaresco chiamano ‘u rüsce anche il rumore della risacca.

3) Rüsce v.i. = Prebollire, borbottare dell’acqua in pentola prima che inizi a bollire.
. Il verbo è difettivo, e viene usato solo alla terza persona singolare dell’indicativo presente.
A Cerignola pronunciano rousce (probabile derivazione dal latino rugire)

4) Rüsce s.m. = baldanza, spavalderia, disinvoltura.
È un termine decisamente desueto sentito solo recentemente e per caso. Non conoscendone il significato ho insistito per farmelo spiegare.
Indica la tracotanza dei ragazzotti per compiacersi del proprio fisico, specie in presenza delle pulzelle, perché diventi un’attrattiva per esse. Roba da palestrati che evidenziano la propria muscolatura come fanno i pavoni quando esibiscono a ventaglio la loro variopinta coda.
Le doti intellettive, ammesse che ci siano, restano chiuse nella loro scarsa scatola cranica.

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Rüsce

Rüsce s.f. = Carbonella

Si tratta di carbone vegetale spezzettato, tuttora in vendita in sacchetti di carta preconfezionati, usato per preparare la grigliata.

Anticamente veniva usata per riscaldamento domestico, accesa in capienti bracieri, e coperta di cenere per prolungarne la durata.
Era possibile acquistare la rüsce già accesa dai fornai, quando la rimuovevano dal forno, essendo un residuo della legna usata per riscaldarlo, prima di introdurvi il pane per la cottura.
Ci si recava al forno con un secchio o un altro recipiente, e con pochi spiccioli si otteneva una palata di rüsce ardente che alimentava il braciere fino a sera.

Potrebbe derivare dal francese (charbon) roussi = carbone bruciato

I pezzi grossi del carbone erano detti carevüne a ciocche = carboni a ciocco.

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Rusecamjinde

Rusecamjinde s.m. = Brontolamento, borbottamento

Alla lettera fa riferimento al verbo ruseché = rosicchiare.

Espressione di insoddisfazione o di risentimento che si manifesta con proteste a mezza voce; mormorio, borbottio, mugugno, lamento, brontolio.

Enótele ca facjüte tutte ‘stu rusecamjinde: ce uà fé acchessì e baste! = È inutile che state a fare tutto questo mugugno: si deve agire così, e basta!

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Rùsele

Rùsele s.m. = Geloni

Ho letto da qualche parte che  deriva dal latino roseolam = roseola (macchie eruttive causate da malattie o da farmaci).

Noi intendiamo l’alterazione della pelle dovuta al freddo umido; si presenta con chiazze bluastre o rosse che si trasformano in rilievi pruriginosi e ulcerazioni dolorose.

Perché venivano i geloni? Perché in casa un solo braciere non riscaldava bene gli ambienti: noi avevamo due stanze comunicanti al piano terra, eravamo di ceto medio perché papà era fabbro-artigano e si poteva permettere due stanze, ma forse non due bracieri.

Era credenza diffusa che per liberarsi dei geloni, si dovesse bussare all’uscio di qualche ignaro paesano, e quando costui dall’interno chiedeva. “Chi jì?” = Chi è?, si dovesse rispondere a voce alta: I rùsele a càste = I geloni a casa tua!

Dopo di che, terminato il rito, era obbligatorio scappare per evitare l’ascolto dell’immancabile ‘ghiachivemùrte!.

Ricordo anche un’orribile pratica per guarire i piedi colpiti dai geloni. Abbondante pipì sulle parti doloranti.

Può sembrare una sciocchezza, ma l’acido urico e l’ammoniaca contenuti nelle urine danno sollievo ai geloni e anche alle ustione delle lardichelle.

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Rüte

Rüte s.f. = Ruta

Pianta arbustacea o erbacea della fam. delle Rutaceae (Ruta graveolensis L.) , perenne con fiori gialli o verdi e foglie aromatiche; frequente il suo uso in medicina e liquoreria.Si trova in abbondanza nei boschi del Gargano.

Le nostre nonne asserivano a ragione che ‘a rüte ogni méle stüte = La ruta, ogni malattia spegne, debella.

Proprietà terapeutiche accertate: emmenagoghe (facilita flusso mestruali) , sedative, digestive, carminative (facilita deflusso gas intestinali), vermifughe.

Qualcuno diceva che un rametto di ruta essicata portato in tasca fugava anche la paura in situazioni di pericolo…

A questo punto si è esagerato, attribuendo alla povera ruta virtù troppo ardite.

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Rùtele

Rùtele s.m. = Tortiera

Teglia di forma cilindrica dai bordi bassi, generalmente di alluminio, munita un solo appiglio metallico snodato,  e usata per la cottura  in forno non solo di torte (da cui il nome moderno di “tortiera”) ma anche di altre vivande.

Io le ricordo piene di patate e testine di agnello (‘i capuzzèlle) preparate a rjanéte e mandate a cuocere nel forno pubblico.

Il nome ‘u rùtele ricalca il napoletano ‘o rùoto, richiamandosi alla sua forma circolare, paragonato ad una ruota.

Quelle più antiche erano di terracotta o di rame stagnato, con bordo svasato, come da foto.

Il termine è usato solo dalle persone più anziane, ed è destinato a scomparire. Ora è chiamato sbrigativamente ‘a turtjire = la tortiera.

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Rutìlje

Rutìlje s.m. = Oroscopo personalizzato

Bisogna sapere che fino agli anni ’40 un ambulante – di cui non so il nome – si guadagnava da vivere, oltre che aggiustando gli ombrelli, anche predicendo il futuro alle giovani donzelle di Manfredonia.

Insomma costui formulava, dietro compenso, un oroscopo vero e proprio, personalizzato, senza conoscere minimamente gli ascendenti e le menate varie riguardanti i soggetti esaminati.

Egli – guardato con timore e rispetto dalle trepide mamme – consultava un misterioso libro chiamato in dialetto “U rutìlje”. Lui stesso forse veniva identificato con questo nome.

Per l’epoca era un libro considerato infallibile, degno di rispetto reverenziale, alla stessa stregua del Vangelo:
L’adda ’ngarré: sté scrìtte sope ‘u Rutilje! = Ti andrà bene, è riportato sul libro del Rutilio.
Me so’ fatte anduvené dau Rutìlje: tenghe i punde de stèlle a 17 anne e a 29 anne, e pò baste.” = Mi son fatto predire la sorte dal Rutilio: avrò dei giorni critici soltanto quando avrò raggiunto l’età di 17 e di 29 anni.

La mia curiosità mi ha portato a fare delle ricerche in rete!
Si tratta di tale Rutilio Benincasa, nato a Torano (CS) nel 1555, e morto probabilmente nel 1626, autore di scritti tramandati di generazione in generazione per 400 anni. Tra l’altro ha compilato delle tavole sulla periodicità dell’uscita dei numeri al lotto. Insomma un tipo molto fantasioso.
“Rutilio fu astronomo, astrologo, anche se sono poche le notizie storiche su questo personaggio al cui nome sono associate vicende leggendarie, presenti talora anche nel folklore europeo o nella tradizione letteraria classica, per cui a livello popolare è considerato una delle incarnazioni del prototipo dello stregone.” (dal web)

Per scrutare il futuro, in alternativa alle previsioni prezzolate del Rutilio, le giovani donzelle la sera della vigilia di San Giovanni – considerata “la notte magica” perché cade al solstizio d’estate – usavano versare l’albume di un uovo in un vaso di vetro colmo di acqua e lasciarlo tutta la notte sul davanzale della finestra o comunque al fresco. Prima di posarlo recitavano la giaculatoria: San Pjitre e San Giuànne, qual’jì la sorte ca tenghe auànne? = San Pietro e San Giovanni, quale è la sorte che ho quest’anno?
La mattina dopo, ansiose, andavano a scoprire la loro “sorte”.

L’albume, per effetto della frescura della notte, si rapprendeva in mille filamenti e agglomerati biancastri. Le ragazze vedevano, che so, tanti fili come le sartie di un bastimento (e allora il futuro “zito” poteva essere un navigante); oppure come una matassa posata sul fondo (e allora poteva trattarsi di un funaio); oppure come un foglio ricurvo, tipo una vela (un pescatore) o come una ruota (carrettiere o mastro carraio), ecc. Le speranzose pulzelle vedevano quello che “volevano” vedere.
Questa antica usanza era nota anche in Sicilia, nell’Italia Centrale.

Strettamente legati al responso del Rutilio c’erano i cosiddetti “punti di stelle”, trattati a parte

Ci sono sempre i creduloni, e ci sono, per contro, quelli che sanno avvantaggiarsene a piene mani…

Per favore non confondete, data la somiglianza dei termini, ‘u Rutìlje con ‘u rutjille  (←clicca).

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Rutjille

Rutjille (o Rutjidde) s.m. = Crocchio, capannello, assembramento

Gruppetto di persone, riunite a chiacchierare o ad ascoltare qualcuno,  specialmente per strada.

Più specificamente ‘U rutjille indica un gruppo di persone radunate, non casualmente,  per far maldicenze, e pettegolezzi.)   Il “gossip“prima maniera.

Ah, avüte fàtte ‘u rutjille! = Ah, vi siede radunate per tagliare i panni addosso alle persone!

Il termine ha una valenza scherzosa e bonaria. Quando il gruppo è serio è detto ‘na rocchje; se grave o severo diventa ‘na manjéte.

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Ruvetéle

Ruvetéle s.m. = Roveto, fratta

Il rovo è un arbusto perenne della famiglia delle Rosacee (Rubus ulmifolius), cui appartengono numerose specie, comunissimo in tutto il bacino del Mediterraneo.
È costituito da una grossa ceppaia, da cui si dipartono numerosissimi fusti sottili, ricoperti da moltissime piccole spine arcuate.

L’intrico spinoso dei suoi rami è chiamato ruvutéle revutéle o revetéle = roveto.  Veniva messo a dimora per delimitare i confini dei campi coltivati allo scopo di farne barriere, come siepi impenetrabili. 

Dal rovo nascono le more, ‘i marìcule, chiamate così, oltre che  nella zona garganica, anche in Basilicata, Abruzzo e Molise

Un mio amico di Ortona ripeteva un detto Abruzzese che più o meno recitava così:
Le marìcule delle frjétte (fratte, rovi, cespugli)
tanne so’ bbone, quanne so’ fìétte  (fatte, mature).
Quanne ammmatùrene l’uve e le fichi
vaffancule tu e le maricule delle frjétte!  🙂

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