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Rucelé

Rucelé v.i. e v.t. = Ruzzolare, far cadere

Rucelé v.i. = Cascare ruzzoloni, spec. se si cade dalla scala (col verbo aus. essere).
So’ ruceléte schéle schéle = Sono ruzzolato lungo la scalinata.

Rucelé v.t. = Far cadere, spingere verso il basso un oggetto tondeggiante, una botte, una balla, ecc. (col verbo ausiliare avere)

Agghje ruceléte ‘a vòtte söpe ‘i sdànghe fine abbàsce ‘u sutterrànje = Ho rotolato la botte sulle travi fin giù al seminterrato.

Usato anche figuratamente:nu penzjire me rucelöje nghépe = un pensiero mi rigira nella testa, ossia un sospetto mi sta frullando per il capo.

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Rüche

Rüche s.f. = Rucola

.La Rucola è una pianta annuale della fam. delle Brassicacea.
Quella campestre ha il nome scientifico Eruca perennis, o i sinonimi Sisymbrium tenuifolium e Diplotaxis tenuifolia. La Rucola coltivata è nota come Eruca sativa.

Apprezzata fin da tempi antichi per il suo aroma speziato e piccante, la rucola viene molto usata nelle insalate e nelle salse; arricchisce di sapore i tramezzini, le pizze, esalta alcuni formaggi molli e può anche essere cotta a vapore.

Proprietà terapeutiche: vitaminizzanti, antiscorbutiche, aperitive, digestive. Qualcuno addirittura riscontra effetti afrodisiaci.

Oltre tutto questo, bisogna evidenziare che a Manfredonia viene lessata con le orecchiette, e condita con il sugo di pomodoro con le lumache campestri. Per gli amanti dei frutti di mare, nel sughetto vanno benissimo  i capirroni.

Una vera specialità. L’erbivendola Sepònde invitando le massaie a comprare la ruchetta da lei, intonava: Rüche e maccarüne stamatüne, uhé! = (preparate) rucola e maccheroni questa mattina, ohé!

Ora si vende quella coltivata nell’orto, che ha le foglie più larhe e carnose…ma non la sapidità di quella campestre.

È credenza diffusa che chiunque mangi la rüche de Sepònde = la ruchetta selvatica di Siponto, un po’ come accade a quelli che gettano una moneta nella Fontana di Trevi, sono destinati a tornare a Manfredonia, e con l’aiuto di Sante Lavrjinze = San Lorenzo, a restarvi definitivamente.

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Ruffeléte

 

Ruffeléte s.f. = Folata, sbuffo, raffica di vento

Il termine è specifico, e per quanto superfluo, si accompagna al complemento “de vjinde” = di vento. 

In sostantivo italiano “refolo”, da cui potrebbe derivare, dà l’idea di una brezza piuttosto piacevole.
Invece ritengo più probabile che ruffeléte sia un rafforzamento di  “folata”, che già di per sé descrive un’azione improvvisa e piuttosto irruente.

‘Na ruffeléte de vjinde forte ò fatte rublaté ‘a varche = Una intensa folata di vento ha fatto rovesciare la barca.

Pe ‘na ruffeléte de vjinde ‘u ‘mbrellöne ce n’jì voléte pe ll’arje = A causa di una folata di vento l’ombrellone se ne è volato in aria.

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Rumanì

Rumanì v.i. = Restare

Trattenersi in un posto; fermarsi senza procedere, non stare al passo con altri.

Rumjine allà, nen ce venènne! = Resta lì, non venire
Löre ce ne sò jüte e jüje sò rumàste ‘ngambàgne = Loro se ne sono andati e io sono rimasto in campagna.

Significa anche “restare di stucco” o come dicono i giovani di oggi, “restare basito”, rimanere perplesso, sorpreso, allibito.
Sono tutti sottintesi: si dice solo il verbo rumanì coniugato a seconda delle circostanze.

Quànne me decètte ca l’jöve mòrte ‘a megghjöre jü sò rumàste! = Quando mi disse che gli era morta la moglie, restai allibito (senza parole, di sasso, di stucco, come un fesso).
Il p.p. rumaste si può anche dire rumése

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Rumanì a pendöne

Rumanì a pendöne loc.id. = Rimanere nubile/celibe

La locuzione Rumanì a pendöne (probabilmente) va tradotta con “restare all’angolo della strada o di un edificio”, ossia non avere una casa, un nucleo familiare.
Forse anche “rimanere penzoloni”, come dire restare in sospeso, ma con scarse possibilità di ottenere una sorte migliore.
Difatti (clicca) pendöne indica l’estremità di un muro, il bordo di un baratro, il margine di un precipizio.

Parlo di quando l’avvento della emancipazione femminile – che le avrebbe rese economicamente indipendenti – non era ancora nemmeno immaginabile. All’epoca il matrimonio era visto dalle ragazze come l’unica e indispensabile via per il loro futuro sostentamento.

È un ‘espressione un po’ amara che si riferiva specificamente ad una ragazza che non era riuscita a convolare a nozze, a crearsi una famiglia, per le ragioni più disparate.
Per esempio per i suoi trascorsi sentimentali molto burrascosi, o per difficoltà caratteriali, o per l’aspetto fisico non invogliante, ecc.

Era rivolta anche ai maschietti, ma qui il celibato è visto come una conseguenza di vari tentativi falliti, o come forma mentis ostile ad assumersi responsabilità familiari, o come innata misogina. Salvo poi, in età avanzata, a pentirsi della loro scelta della cosiddetta “libertà” che li ha infossati in una incolmabile solitudine.

Per contro esiste anche una incoraggiante locuzione (clicca qui) Nescjüna carne ruméne alla vucciarüje

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Rumanì jómme

Rumanì jómme loc. id. = Rimanere a bocca asciutta

Alla lettera significa restare all’olmo. Che c’entra l’olmo?

Nel gioco della passatella, in dialetto chiamato “patrüne e sòtte” = padrone e dipendente (sottostante), alcuni giocatori bevevano il vino, ma uno solo, per scelta dispettosa del capriccioso “padrone” dopo il suggerimento del “sotto”, doveva rimanere a bocca asciutta.

L’olmo nelle antiche colture vitivinicole, era quella pianta destinata a sostenere i tralci della vite. Poiché l’olmo non produce il vino, il malcapitato giocatore preso di mira non poteva bere il succo della vite, ma il ‘niente’ prodotto dall’olmo.

Questo gioco talvolta finiva a risse e non poche volte a coltellate!

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Rumanì pe summènde

Rumanì pe summènde loc.id. = Serbare per la riproduzione

Generalmente la locuzione designa il pollame che non veniva macellato, ma era messo da parte per servirsene in seguito per la riproduzione.

Era considerato un pennuto sano e vigoroso, e perciò tenuto in riserva.

Quando qlc giovanotto faceva lo spaccone, evidenziando le sue doti e decantando le sue mirabolanti prestazione, qlcu commentava sarcasticamente: Sì, l’amma rumanì pe summènde = Sì, lo dobbbiamo serbare per la riproduzione

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Rumanì tra vèspre e mezzjurne

Rumanì tra vèspre e mezzjurne loc.id. = Restare fra il Vespro e il Mezzogiorno

Da tempi immemorabili gli ecclesiastici scandiscono la loro giornata col preghiere secondo le cosiddette Ore Canoniche (Mattutino, Lodi, Vespri, Compieta).
Il Vespro, linguisticamente, significa sera.

Insomma dal vespro al mezzogiorno successivo intercorre un lasso di tempo molto lungo, immagino noioso o carico di tensione.

La locuzione descrive figuratamente uno stato di disagio, di incertezza, di titubanza nel prendere una decisione importante, temendo di sbagliare.

Ringrazio Umberto Capurso por il suo suggerimento, che mi ha permesso la stesura di questo articolo.

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Rumbamjinte

Rumbamjinte s.m. = rottura, seccatura, fastidio, disturbo.

In italiano esistono alcune locuzioni per questa situazione:
c’è quella pulita: “rottura di scatole”;
poi c’è quella più colorita “rottura di balle”;
infine quella triviale “rottura o rompimento di palle” (scusate).

Il dialetto usa “rottura” nella forma letteraria/arcaica di “rompimento”.
Il nostro sostantivo rumbamjinte (che rumbamjinte! ‘nu rumbamjinte!) da solo – per merito della nota capacità di sintesi del nostro dialetto – riesce ad esprimere anche quello che non si enuncia.
Non c’è bisogno di specificare compiutamente, anche se sottaciuto, che cosa va in rottura.
È ovvio, sottinteso, fatale.

Storiella finale.
Un impiegato imbranato, si rivolgeva attraverso il telefono con molta frequenza quotidianamente ad un suo collega per chiedere chiarimenti, ritocchi, consigli, procedure, ecc.
Questo collega, durante uno dei tanti martellamenti, lo blocca, e gli dice:
-«Aspetta! Hai un foglio? Prendi appunti!…. Scrivi in stampatello: “LA PITTURA”»
-«OK, l’ho scritto: e adesso?»
– «Adesso leggilo da destra verso sinistra!»

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Rüme sotta vjinde

Rüme sotta vjinde loc.id. = Indifferenza

La locuzione “venì p’u rüme sottavjinde” alla lettera significa: Venire con il remo sottovento.

Si dice così perché, secondo la mia opinione (opinabile), il remo posto di taglio, non oppone alcuna resistenza alla forza del vento, e si insinua facilmente nel flusso d’aria.

In realtà vuol dire: ostentare indifferenza mentre si ha le orecchie tese; inserirsi quasi distrattamente tra alcune persone riunite, fingendo di non porre alcuna attenzione ai loro discorsi, dissimulando indifferenza.

Quando qlcu se ne accorge lo affronta di petto: Mò te ne vjine per ‘stu rüme sottavjinde e vjine a sènde i càzze nùstre! = Adesso ti avvicini con il tuo fare indifferente e vieni ad spiare le nostre opinioni.

 

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