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Pazziarjille

Pazziarjille agg. = faceto, giocherellone

Si riferisce a qualcuno che ama scherzare.

Reca allegria e gioia, sia davanti ad un solo uditore, sia nel mezzo di un gruppo di amici,  perché è divertente, arguto, scherzoso, pungente, brioso, e ironico. Insomma con costui non si rischia di annoiarsi.

Fortunatamente questi soggetti esistono anche nella versione femminile, e sono dette pazziarèlle.

Apprüme Giuànne jöve numónne pazziarjille: pò, döpe, ì jüte abbàscia fertüne…= Prima Giovanni era molto divertente: poi, dopo, ha avuto un rovescio di fortuna (è andato in bassa fortuna)…

Nel napoletano ‘o pazzariello è tutt’altra cosa. Tutti conosciamo quello interpretato da Totò: un imbonitore da strada accompagnato da piffero e tamburi.

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Pazzjé

Pazzjé v.i. = Giocare, scherzare

Comportarsi, esprimersi, parlare, discorrere senza serietà e impegno, facendo scherzi, prendendosi gioco di qcn. o di qcs.

Ma tó pazzjìje o fé all’averamende? = Ma tu scherzi o fai sul serio?

Chi si comporta in questo modo faceto è detto pazziarjille

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Pe-d-üne

Pe-d-üne agg. = Per ognuno, per ciascuno

Aggettivo indefinito con valore distributivo.

Dovrebbe essere pe jüne = per uno. Ma la tradizione inserisce una -d- eufonica fra le due voci: pe-d-üne.

Un po’ come fanno anche i Francesi che usano una -t- eufonica [ad esempio: forma affermativa il reste = egli resta; forma interrogativa reste-t-il? = resta lui?]. Ecco perché ho usato la grafia con la -d- com’è nella nostra parlata.

Mi viene in mente una bellissima canzone francese di Charles Trénet risalente al 1958:

“Que reste-t-il de nôtre amour?
que reste-t-il de ces beaux jours?
Une photo, vieille photo de ma jeunesse”

[Che rimane del nostro amore? Che cosa resta di quei bei giorni? Una fotografia, una vecchia foto della mia giovinezza]

Scusate la divagazione causata dal sentimentalismo personale de ma jeunesse… M’è scappato!

Ammetto anche la forma scritta pedüne, per pura comodità, tanto si legge allo stesso modo… Non mi sembra il caso di essere troppo integralisti e puristi.

Amme cugghiüte i mènele e àmme fatte tanda pedüne = Abbiamo raccolto le mandorle e abbiamo diviso tanto per ciascuno.

Fatjéme ‘nzimbre e pò facjüme tanda pedüne = Lavoriamo insieme e poi dividiamo (il compenso) tanto ciascuno

La facce jì mèzza pedüne = Condividiamo la brutta figura.
Alla lettera significa “La faccia è metà ciascuna”.
La “faccia” in questo caso fa riferimento alla locuzione “perdere la faccia” nel significato di fare una figuraccia.

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Pe’

Pe’ prep.sempl. = Per, con

In dialetto ha doppia valenza.

1) Nel significato di con, ossia affiancamento, connessione. Anche a Monte Sant’Angelo viene inteso allo stesso modo.
Il prof. Michele Ciliberti ritiene che sia un uso iperestensivo di “per” con valore di favore, gratitudine e, quindi, compagnia e/o unione.

Alcuni esempi:
Cungètte sté pe’ mè
. = Concetta sta con me.
Mattöje, vògghje parlé ‘nu pöche pe’ tè = Matteo, voglio parlare un po’ con te.
‘U chéne p’a cöda tagghjéte = Il cane con la coda mozzata.


2) Nel significato proprio di
per, ossia attraversamento, percorso, tramite

Viaggéme pe’ tèrre, pe’ cjile e pe’ mére = Viaggiamo per terra, per cielo e per mare.
Ce facèmme ‘na camenéte pe’ mjizz’a chjazze = Ci facemmo una passeggiata per il Corso.
Se ne jöve pe’ mè, vüje stèvete angöre allabbàsce = Se non era per me, voi sareste rimasti ancora laggiù.
Pe mmè ce völe ‘n’ata ‘ggionde = Per me (secondo me) ci vuole un’altra aggiunta (per raggiungere la misura giusta).

La preposizione articolata p’a, p’u, p’i, introduce il complemento di mezzo:
So jüte a Röme p’u tröne = Sono andato a Roma in treno.
Süme arrevéte p’a pustéle = Siamo arrivati col pullman.

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Peccenìnne

Peccenìnne agg. = Piccolo, piccino

Di dimensioni inferiori a quella che si presume normale.

Riferito alle persone di età giovanissima. Bambini, pre adolescenti.

Al femminile fa peccenènne

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Pecciöne

Pecciöne s.m. = Vulva

Definizione scientifica: Insieme degli organi esterni dell’apparato genitale femminile, situati sotto il trigono urogenitale e dinanzi al pube. Al plurale fa pecciüne.

Volgarmente è detta peccjàcche s.f., peccjacchélle s.f.. peccjacchjille s.m. e peccjaccöne s.m. a seconda dell’età e soprattutto dell’avvenenza della sua posseditrice.

Talora, sempre volgarmente, è detta anche perchjacche s.f. e ciànne s.m.

‘U pecciöne de màaaamete! = Urlo di reazione di ragazzini vittime di un fallaccio durante le fasi di gioco di calcio alla terra gialla (Piazzale Ferri) quando gli arbitri erano gli stessi giocatori, e non c’era l’uso di rotolarsi per terra dopo aver preso la botta.

Un simpatico sfottò: Che te mànge pe’ ciöne? Pecciöne! = Che mangi per cena? Piccione!
L’ambiguità è data dalla doppia c…

Comunque ciöne s.f. = cena, è un termine abbastanza recente.

Divertentissimo il sostantivo sciacqua-pecciöne per significare una sbobba, una minestra senza sapore, una brodaglia insipida.

Meglio che mi fermi qui, altrimenti questo mio faticoso lavoro di ricerca linguistica rischia di essere bloccato dai benpensanti.

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Pechèsce

Pechèsce s.f. = lembo, orlo

Dicesi di lembo della sottoveste che fuoriesce dal bordo della gonna perché non ben sostenuto in vita.

Al maschile è una camicia che sporge in lunghezza dalla giacca.  È detto anche (clicca→) pèttele.

Aggióste ‘a sottavèste ca ce vöte ‘a pechèsce = Regola la sottana, perché si vede (fuoriesce) l’orlo.

Indice di sciatteria, trascuratezza. Designa anche una persona sciatta, trascurata.

Sorprendentemente ho trovato sul Dizionario Etimologico Italiano il termine Pechesce.
Trascrivo alla lettera:
«Pechesce ted. peketsche: dal polac BEKIESZA, ungh. BEKÈS, che è il nome di una Veste di sopra, di pelliccia, guarnita di alamari e fiocchi.»

Immagino che era una Veste lunga, ben al di sotto di un capporto, e che quindi usciva dall’orlo di quest’ultimo.

Pare che sia anche un abito maschile, tanto che Pascoli ne parla:

Bisogna che mi metta quel pechesce lungo! Oh! che tormento! E dovrei farmi la barba, ma non ne ho punta punta voglia!

In ogni caso è qualcosa di lungo o troppo lungo!

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Pecuzze

Pecuzze s.m. = Questuante, cercatore.

Era generalmente un frate laico che girava per masserie in cerca di cibarie per la sua comunità.
Si spostava con un carretto trainato da un mulo.   La foto (tratta dal web) ritrae uno frate addirittura motorizzato, evidentemente di epoca relativamente più “moderna” rispetto ai miei ricordi.

Raccontava ai coltivatori storie garbate e/o divertenti, e riceveva in cambio frumento, vino, olio, mandorle, orzo, arance, limoni, cotogne, ecc., che accumulava in vari sacchi, in damigiane o in cassette che portava con sé.

Era conosciuto da tutti ed accolto con simpatia. Spesso era invitato a sedersi a tavola per pranzare assieme  fattore e alla sua famiglia.

A sera ‘u pecuzze ritornava al convento, scaricava le vettovaglie e l’indomani ripartiva per un altro giro nelle campagne della Capitanata. Difatti il termine era conosciuto in tutta la Daunia.

Ecco la definizione e l’etimo riportato nel prezioso “Dizionario Dialettale Cerignolano” del dott.Luciano Antonellis:
«pecuzze2 s.m. (sp. bigoz, fr. bigot) Frate laico»

Il termine pecùzze finì per designare una persona rozza nell’abbigliamento e magari anche nei modi.

Come sinonimo si usavano le perifrasi mòneche cercatöre = monaco cercatore o ca vé facènne la cèrche = che va facendo la cerca, la questua.

Ora sia la figura del frate questuante, sia il termine stesso sono scomparsi dalla vita e dal linguaggio comune.
L’ho voluto ricordare perché era parte della nostra vita, ammirando soprattutto la solidarietà viva che esisteva in quei tempi difficili.
Ringrazio i lettori che mi hanno spiegato che il termine pecuzze è usato anche come soprannome col quale è conosciuta la famiglia Bottalico.

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Peddìtre

Peddìtre s.m. = Puledro

È il cavallo giovane, il piccolo degli equini in genere.

Noi abitatori di città lo chiamavamo più semplicemente cavallócce = cavalluccio.

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Pedeciüne

Pedeciüne s.m. = Peduncolo, picciuolo

Il peduncolo è un gambo piccolo e sottile che sostiene un organo vegetale. Per esempio quello del pomodoro, della ciliegia, della mela, della foglia, del riccio di castagna. ecc.

Per estensione a Manfredonia intendiamo con pedecjüne anche i filamenti di bisso che fuoriescono dalle cozze e che le tengono attaccati agli scogli.

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