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Paröla möje ai chéne (La)

La paröla möje ai chéne loc.id. = Non sia mai

Alla lettera: La parola mia ai cani.

Si usa questa locuzione prima di pronunciare qls cosa che possa essere mal interpretato dall’interlocutore.

Si preferisce chiarire che quello che si sta per dire di spiacavole non debba nuocere ad alcun essere vivente, tranne i cani. Perciò è meglio che questi siano senza proprietari.

Un po’ come ‘nziamé, allonghe da ‘gnüne, allonga süje

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Pàrte

Pàrte s.f. = Parte, porzione

Un termine  poliedrico!

1) La pàrte, ciascuna delle frazioni o degli elementi in cui può essere suddiviso o scomposto un intero.  In dialetto esiste un significativo proverbio con questo termine: Chi sparte jéve ‘a megghja parte

Quèst’jì ‘a parta töve. Fàttele abbasté = Questa è la tua porzione. Fattela bastare. Evidentemente il poverino è a dieta e riceve le porzioni ridotte!

2) Fé alla pàrte = Fare alla parte. In dialetto significa associarsi al 50% (fifty-fifty)in qlc impresa commerciale, o anche semplicemente per spartirsi amichevolmente a metà la posta in gioco in una partita a carte.

Credo che sia tuttora in uso fé alla parte nel raccogliere le olive nei piccoli oliveti. Il proprietario delle piante chiama qlc conoscente che provvede alla raccolta. Le olive vengono portate al frantoio e l’olio ricavato si suddivide a metà tra il proprietario delle piante e colui che le ha raccolte.

3) ‘A pàrte = Lo spartito musicale scritto per ognuno degli strumenti di un’orchestra, ricavato dalla partitura (generale) ad uso del Direttore. .

4) ‘A parte a ssöle = L’esecuzione musicale del solista.  Aspettéte ca mò ‘a trombe uà féje ‘a parte a ssöle = Aspettate che ora la tromba eseguirà un pezzo da solista.

5) Parte =  partire, verbo declinato al presente (Giuanne parte jogge = Giovanni parte oggi) o all’infinio (Mattöje nen völe parte = Matteo non vuole partire).

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Pasque

Pasque sf= Pasqua di resurrezione

La Pasqua è una Festa mobile (non come il Natale che da secoli ricorre in una data fissa), perché secondo la tradizione ebraica, la Pasqua da essi festeggiata ricorda il “passaggio” dalla schiavitù d’Egitto alla libertà del Popolo di Israele per mano di Mosè.

Questa data coincide con il primo sabato dopo la luna piena di primavera. Gesù ha festeggiato con i suoi apostoli la Cena di Pasqua, ricordando proprio l’impresa di Mosè. Subito dopo fu catturato ed ucciso.

La Pasqua cristiana è detta appunto «Pasqua di Resurrezione», coincidendo spesso, secondo il calendario, con quella ebraica, perché cade la prima domenica dopo il plenilunio di primavera.

La tradizione popolare del nostro territorio dava all’Epifania (6 gennaio, manifestazione del Signore) l’epiteto di «Pasqua Epifania» (‘a Pasqua Bufanüje).

In altre parti d’Italia riconosceva la Pentecoste (50 giorni dopo Pasqua, ossia la discesa dello Spirito Santo sopra gli Apostoli sotto forma di fiammelle) col nome di «Pasqua delle rose». Il nome deriva dai petali di rosa che si lasciavano cadere sopra i fedeli dall’alto delle chiese, a simboleggiare le divine fiammelle.

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Passaméne

Passaméne s.m. = Corrimano

Lunga asta di metallo o legno infissa lungo la parete della scalinata con sostegni distanziati, che serve come appoggio.

È presente anche sui mezzi di trasporto urbani, in forma tubolare, cui si aggrappano i passeggeri per sorreggersi durante la corsa.

Intendiamo con passaméne indicare anche la parte superiore ringhiere, parapetti, perlopiù in ferro, o legno, di balconi, scale, terrazze ecc.

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Passarèlle

Passarèlle s.f. = Passera di mare, o passera pianuzza

A volte viene chiamata rennenèlle = rondinella.
Si tratta di un pesce di mare (Platichthys flesus) che con i passeri (passarèlle significa passerina) ha  in comune forse il solo colore cangiante del mantello.
Appartiene alla specie delle Platesse atlantiche.

Come tutti i pesci congeneri (sogliola, suacia/cianchetta/zanghetta, platessa, limanda, ecc…) ha  il corpo appiattito di forma ovaleggiante e gli occhi su un solo lato della testa.
Possiede notevoli capacità mimetiche.  Spesso  per sfuggire ai predatori o per praticare la caccia, si copre della sabbia del fondale, da cui spuntano solo i suoi occhi protuberanti.
Si nutre di invertebrati e di piccoli pesci, soprattutto ghiozzi.

La lunghezza massima è di 40 cm. Vive anche in Adriatico.
Carni apprezzate.

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Passé ‘a revìste

Passé ‘a revìste loc.id. = Perquisire

Alla lettera significa “passare la rivista” ma non nel senso di porgere un “magazine”, un rotocalco…

Si avvicina di più – per assonanza – a rovistare, frugare. Questi due verbi si riferiscono all’ispezione condotta su oggetti o in ambienti (bauli, scantinati, soffitte, campi, armadi, ecc.)

Specificamente passé ‘a revìste significa perquisire, cioè ricercare sulla singola persona oggetti indesiderati (armi, droga, lame, esplosivi o altro) prima di ammettere l’ingresso in luoghi sicuri.

L’ho sperimentato al “servizio di sicurezza” dell’Aeroporto di Palese:  al mio passaggio si è acceso l’allarme del metal detector perché distrattamente non avevo cavato le bretelle. Subito un Agente (armato) mi ha invitato a seguirlo e in un altro vano mi ha passéte ‘a revìste, palpeggiandomi dappertutto….
Assicuratosi che non ero un terrorista, perché senza le bretelle addosso il metal detector non dava alcun segnale, mi ha permesso l’ingresso al gate.

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Pàsse ‘nnande pàsse

Pàsse ‘nnande pàsse loc.id. = Gradualmente, a piccoli passi.

La locuzione, oltre che in modo figurato col significato di progresso graduale e costante, descrive anche una reale passeggiata che si protrae piano piano abbastanza a lungo.

In italiano, stranamente, si dice “un passo dietro l’altro” o anche “passo dopo passo”: ma che succede, si cammina all’indietro? È certamente più realista il nostro modo di dire, che tradotto alla lettera significa: “un passo avanti l’altro”.

Passe ‘nnande passe e süme arrevéte a Sepònde = Quasi senza accorgersene siamo giunti a Siponto. Una bella passeggiata!

Passe ‘nnande passe e quedda fìgghje j’ì rrevéte alla làurje
 = Piano piano quella nostra figliola è giunta alla laurea. Brava!

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Paste

Paste s.f. = pasta

Come in italiano, il sostantivo “pasta” ha diversi significati.

1. Paste =  prodotto delle pasticcerie. Esistono nelle varietà paste frešche (glassate, variamente farcite di crema, panna, o cioccolato) e paste sècche (con mandorle, canditi, cacao o altre golosità). 

2. Paste =  alimento di semola, anche in questo caso fresca (recchjetèlle, ‘ndurce, mèzze fainèlle, làine,  ecc.) o secca (lenguïne, züte, pènne, tubbettüne, scorza-nucèlle, falatille, mìzze-züte, ecc.)

3. Paste = impasto di farina acqua e lievito per fare  pane, pettole,  focacce e panzerotti.

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Pastöravacche

Pastöravacche s.m. = Cervone


Il cervone (Elaphe quatuorlineata) è il più lungo serpente italiano ed uno tra i più lunghi d’Europa. La sua lunghezza può variare dagli 80 ai 240 cm, anche se raramente supera i 160. È di colore bruno-giallastro con le caratteristiche quattro scure barre longitudinali (da cui il nome scientifico). Vive nel sottobosco fino a 1000 m di altitudine. Non è velenoso.
Il nome deriva dalla “pastoia”, un legaccio che si pone alle zampe anteriori o posteriori dei quadrupedi per impedirne il movimento. Per esempio era usato per immobilizzare le mucche durante la mungitura.

Curiosità da Wikipedia:
“Secondo alcuni il nome cervone deriva dal fatto che i pastori che lo vedevano durante la muta scambiavano la pelle secca della testa per delle corna. Per altri il nome è dovuto alle piccole escrescenze presenti sul capo. Per altri ancora le corna sono virtuali ed indicano la nobiltà di questo serpente, tra i più grandi d’Europa.

È anche chiamato Pasturavacche in quasi tutte le regioni del centro-sud, in quanto la credenza popolare voleva che fosse attirato dal latte delle vacche e delle capre al pascolo, e che per procurarselo si attaccasse alle mammelle degli animali, o addirittura lo leccasse dalle labbra sporche dei lattanti.”

Insomma, fungeva esso stesso da pastoia per tenerli fermi, allacciandosi alle loro zampe posteriori.

Tutti ci credevano e gli anziani giuravano che era la verità!

Addirittura mia nonna mi raccontava che il serpente usasse penetrare di notte nelle case di campagna attratto dall’odore del latte e, una volta infilatosi nel letto, si attaccava al seno della donna per succhiarne a volontà. Per evitare che il pupo si svegliasse, gli poneva perfino in bocca l’estremità della sua coda… Giurava che era vero!

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Pastöre

Pastöre s.f. = Bandana a tracolla, pastoia

1) ‘A pastöre = Striscia di robusta tela olona cucita ad anello che i pescatori adibiti a salpare la sciabica portavano a tracolla. L’anello di tela terminava con una sagola e un grosso sughero.

I pescatori entravano in mare finché il pelo dell’acqua lambiva il ginocchio.

Avvolgevano con un rapido movimento la sagola al tirante della rete e spingendo con la forza muscolare come i muli attaccati all’aratro, portavano la rete della sciabica fino a riva, ripetendo il movimento di andata in acqua a vuoto e ritorno alla battigia sotto sforzo.

2) ‘A pastöre = Pastoia. Corda legata alle zampe degli animali per ternerli frenati.
Si lega alle zampe anteriori degli animali al pascolo, per evitare che si allontanino troppo.
Usata anche per le bestie da latte per tenerle ferme durante la mungitura manuale.

3) ‘U pastöre s.m. = Pastore. Chi custodisce e porta al pascolo il bestiame, spec. ovini e caprini. Comunque questo termine in dialetto manfredoniano è piuttosto desueto. Si preferisce dire più specificamente: pecuréle = pecoraio; crapére = capraio; e vacchére = bovaro, vaccaro.

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