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Puperéte

Puperéte s.m. = Taralli dolci.

Taralli dolci, speziati con cannella e chiodi di garofano dall’impasto duro e compatto.

Talvolta l’impasto contiene il vünecùtte = vino cotto, o meglio mosto cotto. I puperéte allora assumono una colorazione più scura.

Quando si vuole rimarcare la carnagione scura di qlcn, si dice: assemègghje a ‘nu puperéte (o a ‘nu taràlle) de vünecùtte = somiglia a un tarallo impastato con il mosto cotto.

Si preparano in tutti i paesi Garganici. Chiamati pi\ o meno uguali>
A San  Severo Puperete
A Foggia Pupurati o Peperati
A San Giovanni Rotondo Prupate.

I negozianti di Monte Sant’Angelo hanno inventato per i  turisti il termine “popirati”. Lo sottoponiamo all’Accademia della Crusca?

(foto da il sipontino.net)

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Puppéte

È corretto anche l’omofona appuppéte (=’a puppéte. l’appuppéte).

Danno procurato da un imbroglione, inganno

Puppéte de cüle = fig. Girata di spalle. Virata di poppa. Dare una fregatura

Fé ‘a puppéte significa fare un ‘bidone’, non pagare un debito, non mantenere un impegno.

Origine locale del “detto”: Si tratta di un plateale gesto di una vecchietta che, per le sue ristrettezze economiche, era costretta a comprare ”a credenze” i generi di prima necessità.
Al bottegaio – che le chiedeva il saldo del conto in preoccupante crescita – lei volse le spalle, sporse le terga verso di lui, come per offrirsi sessualmente, e gli disse: “Tèh, pìgghjete pajéte!” = “Tieni, pàgati il tuo credito”, e scappò via tra lo sbigottimento del commerciante, rimasto a bocca aperta, e le risate degli altri clienti presenti nel negozio.

Un’autentica appuppéte de cüle.

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Pupüte 

Pupüte s.f. = Epitelioma.

In veterinaria si intende quella malattia infettiva dei polli che provoca la formazione di una pellicola bianca sul dorso della lingua, impedendo così all’animale di deglutire.

T’avèsse a venì ‘na pupüte alla lènghe! = Ti dovrebbe spuntare un epitelioma sulla lingua! (così, per il dolore, la smetti di borbottare o di lamentarti sempre).

Simpaticamente si rivolge questo “augurio” a quelli che hanno sempre da brontolare.

Si intende anche descrivere con questo termine quella sottile pellicina che si solleva ai bordi o alla base delle unghie delle mani, a causa del freddo o per l’azione dei detersivi.

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Purcìgne

Purcigne agg. = maialesco, porcino, tipico del suino.

Era usato principalmente come aggettivo per definire un occhio piccolo e tondo.

Capitava che i bimbi si ostinassero a rimanere svegli mentre il sonno li assaliva.

Vàtte cùleche, ch’à fatte l’ucchje purcìgne = Vatti a coricare, non ti accorgi di averfatto gli occhi piccoli e rotondi (per il sonno) come quelli dei maiali.

Qualcuno dice anche purcjille = porcellino. Agghje fàtte l’ucchje d’u purcjille = Ho gli occhi assonnati (piccoli e tondi come quelli del maialino).

Solo i maggiorenni possono cliccare qui.

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Purcjille Sant’Andùnje

Purcjille Sant’Andùnje s.m. = Coccinella comune

Ecco il testo tratto da Wikipedia:
“La coccinella comune (Coccinella septempunctata). è la più conosciuta fra le Coccinellidae.  Le elitre sono del tipico colore rosso accesso, con la presenza di tre punti neri per ogni elitra, ed uno sulla commissura, per un totale di sette punti, da cui deriva il nome di coccinella dai sette punti.  La Coccinella vive in ogni parte del mondo, e ovunque siano presenti gli afidi, che sono gli insetti che maggiormente fungono da base nella dieta delle coccinelle. Sia le larve che gli adulti della coccinella sono predatori degli afidi, e ciò permette il controllo naturale della crescita numerica degli afidi. La stessa agricoltura biologica utilizza le coccinelle come strumento nella lotta biologica per combattere le infestazioni da afidi, permettendo una significativa riduzione nell’uso di pesticidi”.

Dopo questa bella spiegazione scientifica di Wikipedia, io mi chiedo perché in dialetto la coccinella viene chiamata purcjille Sant’Andùnje… = Porcello di Sant’Antonio Abate.

Va bene che il Santo è raffigurato con un maialino, ma non con la coccinella!

Vediamo un po’…..Il Santo è festeggiato il 17 gennaio, inizio di Carnevale…

Mi sa che il colore rosso acceso delle elitre punteggiate di nero di questo simpaticissimo insetto  ricorda un naturale vestitino di carnevale!

È uno dei pochi insetti che non dà un senso di ribrezzo nel vederli, come accade per gli scarafaggi, i ragni, le mosche o le cavallette.

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Püre

Püre avv. = Anche

Pure, ugualmente, altresì, perfino, finanche, per di più, oltre a ciò.

Quann jì arrevéte Manzegnöre a Mambredònje stöve püre jü = Quando è giunto l’Arcivescovo a Manfredonia c’ero anch’io.

Püre Luìgge ca ne jöche méje stöve alla tàvele = Perfino Luigi che non gioca mai (a carte) era (seduto) al tavolo (da gioco).

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Purté ‘a paröle

Purté ‘a paröle loc. id. = Fidarzarsi ufficialmente

Sono cose d’altri tempi. I genitori dello sposo si recavano in casa della futura sposa per la prima volta per conoscere i suoi familiari e magari stabilire le condizioni reciproche di dotazione.

Per prima entravano nella casa della sposa i futuri suoceri. Parlottavano un po’ con i consuoceri, e se tutto filava come ci si aspettava, il papà della fanciulla le diceva che il ragazzo poteva entrare, perche veniva “accolto” nella nuova famiglia.
Subito la donzella si affacciava all’uscio e invitava ad entrare il giovanotto emozionato in trepidante attesa sulla strada.

Rosolio e pizzarelle. Poi veniva consegnato dalla suocera un anellino e una collanina alla futura sposa.

A volte c’era una persona che aveva fatto da tramite. Costei o costui recitava quasi come una poesia di presentazione:

“Cóste jì ‘u giòvene, quèsta jì ‘a giòvene!
U giòvene jì fatiatöre e sesteméte de chése.
A giòvene jè ‘ndre chése, aggarbéte, e setuéte!
A paröla möje ‘ndèrre nen m’jì cadüte”.

Ossia: questo è lo sposo e questa è la sposa. Il ragazzo è lavoratore e possessore (addirittura di una) casa. La ragazza è casalinga, garbata, laboriosa e ben sistemata (economicamente). La mia parola non è mendace (Mado’ che parola!) ossia non dico falsità.

C’erano addirittura i ringraziamenti dei quattro consuoceri per aver fatto combinare questo matrimonio tra i loro figli:

Cumbé/cummé, n’dabbaste a rengrazzjé! = Compare/comare, le parole non sono sufficienti per esprimerti i nostri ringraziamenti.

Io intanto ringrazio Enzo Renato per il suggerimento.

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Purté ‘ngambéne

Purté ‘ngambéne loc.id. = Protrarre, prorogare, rimandare la conclusione di un affare, di un accordo, rinviare, posticipare.

Alla lettera: portare in campana. Questa locuzione idiomatica locale ha una variante: si può ripetere una o due volte ‘ngambéne come fosse un rafforzativo.

Fajöle me sté purtànne ‘ngambéne ‘ngambéne e ‘a cazze d’a chése nen me la làsse angöre = Raffaele sta rimandando di mese in mese (sta protraendo la data del) il rilascio della mia casa.

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Purté ‘u quédre alla Madònne de Sepònde

Traduzione letterale: Portare il quadro alla Madonna di Siponto. Il famoso ex-voto “per grazia ricevuta”.

Era considerato un gesto di grande devozione quello di portare alla Madonna Sipontina un quadretto di stile naif in cui erano illustrate le circostanze che avvaloravano lo scampato pericolo per l’intervento della Vergine.

Un atto di ringraziamento e di devozione, quindi, che si poteva esternare anche  più semplicemente andando a piedi, e talvolta scalzi da Manfredonia alla Basilica di Siponto.

Se qualcuno era scampato a un pericolo, trovava sempre chi gli consigliava di portare un quadretto di ringraziamento a Siponto. Come per dire, ringrazia Dio di come ti è andata. Potevi restarci secco.

Va pùrte ‘nu quédre alla Madonne de Seponde!.

Per impetrare un intervento autorevole alla Beata Vergine, talvolta si tira in ballo il “quadro” magari in forma semi-seria.

Pe nen fàrle parlé chjò, jèsse alla scàveze a Sepònde! = Per farlo tacere andrei a piedi scalzi a Siponto (per ringraziare la Madonna dopo avergli tappargli la bocca! Evidentemente l’interlocutore è troppo ciarliero).

Se te pìgghje ‘stu cazze de deplöme, véche alla scàveze a Sepònde! = Se riuscirai finalmente a diplomarti, andrò scalza a Siponto come segno di ringraziamento (cuore di mamma).

Un po’ come il ferro a San Leonardo (←clicca)

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Purtjàlle

Purtjalle s.m. = Arancia

Arancia (Citrus aurantium) Pianta arborea sempreverde della fam. delle Rutacee, con rami spinati, fiori bianchi odorosi (zagara), frutti commestibili tondeggianti (endocarpo suddiviso in spicchi), di colore tra il giallo e il rosso, polposi e succosi.

La parola dialettale proviene dal turco Purtakàl = Arancia e non, come sembra facile arguire, dallo stato iberico del Portogallo.

I Napoletani asseriscono che ai tempi della dominazione francese, nel corso della distribuzione delle arance ai soldati, gli addetti dicessero «pour toi» (leggi purtuà), ossia “per te”.

Altra ipotesi napoletana sull’origine del nome si orienta sull’aggettivo “portuale”, perché indicava il luogo ove si imbarcavano le arance destinate all’esportazione.

Ho scoperto casualmente che anche in alcune altre lingue si chiama con voce simile alla nostra.

Romania  portocală
Arabia alburtuqaliu
Grecia πορτοκάλι (leggi portocali)
Albania
portokalli   

I fiori d’arancio in italiano sono simbolo e sinonimo di nozze.

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