Sono cose d’altri tempi. I genitori dello sposo si recavano in casa della futura sposa per la prima volta per conoscere i suoi familiari e magari stabilire le condizioni reciproche di dotazione.
Per prima entravano nella casa della sposa i futuri suoceri. Parlottavano un po’ con i consuoceri, e se tutto filava come ci si aspettava, il papà della fanciulla le diceva che il ragazzo poteva entrare, perche veniva “accolto” nella nuova famiglia.
Subito la donzella si affacciava all’uscio e invitava ad entrare il giovanotto emozionato in trepidante attesa sulla strada.
Rosolio e pizzarelle. Poi veniva consegnato dalla suocera un anellino e una collanina alla futura sposa.
A volte c’era una persona che aveva fatto da tramite. Costei o costui recitava quasi come una poesia di presentazione:
“Cóste jì ‘u giòvene, quèsta jì ‘a giòvene!
U giòvene jì fatiatöre e sesteméte de chése.
A giòvene jè ‘ndre chése, aggarbéte, e setuéte!
A paröla möje ‘ndèrre nen m’jì cadüte”.
Ossia: questo è lo sposo e questa è la sposa. Il ragazzo è lavoratore e possessore (addirittura di una) casa. La ragazza è casalinga, garbata, laboriosa e ben sistemata (economicamente). La mia parola non è mendace (Mado’ che parola!) ossia non dico falsità.
C’erano addirittura i ringraziamenti dei quattro consuoceri per aver fatto combinare questo matrimonio tra i loro figli:
Cumbé/cummé, n’dabbaste a rengrazzjé! = Compare/comare, le parole non sono sufficienti per esprimerti i nostri ringraziamenti.
Io intanto ringrazio Enzo Renato per il suggerimento.