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Pjöne

Pjöne s.m. = Manciata, giumella

Veramente in italiano “manciata” significa: quantità di cose che possono essere contenute in una sola mano (in dialetto ‘na ciambéte).

Invece pjöne è quello che si riesce a raccogliere con due mani unite a coppetta, con le palme rivolte in su, facendo combaciare la destra e la sinistra per la parte dei due mignoli.

Si raccolgono così, per farne modesti spostamenti, particelle di sostanze varie (riso, briciole, sabbia, e anche liquidi). Tipico è l’uso che se ne fa per lavarsi il viso, usando le due mani per raccogliere l’acqua corrente.

Probabilmente esiste anche in italiano un termine specifico. Chiedo aiuto agli esperti per l’aggiornamento di questo articolo.

Il lettore Sator (che ringrazio) dice che il termine italiano corrispondente a pjöne è giumella.

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Platò

Platò sm = Vassoio.

Noi per platò intendiamo le cassette di frutta a un solo strato, come quella delle pesche.

Il termine viene dal francese Plateau (pronuncia identica, ma con la o stretta) = vassoio, piano (esempio plateau à fromages)

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Pógghje

Pógghje (alla) top = Puglia piana

Pógghje, si pronuncia con la ó molto stretta.

Con il termine alla Pógghje intendiamo indicare solo il Tavoliere di Puglia, ossia la Puglia piana.

A Manfredonia la Pógghje è la Puglia piana, ossia il Tavoliere, in contrapposizione alla Puglia garganica o alla Puglia Murgiana (Terra di Bari ) o alla Puglia Salentina di cui non si sapeva nemmeno l’esistenza.

In effetti i braccianti agricoli locali non si spingevano oltre la Daunia pianeggiante durante la stagione del raccolto cerealicolo.

Auànne so stéte a fatjé alla Pógghje = Quest’anno sono stato a lavorare nella Puglia piana

 

 

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Pòlece

Pòlece s.m. = Pulce

Insetto parassita dell’uomo (Pulex irritans).

E’ di minuscole dimensioni e di colore rossiccio, privo di ali e con le zampe posteriori molto sviluppate e atte al salto, il cui morso è particolarmente fastidioso per il prurito che provoca.

Al singolare suona ‘u pòlece, plurale con la o stretta si pronuncia ‘i pólece

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Pólepe

Pólepe s.m. = Polpo


Il polpo comune o piovra (Octopus vulgaris) è un cefalopode della famiglia dei Octopodidae.

Ha la capacità di cambiare colore molto velocemente e con grande precisione nel dettaglio.

Grazie a questa abilità riesce a mimetizzarsi e a comunicare con i suoi simili.

Caratteristica principale è la presenza di una doppia fila di ventose su ognuno degli otto tentacoli che lo distingue dal moscardino (ugualmente con otto tentacoli ma con una sola fila di ventose).

Trova applicazione nella gastronomia locale. Per renderlo più tenero, si usa “sbatterlo” ripetutamente contro gli scogli o un’asse in modo da spezzargli le fibre.

Ottimo a ragù o in insalata o arrostito nel cartoccio.

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Pòlve-cìprje

Pòlve-cìprje s.f. = Talco s.m.

Qualcuno asserisce che si diceva pùm-cìprjepombe-cìpre o pomme-cìprje= Pompa di cipria, ricordando il barattolino di latta della Roberts per il suo Borotalco.

Io ricordo che mia madre lo chiamava “ ‘a pòlve-cìprje” = Polvere di cipria

A me sembra più attendibile quest’ultima dicitura..

Ora tutti chiamano il prodotto “Borotalco” anche se si tratta di altre marche.

Il talco si comprava a buste (verdi come quelle di oggi), e veniva travasato in una scodellina di celluloide (non era stata inventata la plastica). Un grazioso e bianco piumino di lana di agnello, munito di occhiello di osso per sollevarlo, serviva ad aspergere la sottilissima polvere bianca sotto le ascelle e fra i prosperosi seni delle donne di una volta.

Forse non si trattava di prodotti di gran qualità ma certamente il profumo di quel talco è rimasto uno dei più bei ricordi della nostra infanzia.

Fortunatamente questo prodotto si trova identico ancora in commercio dopo oltre cento anni dal’inizio della sua distribuzione, e trova sempre i suoi estimatori.

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Pompe ‘u flìtte

Pompe ‘u flìtte s.f. = Nebulizzatore

Premessa indispensabile: il FLIT era un nome commerciale, forse un’abbreviazione di fly-tox = veleno per gli insetti volanti, prodotto dalla Esso, composto da petrolio e piretro. Veniva venduto il lattine con il tappo a vite, come il diluente per vernici. Il nome proprio è diventato nome comune, come biro, rimmel, eternit, terital, ecc.

La pompe ‘u flitte – chiamata dagli Americani “Flit gun” = canna/cannone per il Flit – era un attrezzo domestico per nebulizzare un qualsiasi insetticida liquido. 

Consisteva in un serbatoio contenente l’insetticida, ed un cilindro in cui scorreva la pompa manovrata a mano, come quella della bicicletta. Il getto d’aria usciva attraverso un forellino e risucchiava il flit dal serbatoio attraverso un tubicino che pescava nel liquido, posizionato a 90° dall’ugello dell’aria, e lo spargeva nebulizzato nel locale da liberare da mosche e zanzare.

Un passo avanti fu fatto negli anni 40. Per difendere dagli insetti e dai parassiti i soldati americani che combattevano nelle paludi furono rifornì di bombole spray che però erano grosse, pesanti e ingombranti.

Io ricordo che erano di colore nero, e che si trovavano facilmente sul mercato nero, sicuramente trafugate agli Alleati. Una volta aperte, a strappo, erogavano tutto il loro contenuto perché non avevano alcun pulsante d’arresto. Abbiamo poi scoperto che, per interromperne il getto, bastava capovolgere la bomboletta.

Dopo il boom delle bombolette spray, il cui gas di carica si è poi rivelato nocivo all’ambiente, si è fatto ricorso alla semplice aria compressa, come quella della originale pompe ‘u flitte

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Pónde de stèlle

 

Pónde de stèlle loc.id. = Punto fatale, giorno nefasto

 

Nella fantasia popolare, alcune date nel corso dell’anno erano considerate perniciose, funeste, e perciò bisognava stare particolarmente attenti e svegli in modo da evitare infortuni.

Erano considerati giorni infausti, perché lo predicevano le stelle.

Veramente i compilatori di oroscopi parlano di influssi dei Pianeti, ma come fare a spiegare al popolo analfabeta la differenza dei vari corpi celesti, ossia stelle, satelliti e pianeti? Per la gente ignorante i notturni punti luminosi della volta celeste sono tutte stelle!

In punto di stelle ricorrente in certi giorni veniva ricordato dalla mamme premurose ai loro figli quando andavano per mare o nei campi: ca jògge j’ pónde de stèlle… = Poiché oggi è una giornata segnata negativamente dalle stelle. Una sorta di preconfezionato oroscopo sfavorevole.

Si dicono anche (clicca→) jurnéte arrecurdèvele = giornate infauste (che si ricordano).

Ad esempio la terza domenica del mese di aprile dedicata all’Incoronata di Foggia, o il 28 settembre, vigilia della ricorrenza di San Michele Arcangelo.

Particolarmente negativo era considerato il periodo dal 24 giugno (‘a notte de San Giuànne) al 29 giugno (‘a notte de San Pjitre e Pàvele).

Stàteve attjinde ca quìste so’ jurnéte arrecurdèvele: so Pónde de stèlle!”

Per questo motivo il 16 luglio (giorno della Madonna del Carmine) i lavoratori edili di Manfredonia, anche al giorno d’oggi, disertano in massa  i cantieri, consapevoli di perdere la giornata di paga.

 

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Pónde-e-mumènde

Pónde-e-mumènde loc.avv. = ripetutamente, senza sosta, frequentemente, spesso.

Alla lettera significa: punto e momento.

Talvolta la locuzione viene annunciata in modo più completo: ogne e pónde e mumènde= ad ogni momento.
Quelli che parlano bene l’italiano dicono: ad ogni piè sospinto (figuratamente = ad ogni passo).

‘Stu cazze, ogne e pónde e mumènde m’addumanne che jöre jì = Costui ripetutamente mi chiede l’ora.

Nota linguistica:
dopo la congiunzione “e”, che sembra faccia da rincorsa, la consonante iniziale della parola successiva si pronuncia raddoppiata. Preferisco non scrivere il raddoppio, se non in casi specifici.

È quasi una regola di fonetica.

Qualche esempio:
ogne e tande = ogni tanto (si pronuncia “ognè-ttànde“)
màmmete e pàtete = tua madre e tuo padre
pìcche e pe njinde = poco e spesso, sovente
péne e pemmedöre = pane e pomodoro
acque e sapöne = acqua e sapone
córle e zajagghje = trottola e sagola
frìške e tüse = fresco e teso
a ràngeche e mùzzeche (fig. = mediante graffi e morsi) = faticosamente, a stento.

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Pòngeche

Pòngeche s.m. = Pungiglione, spina

Qls oggetto a punta che punge fastidiosamente.

Al singolare si pronuncia con la “ò” aperta:
Tènghe ‘nu pòngeche jind’a scàrpe = Ho un chiodino nella scarpa che mi dà fastidio.

Al plurale con la “ó” chiusa:
I caperrüne tènene i póngeche = I murici hanno dei pungiglioni sulla conchiglia.

Certamente deriva dal verbo pungeché = pungere.

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