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Pesìlle

Pesìlle (o Pesìdde) s.m. = Pisello

E’ una pianta della fam. delle Fabaceae (Pisum sativum) il cui semi, sferici e verdi, sono commestibili e piuttosto dolci.

Una volta si conservavano secchi o in scatola: Orasono diffusissimi quelli surgelati.

Da noi si preparano con la pasta e con la seppia.

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Peškìgne

Peškìgne s.m. = Usta

È l’odore lasciato sul terreno dagli animali selvatici. Un’ottima tracia per i cani da caccia per stanare la selvaggina (volpi, lepri, e cc.). In genere un cattivo odore.

Per affinità viene usato il medesimo termine peškìgne per indicare quell’insieme di alghe, piume di gabbiano, sugheri, ecc. che le onde spingono verso riva e che vanno facilmente vanno in putrefazione liberando un cattivo odore.

Figuratamente si applica a persona di nessun valore,  inaffidabile.

Öme de peškigne = Uomo di poco conto.

Sinonimo fetènde = puzzolente in senso morale, magari è ben profumato, ma “puzza” di malvagità

Ringrazio il lettore Francesco D’Oria per il suggerimento.

Ritengo corretta anche la grafia pešchìgne che produce lo stesso suono.

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Petècchje

Petècchje s.f. = Concia

Ho indicato ‘concia’ come traduzione. Avrei fatto meglio (forse) s designare  “tintura”. Altri intendono, per una simpatica sineddoche (una parte per il tutto)  il solo pentolone usato per tale procedura.

Si tratta di un’operazione che i pescatori facevano alle loro reti, all’epoca costituite da fibre di canapa o di cotone, cioè di materiali del tutto naturali, prima che fossero inventate le  immarcescibili (che bèlla paröle!) fibre artificiali, ossia il rayon e il nylon. Ora non si fa più.

Consisteva nella bollitura delle reti in acqua dolce con corteccia di pino. Il trattamento tannico serviva principalmente per renderle più resistenti  e anche di colore rossiccio scuro, in modo che fossero mimetizzate alla vista dei pesci.

L’operazione si svolgeva generalmente all’aperto, su un’area alla sinistra di Cala Diomede scendendo le scale del Pertüse ‘u Mòneche.

Durante la bollitura dal pentolone si sprigionava un profumo che si spandeva per tutta la marina. Ai terricoli sembrava puzza… ma alla gente di mare era familiare e gradito, come lo è il profumo naturale dell’olio fresco o del mosto.

Figuratevi che un mio caro amico, figlio di pescatori, usava solo un particolare tipo di tè perché gli ricordava l’aroma della petècchje!

Ringrazio Gino Talamo per il suggerimento.

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Petìscene

Petìscene s.f.= Empietìgine

Malattia della pelle, caratterizzata da sfaldamenti e chiazze.

Petìscene erano chiamate anche quelle chiazze che restavano sulla pelle quando era guarita la scabbia.

Per estensione si definiva “petìscene” anche l’attaccatura di due pagnotte di pane infornate affiancate.

Lievitavano per effetto del calore, si dilatavano e si “attaccavano”. Quando il fornaio a fine cottura le separava, le due panelle presentavano una crosta molto più sottile. Talora restava una crosticina staccata, ottima perché croccante.

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Petrusüne

Petrusüne s.m. = Prezzemolo

Pianta erbacea (Petroselinum sativum) della fam delle Ombrelliferae, con foglioline frastagliate di colore verde intenso.

Il nome dialettale petrusüne   deriva direttamente  dal latino petrosèlinum, dal greco petrosèlinon che letteralmente significa sèlino (sedano) delle rocce.

In erboristeria sono usate le radici per le loro proprietà terapeutiche depurative e diuretiche.

In cucina le foglie sono ampiamente usate  per dare sapore a ministre, pesce, verdure, formaggi; vanno aggiunte all’ultimo momento perché con la cottura si perde gran parte dell’aroma.

Se nen mìtte ‘u petrusüne, a menèstre nen sépe de njinte  = Se non metti il prezzemolo, la minestra non sa di nulla

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Pèttele

Pèttele s.f. = Pèttola, frittella

Il nome “pettola” è la versione italianizzata del sostantivo albanese petullat,  passato a noi dai numerosi centri arbëreshë del Sud Italia (Casalvecchio di Puglia, Chieuti, Barile, Ginestra, Maschito, Ururi, San Costantino Albanese, Frascineto, Carfizzi, Pallagorio, Piana degli Albanesi, ecc.)

Si tratta di una frittella di pasta morbida di pane, ben lievitata, cotta in abbondante olio d’oliva. Risulta croccante all’esterno e morbida all’interno.

Qualche massaia incorporava nella pasta, prima di friggerla, dei filetti di alici salate o di baccalà spugnato. Le mamme più abbienti addirittura vi ponevano dei chicchi di uva passa.   Ora sono vendute già pronte nei panifici,  ma solo nella versione base.

Se dopo qualche giorno, le rimanenti pettole si indurivano, bastava riscaldarle, avvicinandole in punta di forchetta, al fuoco del braciere per farle ammorbidire.

Proverbio: I pèttele ca nen ce màngene a Natéle, nen ce màngene ‘chió = Le pettole che non si mangiano a Natale non si mangiano più.    Ossia afferra l’attimo, il giorno (Carpe Diem in versione manfredoniana).

Talvolta viene usato il termine pèttele per designare la (clicca→) pechèsce

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Pettenatöje

Pettenatöje s.f. = Mantellina

E’ uno scialle tipo quello che usano i parrucchieri, ma molto più rifinito e raffinato, spesso adornato con pizzo e ricamo.

Di solito viene regalato alle donne nel corredo prematrimoniale.

Una volta indossata arriva fino all’altezza del gopmito.

Serve a evitare che i capelli caduti durante la spazzolatura o la pettinatura o la messa in piega cadano sul vestito.

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Pèttene

Pèttene s.m. = Pettine

È un termine simil-italiano.
Mentre in lingua indica più genericamente qualsiasi oggetto con i denti usato per riordinare i capelli,  in dialetto  ‘u pèttene  designa “il pettine a denti fitti”, usato in tempi passati, quando non esistevano prodotti specifici, per rastrellare uova di parassiti (i lìnnele = lendini) dal cuoio capelluto, comparse a causa della scarsa igiene personale.

Era elegantemente chiamato così anche il pettine lungo a denti corti usato dai barbieri abili nel loro lavoro di taglio dei capelli a sfumatura bassa eseguito in punta di forbici.

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Pettenèsse

Pettenèsse s.f. = Pettine

Oggetto di vario materiale (osso, tartaruga, legno ecc.), usato per ravviare e acconciare i capelli, formato da una serie di denti fissati su una costola di circa 20 cm che serve da impugnatura.
Per metà i denti sono  più grossi e distanziati, per dipanare i capelli ricci o arruffati,  per l’altra metà più sottili per pettinarli senza strappi…

Si chiama così anche quello di dimensioni più piccole e di forma lievemente ricurva, munito di denti radi e lunghi per fissare i capelli nelle acconciature femminili, tuttora usati nei costumi tradizionali spagnoli.

In una canzone napoletana degli anni ’50, Renato Carosone ci ricordava che questa ragazza del rione Santa Lucia (‘A Luciana)  sfoggiava ‘a pettenessa per la via:
“Porta ancora ‘o scialle ‘e lusso,
porta ancora ‘a pettenessa.
‘sta Luciana quanno passa
nun te fa cchiù raggiunà…”

Infine con il nome di pettenèsse viene designato un pesce marino (Xyrichtys novacula), lungo fino a 20 cm, per la verità poco diffuso nel nostro Golfo, dalle carni bianche e gustose, sia in frittura sia in umido.
Per effetto della sua robusta dentatura è detto in italiano “pesce pettine”, in inglese  razorfish (pesce rasoio) e in Calabria pisci sùrice (pesce sorcio).

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Pettenessèlle

Pettenessèlle s.f. = Pettine

Pettine da taschino usato dai giovanotti eleganti di una volta, che volevano essere sempre impeccabili.

Era riposto un un foderino di cuoio e portato sempre nel taschino della giacca.

Se la loro capigliatura, nonostante fosse impomatata con la brillantina solida, veniva scompigliata dal vento, zac-zac, con due colpi di pettinino ritornava in ordine.

Per essere certi che nemmeno un capello fosse fuori posto, i gagarjille (←clicca) si specchiavano ai vetri delle abitazioni a piano terra prima di accedervi…

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