Pertüse s.m. = Foro, pertugio
Buco, fessura, Per estensione si intende un. passaggio stretto, angusto
Deriva dal latino pertusum sup. di pertundo opp. da aperto .
Pertüse s.m. = Foro, pertugio
Buco, fessura, Per estensione si intende un. passaggio stretto, angusto
Deriva dal latino pertusum sup. di pertundo opp. da aperto .
‘U pertüse ‘u Mòneche top. = Il pertugio del monaco.
Niente orifizi del frate….
Si tratta di una gradinata in pietra, costruita nelle antiche mura sul lato mare della città, che mette in comunicazione Corso Manfredi con il sottostante largo Diomede.
Usata da secoli dai pescatori per scendere al mare.
Si presumeva erroneamente che il notissimo toponimo derivasse dal fatto che il passaggio era usato anche dai frati del vicino Convento di «Santa Maria delle Grazie» per recarsi a mare al Mandracchio per le loro abluzioni estive.
In questo caso avrebbe dovuto chiamarsi «‘U pertüse ‘i mùnece» al plurale, come «‘A grotte ‘i mùnece», verso “Cala del fico” ove fino all’avvento dell’ANIC ci andavano effettivamente d’estate.
Il dott. Matteo Rinaldi invece ragionevolmente sostiene che il “monaco” in questione non si riferisca ad un frate, bensì ad un argano – uno dei tanti significati della voce dialettale (clicca→) mòneche – collocato anticamente sul quel ballatoio per issare e calare merci dalla/alla sottostante spiaggia Diomede.
In definitiva la traduzione corretta è “il passaggio dell’argano”
Pesatüre s.m. = Pestello
Utensile di metallo o di legno usato per pestare nel mortaio materiali di varia natura.
Per sinèddoche si intende anche (clicca→)‘u murtéle = il mortaio.
Cuncè, ‘mbrjisteme ‘nu pöche ‘u pesatüre = Concetta, prestami un po’ il mortaio.
Espellere, emettere dell’urina.
Si può usare anché il trisillabo pe-scé-je, invece che il più consueto bisillabo pe-scé.
Me töne a pescé = Ho bisogno di orinare.
Si usa anche come verbo transitivo, per esempio, nelle forme di patologia nefrologica:pescé sanghe=orinare sangue, o pescé ‘i càlchele = espellere i calcoli renali per via naturale. Uh, che dolore!
Pèsce-stèlle s.m. = Leccia stellata
Pesce di mare (Trachinotus ovatus) diffuso in tutti il Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico, dalla Manica all’Africa equatoriale. Vive a ridosso della costa.
Per il suo corpo affusolato senza squame, viene scambiato con la simile ricciola, da cui si distingue per la coda molto falcata.
In piena maturità può raggiungere la lunghezza su 50 cm.
In gastronomia è apprezzata per le sue carni, specie se preparate in umido.
Pescetjille e cannócce loc.id. = Sciochezze
Alla lettera significa pesciolini e cannucce (da pesca)
Si cita questa locuzione per dire che stiamo parlando o siamo di fronte a persone o a fatti di scarsa rilevanza.
Sò robbe de pescetjille e cannócce = sono discorsi trascurabili, di nessuna importanza.
Chiaramente è gergo marinaresco, perché si parla di pesci e di canna da pesca, di dimensioni ridotte, usati come termini di paragone per confrontare altre piccolezze umane o argomentazioni insufficienti, o risultati inadeguati alle aspettative.
Pesciàcchje s.f. = Urina
Accettabile anche la forma pisciacchje.
Sentite che cosa dice il prof. De Mauro: “prodotto finale dell’escrezione renale costituente la principale via di eliminazione dei rifiuti provenienti dal metabolismo endogeno, che si presenta normalmente come un liquido di colore giallognolo a reazione acida, che contiene elementi inorganici, come sodio, potassio, calcio, fosforo, ecc., e organici, come urea, ammoniaca, amminoacidi, ecc.”
Mamma mia! non immaginavo che con la minzione si potessero espellere tutte queste sostanze!
Adesso i bambini ben educati dicono: pipì…
Tandabbèlle tutte jìnd’a ‘na paröle: pesciacchje! = Tanto semplice esprimere tutto con una sola parola: pipì.
Le persone anziane usavano il termine pisciacchje per indicare l’ammoniaca in polvere per dolci, a causa del suo odore penetrante che fortunatamente scompare con la cottura.
Pisciacchje era anche un soprannome in uso fino alla prima metà del secolo scorso, affibbiato ad un operaio che abitualmente mingeva dall’alto della tufara, senza mai accertarsi se al livello inferiore ci fossero altri colleghi intenti all’estrazione dei conci di tufo.
Persona che orina spesso e in abbondanza.
Conoscete già il termine pesciacchje = urina dl quale deriva.
Mia nonna diceva sempre: Sanda Catarüne pesciacchjére, usando il termine quale aggettivo riferito alla Santa.
La festività di Santa Caterina cade il 24 novembre, in autunno, ossia nel pieno della stagione delle piogge. Quindi associava quella data alle immancabili (o meglio: alle desiderate) piogge.
Sarebbe stato preferibile scrivere pešüne, perché si pronuncia allo stesso modo, ma non voglio fare il linguista cattedratico e pedante: va bene così com’è.
Contrariamente al significato dell’italiano “piscina”, cui assomiglia, il nostro termine non designa quella grande vasca che, riempita d’acqua, è usata per nuotare.
Nella nostra “Puglia sitibonda”, allanghéte, indicava un locale sotterraneo adibito ad accumulo di acqua piovana, che raccoglieva mediante un sistema di incanalatura, la pioggia che cadeva sui tetti delle abitazioni.
Dopo un breve periodo di decantazione, necessario al fine di far depositare sul fondo della cisterna le parti polverose, le cacche dei volatili, ecc. trascinate dalla pioggia, l’acqua veniva attinta col il secchio attraverso una porticina posta sulla parete esterna dell’edificio per uso potabile e domestico.
Ovviamente il tifo era endemico in tutta la popolazione, e falciava i soggetti più deboli che necessariamente usavano quell’acqua per dissetarsi.
Il fango depositato sul fondo periodicamente veniva tolto, un secchio alla volta, da una persona che vi scendeva con la vanga e un’altra che lo issava per buttarlo per strada, naturalmente. La cisterna alla fine veniva lavata e disinfettata con grassello di calce, in attesa delle piogge benefiche.