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Pemedurjille

Pemedurjille s.m. = Pomodorino

Non è solo il diminutivo di pemedöre = pomodoro (Solanum lycopersicum).

Pemedurjille è un pomodoro piccolo, rotondo, dolcissimo, che si conservava appeso per i picciuoli in lunghi serti per l’inverno. Rappresentavano, con qualche oliva nera salata e un solo filo di olio, il condimento per un tozzo di pane, quasi per tutti i Manfredoniani, la cena consueta quotidiana.

Veniva chiamato pedemurjille de l’ùrte = pomodorino dell’orto, per distitguerlo da quello dei campi, adatto maggiormente per far conserve e sughi.

Con l’avento del pomodoro Ciliegino di Pachino, reperibile tutto l’anno, non si fanno più quei serti rossi che facevano bella mostra di sé nei negozi di fruttivendolo o nelle nostre case.

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Pendöne

Pendöne s.m. = Estremità, orlo di uno strapiombo, di un dirupo.

Stàteve accorte angöre ve sderupéte = Fate molta attenzione, perché potreste precipitare nel dirupo.

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Pendüre

Pendüre s.f. = Polmonite

Infiammazione che colpisce i polmoni e comporta febbre alta, dolori nella zona toracica, dispnea, tosse, espettorato.

Fino all’avvento della penicillina la malattia purtroppo dava scarse possibilità di sopravvivenza, specie se era localizzata a entrambi i polmoni.

Ne soffrivano particolarmente i fabbri, i fornai e i fornaciai per le esalazioni del carbone, e per gli sbalzi di temperatura dovuti al contatto con fonti di calore.

Pendüra ‘ngascéte = Broncopolmonite. Aggravante della polmonite.

L’aggettivo ‘ngcascéte = incassata, chiusa (nella cassa toracica), dava l’idea che la pendüre non poteva “aprirsi”, nel senso che la gravità della malattia non permetteva più di espettorare i muchi accumulati all’interno dei bronchi e dei polmoni e che perciò causava una insufficienza respiratoria molto spesso letale.

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Péne

Péne s.m. = Pane

L’indispensabile alimento di ogni giorno a base di farina, acqua, sale e lievito.

La pronuncia nostrana deriva da quella francese di pain.

In tutto il mondo esistono infinite forme di pane, ma uno solo è il modo di prepararlo, che si svolge in tre fasi: impastare acqua e farina, lasciar lievitare, passare in forno.

Noi Pugliesi siamo probabilmente i più abili forse perché disponiamo di materia prima eccellente.

La foto (tratta dal web) mostra il pane di Monte S.Angelo in forme da 3 e 4 kg.  Le nostre mamme lo facevano in casa, col lievito madre (‘u crescènte) ed una pagnotta durava un’intera settimana.  Col passare dei giorni  si induriva sempre di più, e veniva usato abbrustolito, bagnato e condito, e infine a pancotto.

Anticamente in alcune famiglie il pane fresco veniva chiuso a chiave nello “stipone” per evitare che finisse prima, perché più appetitoso.
In sostanza colà si mangiava solo pane raffermo, ugualmente buono, ma decisamente meno invitante di quello fragrante di forno.
Non era questione di dieta ma di tasca, per farlo durare più a lungo.

Vi rimando ad un Detto scherzoso.  Cliccate qui.

Ricordo che quando mi cadeva sul pavimento un pezzo di pane, mia madre mi obbligava a raccoglierlo, baciarlo (sì, baciarlo, perché sacro!) e poi a mangiarlo ugualmente.
Credo che anche in altre famiglie vigeva questa procedura. Per questo siamo cresciuti pieni di anticorpi. E chi ci ammazza, a noi?

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Pénecùtte

Pénecutte s.m. = Pancotto

(foto di Amilcare Renato)

Piatto rustico a base di pane secco o raffermo, bollito in acqua con aglio, e alloro, talvolta con l’aggiunta o la sostituzione di altri ingredienti, come rosmarino, cime di rape, patate affettate, rucola, cipolle, ecc.Ai miei tempi era la prima pappa che si dava ai neonati per svezzarli dal latte materno. Non esistevano ancora gli omogeneizzati!

Diciamo che è un piatto povero, perché le nostre nonne non buttavano nulla che fosse commestibile. Riciclavano il pane durissimo rendendolo appetitoso specie agli sdentati (sgagnéte).

Quello che rende il tutto sublime è l’olio garganico extra vergine di oliva, preferibilmente di Macchia, versato in abbondanza direttamente sui pezzi di pane, e magari con l’oliera di latta a becco lungo (l’ugghjarüle).

Un vero rito per un trionfo gastronomico. Altro che piatto povero!

Scherzosamente si definisce pénecutte o pénecutte-e-paténe una persona di corporatura sovrabbondante, eccessivamente flemmatica, lenta nei movimenti e nell’agire.

Esiste anche il soprannome pénecùtte, forse perché calzante alla conformazione del personaggio cui fu affibbiato il nomignolo, grosso e flemmatico, perfettamente rispondente ai “requisiti” sopra descritti.

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Pengöne

Pengöne s.m. = Pene

Nel significato proprio di membro virile è usato poco ai nostri giorni. Si preferisce il diffusissimo cazze. Tuttavia pengöne evidenzia, non solo dal punto di vista grammaticale, la taglia e la stazza all’accrescitivo, perciò presumibilmente in posizione di combattimento.

Vale tuttavia come equivalente di minchione, cazzone: epiteto per definire un sempliciotto senza malizia. ‘Stu pengöne chjüne d’acque! = Questo minchione pieno di acqua (ossia inservibile, non utilizzabile, inutile).

Esiste anche il soprannome di Pengöne.

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Pennüte

Pennüte s.m. = posidonia, alga marina

Alga nastriforme dei bassi fondali detta Posidonia oceanica.
Presente in praterie sui fondali sabbiosi ed è un eccellente habitat per tutte le specie di pesci.

I nastri di Posidonia staccati dal fondo dal moto ondoso e le alghe morte in genere accumulati alla rinfusa sulla riva sono detti nel nostro dialetto ‘a peléme e conosciuti nel mondo col nome generico di banquettes (accumuli).

Abbiamo un esempio estivo di accumulo di alghe sulla battigia della spiaggia libera al Castello, ove la raccolta avviene raramente, non come nei vari Stabilimenti balneari, ove la rimozione avviene quotidianamente.

Il mare deposita in inverno sugli arenili delle sfere di varia grandezza (da 4 a 8 cm) formate da fibre morte di posidonia e zostera (erroneamente ritenute da noi monelli quali escrementi di delfini) aggregate dal moto ondoso e dette scientificamente Egagropili. La fantasia popolare le ha chiamate:
palle di mare, palle di Nettuno, polpette di mare, patate di mare, o kiwi di mare

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Pènze

Pènze s.m. = Tuta

Indumento da lavoro o da tempo libero, costituito da casacca e pantaloni (o anche da un pezzo unico).

Confezionato con tessuto resistente. è adatto a lasciare grande libertà di movimento.

Pratico, lavabile, usato da meccanici, gommisti, operai in genere.

Quandi non esistevano le lavatrici e i detersivi moderni per lavare una tuta da lavoro di un motorista o di un fabbro c’era da lavorare sodo col sapone marsiglia e l’asse di legno (struculatüre).

La tuta da ginnastica, essendo un indumento “moderno”, è chiamata con un termine simil-italiano ‘a tüte da gennàsteche, sf.
I capi più pregiati sono in cotone, ma esistono anche quelli in fibra acrilica, perché sono più economici e più facili da lavare.

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Pepedìnje

Pepedìnje o Pepedìgne s.m. = Peperone (Capsicum annum) 

Pianta erbacea originaria dell’America tropicale, che produce bacche di colore verde, giallo o rosso, dal sapore intenso e spesso piccante.

Significato letterale: Pepe d’India (delle “Indie Occidentali” come era chiamata l’America ai tempi di Colombo).

Gustosissimi quelli quadrati e carnosi, (dagli esperti conosciunti con il nome di “Nocera”) rossi, gialli e verdi, se arrostiti, spellati e conditi con sale, abbondante olio garganico e aglio.

Noti anche quelli ripieni di riso, o fritti, o in agrodolce, ecc.

Al singolare si pronuncia pepedègne. Ho sentito da ragazzino i venditori ambulanti che li chiamavano peparùle

Tra le numerose varietà, da noi sono apprezzati:

pepedìnje de l’ùrte = peperoni dell’orto, ossia i friggitelli (Capsicum annum acuminatum);

sciabbelòtte= “sciabolette” verdi, di forma allungata; (Capsicum annum longum)

paperacchjèlle, o papaccèlle tondeggianti, verdi o rossi, per sottaceti,

diavelìcchje lunghe,a cerasèlle, a curnecjille).

 

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Peperjille

Peperjille s.m. = granello

Questo sostantivo, quantunque descriva qualcosa di piccolo e granulare, si presta a diverse utilizzazioni.

1) Peperjille 1 – Pallina di lana che si autoproduce sulla maglieria, dovuta a sfaldamento della fibra di lana o di quella artificiale. Dimensioni minime da uno o due millimetri. Con linguaggio tecnico queste palline sono chiamati “pills” e il fenomeno della loro comparsa è detto “pilling”.

2) Peperjille 2 – Piccolissima escrescenza cutanea che si può manifestare su tutta l’epidermide, dalle palpebre alla fronte, al torso, agli inguini ecc. Di solito è di natura benigna.

3) Carne peperjille peperjille – locuzione tipica che descrive la pelle accapponata, la cosiddetta pelle d’oca, che si manifesta per il freddo oppure a causa di una forte emozione.

Da non confondere con pepernjille. Questo, al maschile, è un nappa a filo che troneggia sulla sommità del copricapo prevalentemente maschile o militare detto “basco”.

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