Categoria: M
Mustazze
Mustazze s.m. = baffi, mustacchi
Dal francese moustaches (pronuncia mustaš).
L’insieme dei peli che crescono sopra ciascun lato del labbro superiore dell’uomo e ahimè anche su quello di alcune donne ipertricose.
Consolatevi ragazze, perché “la donna baffuta è sempre piaciuta”!
In dialetto si intendono sempre al plurale, come forbici, pinze, occhiali, ecc.: ‘i mustazze.
In italiano si usa al singolare nella locuzione familiare “mi fa un baffo” = non me ne importa niente, non mi turba affatto. O quando proprio si vuole specificare: il baffo destro, o il baffo sinistro.
Dall’epoca della guerra fredda, seguendo lo slogan invocativo dei comunisti romani (Ha da venì Baffone!), è entrato nell’uso il termine bafföne per designare il gran baffuto Stalin che nell’immaginario popolare, come un inflessibile castigamatti, avrebbe “messo le cose a posto”.
Sulla scorta di ciò ho sentito dire anche baffètte per indicare quelli sottili ed eleganti come quelli di Errol Flynn (foto). O anche quelli inquietanti di Adolf Hitler o quelli simpatici di Charlie Chaplin (Charlot), o di Oliver Hardy (Ollio)
Temo che mustazze sia un termine quasi desueto. Si usa solo per evidenziare quelli belli imponenti e corposi.
In effetti riconosco che è più semplice usare baffe, baffette, bafföne, baffüne, termini ormai entrati di prepotenza nel nostro dialetto.
Mutarjille
Mutarjille s.m. = Imbutino
Imbuto di piccole dimensioni per travasare profumi o altri liquidi in boccettine dall’imboccatura stretta.
Da giovanotti, diciamo a metà deglianni ’50, prima dell’invenzione della lacca o del gel, usavamo ungere la capigliatura con brillantina. La Palmolive e la Linetti producevano due tipi di brillantina: quella liquida oleosa, e quella solida dalla consistenza della gelatina appiccicosa che teneva in ordine la pettinatura anche nelle giornate ventose.
Per risparmiare qualche soldino, usavamo la bottiglietta ormai svuotata della Palmolive per comprare la brillantina venduta sfusa dall’anziano droghiere Vincenzino (Vecenzüne) aiutato da suo figlio, il giovine Viscardo, (il cui negozio, passato alla terza generazione, è tuttora esistente di fronte al Castello).
Allora il pazientissimo Viscardo usava ‘u mutarjille, l’imbuto con un sottilissimo cannello che si inseriva agevolmente nel foro stretto della nostra bottiglietta: con 50 lire ci riempiva la boccetta che con il prodotto di marca costava ben 120 lire!
Ricordo ancora il profumo della Palmolive: era il profumo…della nostra giovinezza!
Müte
Müte s.m. agg. = Imbuto, muto
1) Müte s.m. = Imbuto. Arnese di forma conica terminante con un cannello che, inserito nel collo di una bottiglia o altro recipiente, consente di travasare liquidi.
2) Müte agg. = Che non può parlare perché affetto da mutismo: essere m. dalla nascita oppure che non parla perché non vuole parlare, o resta senza parole per una forte emozione. ‘Stu uagnone jì müte = Questo ragazzo è muto.
3)Müte s.m.: colui o colei affetti da mutismo. Jì arrevéte ‘u müte = E’ arrivato il muto.
Müte Mengüne (fé ‘i)
Müte Mengüne Loc.id. = Chiudersi in deliberato silenzio, fingersi muti.
Figuratamente fé ‘i müte Mengüne significa chiudersi in ostinato mutismo. Non parlare pur avendone le capacità, per indolenza, per introversia, per riservatezza.
Alla lettera: fare come i muti Mengoni.
jìnd’a ‘sta chése assemegghjéme ai müte Mengüne =In questa casa non si parla mai!
Non si sa chi siano stati questi ‘Mengoni’, che forse erano tutti muti, e in quale epoca vanno collocati. Io ho sentito nominare questi muti da mia suocera, classe 1903, che l’avrà sentito da bambina dai suoi genitori, e quindi ci spostiamo al 1880 minimo…
I soggetti taciturni talvolta destano inquietudine negli altri interlocutori i quali, non riuscendo ad interpretare i loro pensieri tenuti nella rigorosamente chiusi dentro la loro zucca, cadono in malintesi. Se si chiariscono si sbotta in : Pe ffòrze! Quà stéme facènne ‘i müte Mengüne!
Mutéje
Mutéje v.t. = Cambiare
Con riferimento a bambini, mettere indosso biancheria o abiti puliti o diversi da quelli precedentemente indossati. Si usa anche cangé = cambiare.
Come riflessivo si usa in verbo mutàrece.
Ajire me so’ mutéte = Ieri mi sono cambiato (la biancheria intima).
La locuzione latina Mutatis mutandis = Cambiate le cose che vanno cambiate, ha indotto il popolinol a capire che vanno “mutate” le mutande…
Io credo che il sostantivo mutanda derivi proprio da questo verbo.
Mutresciàrece
Mutresciàrece v.i. = Rigirarsi
Simile a ‘mbruscenàrece.
Rivoltarsi sul pavimento, tipico degli equini.
Per estensione dicesi delle persone insonni che di rigirano a lungo nel letto.
Stanòtte me so’ mutrescéte ‘nd’u ljitte jüna cundinuazzjöne = Questa notte mi sono rivoltato nel letto in continuazione (senza riuscire a prendere sonno).
Mùzzeche
Mùzzeche s.m. = Morso
L’atto dell’affondare i denti per mordere.
Deriva dal verbo morsicare (cambia solo l’accento: muzzeché) addentare, azzannare.
Il verbo muzzeché è un po’ riduttivo. Nella parlata si dice škaffé ‘nu mùzzeche = appioppare un morso,
Per estensione ‘u mùzzeche è anche la puntura della zanzara o di altro insetto, il segno della morsicatura, l’escoriazione provocata da scarpe troppo strette.
Altro significato di mùzzeche: boccone, pezzetto di cibo. Dàmme ‘nu mùzzeche de péne= Dammi un boccone di pane.
Nella mia fantasia di bambino, tuttavia, ‘u mùzzeche per eccellenza è rimasto quello che i pescatori davano al polpo avvinghiato al loro braccio, per spezzargli le fibre e ottenerne il rilascio dalle ventose: škaffè ‘nu mùzzeche addröte ‘ cuzzètte = affibbiare un morso dietro al collo (del polpo).
Non so se questa operazione avveniva realmente: io mi atterrivo solo all’idea di essere afferrato dal polpo e trascinato negli abissi, anche perché i denti anteriori a cinque anni di età mi erano caduti, e quindi non avevo alcuna possibilità di difesa! Fantasie di bimbi…
Muzzeché i féfe
Muzzeché i féfe loc.id. = scappellare le fave
Muzzeché i féfe = mordere le fave era una operazione – se vogliamo un po´schifosa – consistente nel levare, appunto con i denti incisivi, il nasello e staccare un po´di buccia dalle fave secche, in modo che durante l´ammollo l´acqua penetrasse meglio tra la fava e il guscio.
L´ammollo e la cottura sterilizzavano qualsiasi impurità
Era un´operazione lunga e noiosa, perciò si praticava di volta in volta per il quantitativo necessario alla minestra del giorno.
Talvolta si cucinavano le fave “scappellate”, con il loro guscio morsicato, o addirittura con il loro corteccia intera, per fare “volume”, e si ottenevano le famose féfe aggraccéte, fave raggrinzite, e i féfe arrustüte, fave arrostite, mangiate come bruscolini nei cinema.
Nduseché
Nduseché v.t. = Intossicare
Più che avvelenare qlcu usando ‘u tùsche, il veleno per i topi, si usa questo verbo in modo figurato col significato di: contrariare, irritare, indisporre, urtare.
Da noi esiste la locuzione pegghjàrece velöne, ossia prendere un succo tossico dallo stesso significato di sdegnarsi, inasprirsi, innervosirsi.