L’arrotino era un ambulante che esercitava il suo mestiere per le strade, preceduto dal carattiristico grido: ‘u mulafùrce!.
Incantava i bambini con la sua ruota mossa da un pedale. La ruota con una cinghia azionava la cote, pietra naturale dura usata per affilare ferri da taglio, coltelli, forbili, falci, roncole, ecc..
A me piaceva, perché dava un senso di ritmo al suo lavoro, quella goccia di acqua che da un barattolo bucato cadeva incessantemente sulla pietra (tic-tic-tic-tic….).
Chissà perché io ricordo uno che gridava “arrotino di Campobasso”, come per vantarsi di una tradizione più antica, sinonimo di lavoro accurato. Gli ultimi che ricordo avevano una bicicletta modificata che azionava la cote con i pedali.
Mulafurce, alla lettera, significa:che affila le forbici sulla mola.
La foto grande (gentilmente concessa dall’amico Matteo Borgia, cui va il mio ringraziamento) fu scattata nel 1929 in Vicolo Clemente a Manfredonia, e ritrae suo nonno, l’arrotino e calzolaio Carlo Guerra, con la sua figlioletta Anna che diventerà le mamma di Matteo..
Nota linguistica.
Il termine corretto in italiano, quando indica l’arnese atto a tagliare, è detto al plurale: le forbici. Invere in dialetto è singolare: ‘a fòrbece. Quandi si indica un numero di forbici superiore a una, dicesi ‘i fùrbece, ma qui viene pronunciato in forma contratta fùrce.
Sapete tutti chi sono “I Furbeciüne” = “I Forbicioni” e i furbecètte = le forbicine.