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Mo ce sfrjiche!

Mò ce sfrjiche loc.id. = Mi stai scocciando

Mo’ ce sfrjiche! = Espressione (volgare) di stizza che si indirizzava – dopo aver dapprima ostentato una certa indifferenza, e molto autocontrollo – verso qlcn che si comportava da inveterato, pedante, inopportuno, insopportabile, e reiterato rompiscatole (Giuà, mo’ ce sfrjìche!! Si’ pròpete ‘nu checa-cà’***! = Giovanni, mi stai importunando, sei proprio un seccatore!).

Il senso era di rinfacciare allo sfrontato interlocutore d’essere colui che viene a “rompere le scatole” proprio quando si è intenti – diciamo così – a compiere qualcosa di estremamente interessante…

Era così diffusa l’invettiva, che si lanciava anche sottintesa con un monosillabo accentato, ben chiaro e comprensibilissimo dalla controparte: “ …Sfrjì!…”

Immaginate quando qualcuno vuol fare un discorso serioso in un gruppo di amici. Minimo si sente dire, quale immediato commento, magari a mezza voce: “Sfrjì!”… In questo caso scoppia una risata (o una rissa, dipende dall’affiatamento del gruppo).

Ovviamente era prevista la risposta del soggetto preso di mira: “Ma pròprje!” (oppure: “ma pròpete!”), nonché la contro-risposta, articolata in una micidale alternativa. O si lanciava di nuovo lo: “Sfrjì!”, oppure si porgeva un grazioso e gentile invito, una speranzosa richiesta: “Pùrte a sòrete, ca stéche prònde!….”

Sulle note della marcetta di Stanlio e Ollio addirittura si cantava l’intero repertorio: “Mo’ ce sfrì/ma pro’/mo ce sfrì/ma pro’/purteme a sòrete/ca stéche prònde!”

Insomma il “dialogo” così codificato sovente andava sfociare in un’inevitabile colluttazione (vé a fenèsce a taccaréte), e perciò era consigliabile non lasciarsi andare troppo su questa china.

Fortunatamente questa “moda” è passata in disuso verso il 1960.

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Mò jéve

Mò jéve loc.id. = Da molto tempo

È una risposta ovvia a chi chiede se un determinato lavoro è stato completato, o se qlcu è giunto all’appuntamento, ecc.

Con mò jéve si dà enfasi al semplice “sì”, come per dire: «Non lo sapevi? È da tanto tempo che la cosa è accaduta!»

Generalmente si pronuncia sollevando contemporaneamente la mano aperta in verticale con le dita stese sollevate verso il proprio orecchio, come per indicare che il tutto tempo passato è ormai dietro alle proprie spalle.

Alla lettera significa “adesso ha”. Forse evidenzia che “ora ha fatto un anno, un mese, un decennio, o altro”

-«Cuncettè, ma ‘u fìgghje tüve ca sté ‘n Germànje c’jì spuséte?» = Concettina, ma tuo figlio che vive in Germania si è sposato?
-« Mò jéve!» = Uh, da tanto tempo!

Jì arrevéte Giuànne? Mò jéve! = È arrivato Giovanni? Sì, da tempo!

Mò jéve ca agghje fenute de mangé! = È un bel po’ di tempo che ho finito di mangiare.

Esiste, con lo stesso significato, la brevissima variante: “da mò” = (Non) da ora, ma da tanto tempo. Come, non lo sai?

Mirabile capacità di sintesi del nostro dialetto, che esprime una frase intera con un solo bisillabo!

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Mò la bòtte

Mò la bòtte o anche mò jì la bòtte loc.id. = È ora il caso, adesso cade a proposito,

La sintetica locuzione letteralmente significa: adesso (è opportuno citare) la battuta = ora viene a proposito una battuta.
Corrisponde anche a: decètte códde ‘na vòlte = Disse quel tale una volta…

Si usa anche, con lo stesso significato, la locuzione: ‎mò ‘u fàtte = adesso (si verifica) il fatto (già da tutti conosciuto) e anche quànne düce = quando dici (una cosa e poi accade veramente).

Significa che, mentre si parla, si indica una citazione, si richiama un proverbio, si nomina un riferimento, si menziona un modo di dire ben noto agli interlocutori, ecc., che avvalori in quel momento le proprie argomentazioni.

A chése de puverjille, mò la botte… = A casa di poverelli, come si dice…(nen mànghe ‘nu stuzzarjille = non manca un tozzo di pane). In questo esempio si evidenzia che a casa nostra, c’è sempre una tangibile accoglienza per chiunque venga a trovarci.

È un intercalare simpaticissimo.

Mio padre a volte riferiva: mò la bòtte, accüme decette ‘u caföne, Pulecenèlle, Màste Giüre, ‘u škattamùrte, ecc. = come disse il contadino, Pulcinella, Mastro Ciro, il becchino,ecc…… e giù una spiritosa battuta conclusiva.

Fazze tande e, mò la bòtte, me tröve senza njinde = Faccio di tutto e, come disse il poverello, mi trovo senza nulla.

Qualche buontempone pronunciava: Mò jéve la bòtte = Ora (tu) prendi una sberla, facendo scansare il suo vicino tutto allarmato dalla minaccia.

Sempre citando qualcosa di noto, la frase viene sintetizzata, senza collocazione del tempo: ‘a botte du ciócce, alla vecchjéje cacciàtte ‘u trótte = come l’asino, che alla vecchiaia (dopo una vita di flemma) iniziò ad eseguire il trotto.
(Citazione di Enzo Renato)

Sono esempi e paragoni uniti prevalentemente a voci proverbiali.

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Mocajì

Mocajì avv. = Poi

Si dovrebbe scrivere mo ca jì = Quando è l’ora, ossia non adesso, ma in un secondo momento.

Quann’jì ca te fé ‘u ljitte? Mocajì, chiù tarde! = Quando (è che) ti riassetti il letto? Poi, più tardi.

Quel mocajì è sempre molto indefinito, in un sempo successivo ma mai ben definito.

Vu venì ‘ngambagne a cògghje i pemedöre? Sì, mocajì = Vuoi venire in campagna a raccogliere i pomodori? Sì, ma non adesso, sarà alla prossima occasione.

Quando il “poi” è procrastinato a lungo si usa la formula per il futuro: mocasarrà.

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Mocasarrà

Mocasarrà avv. = Quando sarà

I più raffinati che non volevano usare il solito mocajì, dicevano mocasarrà = letterale: ora che sarà = quando sarà il suo tempo.
Quindi il tutto viene proiettato in un futuro più o meno prossimo, e molto vago e incerto.

Luìgge, mò ca te spuse, m’ha da ‘nveté au spusalìzzje? Eh, mocasarrà… = Luigi, quando ti sposi mi inviterai alle nozze? Eh, quando sarà (se, come e quando….).

Mattöje, mocasarrà, l’ha da vènne ‘sta chése? = Matteo, quando sarà il tempo, la venderai questa casa?

Quel mocasarrà sottintende, ad esempio, quando morirà tua madre e avrai la completa disponibilità dell’immobile, o quando sposerà tuo figlio ed avrai bisogno di capitale, ecc.

Fattori di cui entrambi, il richiedente e l’interlocutore, sono a conoscenza. Più che altro chiarisce che il primo è interessato, come in questo esempio, all’acquisto della casa.

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Móccappüse

Móccappüse agg. = Moccioso

Si riferisce ai bambini con il mocio al naso.

Diventa offensivo se l’epiteto è rivolto a un giovane adulto, per indicare che si comporta come un moccioso.

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Mócche

Mócche s.m. = Muco

In dialetto mócche è solo la secrezione nasale. In terminologia medica muco è qualsiasi sostanza liquida densa e vischiosa,secreta dalle ghiandole e dalle cellule mucipare, che ha la funzione di proteggere le mucose dai batteri patogeni.

Tjine ‘u mócche appüse! = Hai il muco pendente dal naso. Ossia: sei ancora un moccioso, perché vuoi impicciarti di argomenti che riguardano gli adulti?

Nel linguaggio fanciullesco veniva detto ciacciamócche. Poi le nostra mammine hanno ingentilito il termine, che di per sé evoca una massa grassa giallastra stomachevole (ózz!), chiamandolo “candelina”…

Tirare su col naso dicesi surchjé; l’azione contraria, ossia soffiare ilnasoper liberarlo dal muco, si traduce sciuscé ‘u nése.

Il fazzoletto da naso, proprio per la sua specifica funzione di raccogliere il muco, viene chiamato maccatüre (calabrese muccaturi)

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Móffle

Móffle s.m. = Sorso, sorsata, boccata

Quantità di liquido che si può inghiottire in una sola volta senza prendere fiato.

Per estensione si intende anche piccola quantità di liquido ingerito.

L’italiano fa distinzione tra sorso e boccata.
Sorso: quantità di liquido che si inghiotte in una volta.
Boccata: quantità che può essere contenuta nella bocca.

Da noi si dice móffle sia se in bocca va un liquido, sia se ci va aria o fumo.

‘U frigorìfre stöve sfascéte e manghe ‘nu móffle d’acqua frèške me putöve fé. = Il frigorifero era rotto e nemmeno un sorso di acqua freşche mi potevo fare.

Definiamo móffele anche quando il sorso è del tutto involontario, come nel caso del bagnante che durante la nuotata ingerisce acqua di mare per l’incresparsi dell’onda.

Agghje fatte ‘u móffele
 = Ho ingoiato acqua marina.

Quando eravamo giovincelli, senza soldi in tasca, chiedevamo all’amico che aveva già acceso la sua sigaretta.  In questo caso tradurrei móffle con boccata.

Che te sté fumanne? Famme fé ‘nu móffle = Che ti stai fumando? Fammi dare una boccata.

Mi hanno riferito di un aggettivo, usato scherzosamente da Ida Trotta durante un brindisi, per definire un vino di qualità: mufflüse, ossia che si fa bere volentieri.   Lo trovo delizioso e comprensibile nonostante sia un termine gergale, cioè usato in una cerchia ristretta di persone, non da tutti.

Esiste il diminutivo muffelìcchje  (pronunciato anche  mufflìcchje) = Sorsetto, goccetto
Quanne mange vogghje sèmpe ‘nu muffelìcchje de vüne = Quando mangio voglio sempre un sorsetto di vino (poco, per carità!).

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Möle

Möle s.m. e s.f. = Miele, mola, mela

1) ‘U möle = miele, sostanza fluida zuccherina, di colore variabile dal biondo al bruno, dolciastra, che le api producono succhiando il nettare dai fiori;

2) ‘A möle = mola, utensile rotante costituito da un disco di materiale abrasivo (in genere un calcare ricco di silice) usato spec. nella lavorazione di oggetti metallici o per affilare coltelli e forbici.

In dialetto è detta anche ‘a möle a smerìglje = Mola a smeriglio.

3) ‘A möle = mela, frutto commestibile del melo, albero della fam. delle Rosaceae (Malus communis) di forma pressoché sferica e rivestita da una buccia sottile di colore diverso a seconda delle varietà, con polpa biancastra, consistente e dolce o talvolta acidula.

Per evitare confusione, spessissimo si dice mulèlle: infatti sembra anche più facile da pronunciare.

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Mollettöne 

Mollettöne s.m. = Termocoperta

Coperta a doppio strato di lana morbidissima, garzata e molto calda.

Faceva parte del corredo della sposa assieme alla trapunta.

 

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