Categoria: M

Mìgghje

Mìgghje s.m. = Miglio

Unità di misura di lunghezza in uso fino all’introduzione del sistema metrico decimale, avvenuto con l’unità d’Italia nel 1861.

Ora viene usato solo in marineria o in aviazione per definire le distanze.

Per una forte assonanza, al posto di “veglia”, viene usato erroneamente nella locuzione tra mìgghje e sùnne = fra veglia e sonno, nel dormiveglia. Anche perché non esiste in dialetto il corrispondente originale di “veglia”. Più verso gli anni ’50 si coniò “vegliöne” sull’onda delle manifestazioni carnevalesche. Ma è un termine importato dall’italiano.

Aspetto eventuali precisazioni per migliorare la trattazione di questo termine.

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Miseröre

Miseröre s.m. = Miserere

Si tratta dell’incipit del Salmo di Davide n. 51, un salmo penitenziale molto sentito dai fedeli anche dai non cattolici.
Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam” (“Pietà di me, o Dio, secondo la tua grande misericordia”).

La tradizione cristiana pone questo Salmo nella veglia funebre e nella liturgia dei Defunti.

Nella prima metà del scorso, data l’ignoranza del volgo, questa parola era intesa come indicativa dell’ora della morte.

Quando qualcuno era in fin di vita lo si descriveva colpito dal “miserere”.

Madonne möje, coddu pòvere Mattöje, nen ge pötete cchjó arrecògghje sté p’u Miseröre! = Madonna mia, quel povero Matteo non riesce a riprendersi da questo male!

Talvolta, non solo a titolo di cronaca, si usa il termine miseröre per indicare che qualcuno è già passato a miglior vita.

Infatti se si augura la morte di qualcuno – cosa abominevole in ogni caso, anche se questi fosse il nostro peggior nemico – gli si lancia l’improperio:
T’àgghja venì a candé ‘u Miseröre! = Verrò io a salmodiarti il Miserere [sopra la tua bara, come fa l’officiante prima della sepoltura della salma….]

Lo so che ci gratificherebbe talora lanciare questa invettiva verso qualche specifica persona, augurandoci di vederla in posizione orizzontale, ma non si fa!

Con questo termine si designava anche una malattia dolorosissima e spesso mortale, un tumore o una  occlusione intestinale. Insomma non c’era nulla da fare se non salmodiare il Miserere.

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Miškammìške

Miškammìške s.m. = Miscuglio, accozzaglia, guazzabuglio

Mescolanza confusa e disordinata di elementi disparati.

Per estens.: insieme di persone di condizione, di estrazione differenti.

Figuratamente: accostamento, mescolanza disordinata e confusa di concetti o idee contrastanti.

Agghje accumenzéte a parlé e pò agghje fatte ‘nu miškammìške… = Ho cominciato a parlare, e poi ho detto un guazzabuglio di idee disordinate.

Deriva dal verbo Mešké (o meškéje): mettere insieme, combinare, fondere, miscelare, mescere, mescolare.
Alla lettera: mischia-mischia.

Nota linguistica:
Il segno š – usato nell’alfabeto dagli Scandinavi (es. Škoda), ha il suono dell’italiano sc(di scena, non di scarpa). I Francesi lo rappresentano con ch (change), i tedeschi con sch(schnell), gli Inglesi con sh (sheriff).

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Mjizze-cüne

Mjizze-cüne s.m. = Mezzo chilo

Nel sistema metrico decimale è una unità di peso sottomultiplo del kg, del valore di 500 g

Se una seppiolina pesa 350 g si dice ‘nu quinde e mjizze e cenguanda gramme (calcolo mentale rapido 200+100+50).

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Mjizze-quìnde

Mjizze-quìnde s.m.  = Ettogrammo

Letteralmente significa mezzo quinto, ossia un decimo (di chilogrammo o di litro).

Si usa anche dire mjizze quìnde per etichettare una persona minuta, gracile, con voce querula e scarsa.

Insomma una cosina di poco peso.

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Mmè

Mmè pron.pers. = Me

Forma tonica del pronome di prima persona che sostituisce “io” con funzione di complemento.

A mmè me l’ha’ da düce! = A me lo vieni a dire? (proprio a me che so tutto).

Quann’jì ‘na cöse demmìlle a mmè ca jüje ‘u sàcce accüme agghj’a fé = Quando è (che accade o ti occorre) qualcosa, dimmelo (rafforzativo: a me), perché io so come agire.

M’ànne menéte ‘a bòtte a mmè = Mi hanno dato la colpa (rafforzativo: a me). Mi hanno incolpato.

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Mméne a Pappagöne

Mméne a Pappagöne loc.id. = Anticamente, in tempi remoti

“In mano a …..” corrisponde alla locuzione “ai tempi di…” o “durante il regno di…”

Pappagöne non un è peronaggio reale, ma uno che – si immagina – sia vissuto addirittura nell’800. A me sembra che sia assonante a papà-nonne, trisavolo, e perciò antico.   Infatti taluni dicono mméne a papà-nonne.

Eh, mò ne’ stéme chjó mméne a Pappagöne = Via, non viviamo più ai tempi in cui Berta filava. Anche questo modo di dire italiano non si riferisce ad un personaggio reale, ma ad un soggetto immaginario, collocato in una indefinita epoca rmota.

Ringrazio Michele Murgo per avermi ricordato questa bellissma locuzione.

Cmq Pappagone era un personaggio televisivo napoletano, esilarante, un po’ tontolone, inventato da Peppino di Filippo negli anni ’60.
Eccue quà, e piriché, il presutto vestito (ecco qua, perché, il presunto investito).

Come sinonimo si usava anche citare “l’anne de Minghe” = L’anno di Domenico. Un anno imprecisato di un passato remoto. Chissà se anche questo Domenico era un personaggio di fantasia o realmente esistito durante la dominazione spagnola del Regno di Napoli (Domenico = Domingo = Mimìnghe = Mìnghe).

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Mmìdje

Mmìdje s.f. = Invidia

Dolore per il bene altri. E’ uno dei vizi capitale. Sentimento di astio, ostilità e rammarico per la felicità, il benessere, la fortuna altrui

Ora i ragazzi che hanno frequentato le scuole dell’obbligo, magari dicono ‘nvìdje, ma non è vero dialetto.

Poiché sono due versioni omofone, si potrebbero usare due grafie diverse: la ‘mmìdje o l’ammìdje

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Mmucché

Mmucché v.t. = Rovesciare, inclinare, piegare..

Rovesciare, far cadere qlco che era ritto, come una pila di libri, una bottiglia.

Si usa anche nella forma intransitiva di mmuccàrece = Inclinarsi, rovesciarsi.
Anche la Torre di Pisa sté ‘nu pöche mmucchéte = è un po’ inclinata.

Mantjine bùne ‘stu stepètte, ca se no ce mmòcche = Reggi bene questo armadietto, altrimenti si rovescia

C’jì mmucchète ‘u bucchjire e c’jì jettéte l’acque = Si è rovesciato il bicchiere e esi è versata l’acqua.

Nota al plurale si sarebbe pronunciato ‘i becchjire = i bicchieri. L’articolo ‘u = il influenza il nome seguente per un fenomeno linguistico chiamato metatesi.

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Mò  avv. = Adesso

Dal latino “mox” (presto, adesso) oppure dall’avverbio/congiunzione latina “mŏdŏ” (col significato di adesso).Mox, sinonino di brevi tempore = in breve tempo.

Apprüme nen te lu vulöve düce, ma mò te lu düche: quande sì stóbbete! = Prima non te lo volevo dirlo, ma adesso te lo dico: quanto sei stupido!

E tóje mò te ne vjine? 
= E tu adessi te ne vieni?

Il simpatico monosillabo mò si presta benissimo a combinarsi con verbi, avverbi, preposizioni ecc. per dar vita a simpatici concetti sintetici:

Da mò = Non da ora, ma da tanto tempo che si è completato un evento o che è avvenuta un’azione attesa .

Mò jéve! = È passato molto tempo da quando….come il precedente.

Mò mò o anche momò = Appena un attimo fa, o anche, per rispondere a qlcu che chiama, un attimo, sarò là fra breve.

Prüme de mò = Immediatamente! (prima di adesso)

Pe mò o anche pemmò = Per ora.
Detto con cipiglio, significa anche: che questo ti serva da lezione!
Pronunciato alla fine di una “lezione” con relatived sberle o di un “cazziatöne” il bisillabo è quasi una minaccia: per ora basta così, ma sappi che ce n’è una scorta (di sberle o di rimproveri) per te per ulteriori necessità varie ed eventuali.

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