Si tratta dell’incipit del Salmo di Davide n. 51, un salmo penitenziale molto sentito dai fedeli anche dai non cattolici.
“Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam” (“Pietà di me, o Dio, secondo la tua grande misericordia”).
La tradizione cristiana pone questo Salmo nella veglia funebre e nella liturgia dei Defunti.
Nella prima metà del scorso, data l’ignoranza del volgo, questa parola era intesa come indicativa dell’ora della morte.
Quando qualcuno era in fin di vita lo si descriveva colpito dal “miserere”.
Madonne möje, coddu pòvere Mattöje, nen ge pötete cchjó arrecògghje sté p’u Miseröre! = Madonna mia, quel povero Matteo non riesce a riprendersi da questo male!
Talvolta, non solo a titolo di cronaca, si usa il termine miseröre per indicare che qualcuno è già passato a miglior vita.
Infatti se si augura la morte di qualcuno – cosa abominevole in ogni caso, anche se questi fosse il nostro peggior nemico – gli si lancia l’improperio:
T’àgghja venì a candé ‘u Miseröre! = Verrò io a salmodiarti il Miserere [sopra la tua bara, come fa l’officiante prima della sepoltura della salma….]
Lo so che ci gratificherebbe talora lanciare questa invettiva verso qualche specifica persona, augurandoci di vederla in posizione orizzontale, ma non si fa!
Con questo termine si designava anche una malattia dolorosissima e spesso mortale, un tumore o una occlusione intestinale. Insomma non c’era nulla da fare se non salmodiare il Miserere.