Categoria: M

Mètte

Mètte v.t. = Mettere

E’ uno di quei verbi tuttofare che può essere sostituito, per una maggiore proprietà di linguaggio, con altri verbi.

Infatti, a secondo di come va la frase, puo usare:
Porre, collocare, disporre, applicare, aggiungere, inserire, infilare, indossare, installare, e forse altri.

Nel nostro dialetto ha un significato in più: nella forma riflessiva significa fare di cognome.

Mimì Jajanne ce mètte Carmöne = Mimmo, il figlio di Jajanne, fa di cognome Carmone.

Tonü’, ne m’arrecorde, tó accüme te mìtte? = Tonino, non mi ricordo, qual’è il tuo cognome?

‘U nöme müje jì Bartelumöje e me mètte Guèrre. = Il mio nome è Bartolomeo, e il mio cognome è Guerra.

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Mètte ‘a vunnèlle

Mètte ‘a vunnèlle loc.id.= Soggiogare

Alla lettera significa mettere la gonna.

Beh, allora si poteva dire: indossare, o far indossare la gonna!

No! Il significato è simile alla locuzione italiana: “in casa i pantaloni li porta lei”! Ossia il capo famiglia ha ceduto le chiavi di comando alla gentile consorte, che porta avanti la baracca, o perché sa cavarsela meglio o perché è più autoritaria su un marito evidentemente remissivo.

Quindi si tratta di un’azione figurata che significa assoggettare, soggiogare: “rendere sottomessa una persona anche con energici mezzi coercitivi fisici o psicologici.
Oppure tenere in proprio dominio la  mente di qualcuno, esercitando un’influenza, o un fascino irresistibile; affascinare con modi suasivi, con la bellezza, la grazia” (De Mauro- Il dizionario della lingua italiana).

Allora, in riepilogo: o portare i pantaloni lei, oppure mettere la gonna a lui, il risultato è il medesimo.

Povere a jìsse! La megghjöre l’ho mìsse ‘a vunnèlle. = Poverino, la moglie lo ha soggiogato.

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Mètte ‘i Sànde espòste

Mètte ‘i Sànde espòste loc.id. = Mettere i Santi esposti.

Modo di dire efficace e immediato che significa: far ricorso a personaggi influenti per ottenerne favori o raccomandazioni.

Alla lettera significa ‘esporre i Santi’, o meglio, in un italiano più corretto: disporre i simulacri dei Santi, come avviene nelle Chiese, affinché tutti possano riconoscere le loro virtù e sappiano quanto siano influenti nell’intercedere per essi.

So’ jüte mettènne ‘i Sànde espòste pe trué düje begliètte alla partüte = Mi son dovuto raccomandare a persone influenti per procurarmi due biglietti per assistere all’incontro di calcio (evidentemente i biglietti erano andati a ruba).

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Mètte alla vüje

Mètte alla vüje loc.id. = Mettere (qualcosa) a portata di mano.

I ragazzi di oggi traducono l’italiano e dicono «Mètte a purtéte de méne» ma l’espressione antica è decisamente più appropriata.


Infatti l’oggetto messo “alla via” si trova sul percorso di chi lo deve prendere, e non deve essere cercato altrove: è già là in bella mostra.

Ma’, mìtte ‘u ‘mbrèlle alla vüje, ca quanne passe me lu pìgghje = Mamma, metti l’ombrello a portata di mano, così quando passo me lo prendo.

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Mètte-sotta-pjite

Mètte-sotta-pjite loc.id. = Maltrattare

È un modo di dire nostrano per indicare un abuso, un prepotenza, una vessazione, un po’ come è spiegato dal termine moderno mobbing.

Il significato letterale è: mettere sotto i piedi. Chiaramente nessuno calpesta materialmente con le suole delle scarpe un malcapitato. Caso mai lo fa figuratamente, come graziosamente usano fare i prepotenti, i quali sono forti con i deboli, ma deboli con i forti…. Vigliacchi.

Viene usato talvolta come affettuoso rimprovero materno verso la figliola usa cambiarsi spesso d’abito.

Te sté mettènne tutte cöse sotta-pjite… = Stai usando tutti i tuoi vestiti…(cioè è meglio che ne serbi uno per una circostanza più adatta!)

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Mettìrece

Mettìrece v.i.= 1 – mettersi, porsi, affacciarsi, collocarsi, indossare, ecc.// 2 – cognominarsi

Oltre ai significati più familiari (mettìrece a chjange = mettersi a piangere; mettìrece alla fenèstre =affacciarsi alla finestra; mettìrece ‘na cravatte = indossare una cravatta), in italiano esiste raro un verbo transitivo, cioè “cognominare” (dare un cognome), tale e quale al latino cognominare, qui usato in forma riflessiva.

Un modo curioso di nominare il proprio cognome, nel nostro dialetto, è sempre stato quello di usare il verbo mettìrece.
Giuanne ce mètte Valènte = Giovanni fa di cognome Valente (forma antiquata: si cognomina)

Con una circonlocuzione si può anche dire, forse in modo più comprensibile ai non avvezzi:
Giuanne jì ‘nu fìgghje de quìddi Valènte. = Giovanni è un figlio di quei Valente. O anche:
Giuanne appartine a quiddi Valènte = Giovanni appartiene a quei Valente.

Ecco un altro esempio colloquiale:
Cüme te chjéme? = Come ti chiami?
Giuanne = Giovanni
-E cüme te mìtte? = E di cognome?
-Me mètte Valènte.= Valente.

Con riferimento al linguaggio militaresco o anagrafico, nella richiesta di dati personali, è usato un modo burocratico che scavalca l’antico mettìrece con un’unica domanda:
damme nöme e chegnöme = dammi nome e cognome.

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Mettìrece au mbùste

Mettìrece au mbùste loc.id.. = Appostarsi

Collocarsi in postazione strategica, in un posto di osservazione per spiare, sorvegliare, tallonare qlcu.

Me sò mìsse au ‘mbùste pe ‘ntuppàrle a tutte e düje
 = Mi sono messo in postazione per sorprenderli tutti e due.

Deriva dal verbo pustjé = appostarsi, mettersi a far la posta, nascondersi per spiare, per un agguato.

Esiste la locuzione sté ‘mbustéte = essere appostato, appostarsi.

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Mezza-parendöle

Mezza-parendöle s.f. = Lontana parentela

In dialetto, alla lettera, significa “mezza parentela”…l’altra metà si è perduta per la scarsa frequentazione di persone apparententi alla stessa famiglia.

Possono essere mezzi parenti i prozii diretti (fratelli del nonno) o acquisiti (il/la loro consorte, ossia i cognati del nonno). Ancora più lontani i procugini (i genitori sono cugini).

‘U sé ca pe Frangìsche tenüme ‘na mezza-parendöle? = Lo sai che con Francesco abbiamo una lontana parentela?

Qualcun altro direbbe: Pe Frangìsche süme strazza-parjinde = Con Francesco siamo parenti alla lontana.

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Mèzza-scolle

Mèzza-scolle s.f. = Fazzoletto da testa.

Era un fazzoletto un po’ più grande di quelli da naso. Le nostre nonne lo piegavano lungo la diagonale e lo annodavano al capo. Serviva principalmente per raccogliere i capelli (rigorosamente lunghi all’epoca) durante il sonno.

Questa specie di bandana raccoglieva i capelli durante le operazioni di impasto del pane o delle orecchiette per evitare cadute accidentali di capelli nella farina.

Talvolta, quando le donne avevano mal di testa, invece di ricorrere ai farmaci (‘a cibbaggiüne = Cibalgina), non sempre reperibile, si annodavano la mèzza-scolle un po’ stretta intorno alla testa. Forse funzionava meglio dell’Aulin o dell’Oki.

Alla lettera mèzza-scolle, significa mezza cravatta. Forse perché il fazzoletto veniva ripiegato in questo caso fino a formare una benda, lunga la metà di una cravatta, per stringere la fronte.

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