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Ménaröle

Ménaröle s.f. ( o Vròcchele)= Menarola, girabacchino

Si tratta di un trapano a manovella usata per praticare fori nel legno fino al diametro di 12 mm. Non è adatto per forare il ferro, ove è richiesta una forza maggiore.

L’impugnatura rotante è eccentrica rispetto all’asse dell’attrezzo, che termina generalmente con un mandrino per il fissaggio della punta perforante.  La parte superiore termina con un pomello reggispinta, anch’esso rotante.

Usata anticamente dai carradori e tuttora dai falegnami restauratori per piccoli interventi. Con termine ormai desueto era chiamata anche vròcchele, (etimo sconosciuto) o più semplicemente tràpene a méne = trapano a mano, o ggirabbacchìtte = girabacchino.

Per fori in orizzontale su infissi verticali si appoggiava il pomello superiore al petto per avere maggiore spinta. Per i fori verticali si premeva con palmo della mano sinistra,  mentre l’altra si girava la “manovella” del girabacchino con moto destrorso.
Le menarole di ultima generazione erano munite di un cricchetto unidirezionale al mandrino che consentiva di manovrare anche a un quarto di  giro per volta quando si operava in ambienti angusti.

Parlo al passato perché al giorno d’oggi i moderni trapani  elettrici o addirittura gli avvitatori portatili a batteria assolvano rapidamente questo compito.

Il principio della rotazione del girabacchino, cioè l’asta piegata a U che forma un eccentrico, viene applicato anche per manovrare il cric. In questo caso il terminale, al posto della filettatura che regge il mandrino, ha una piegatura a gancio
Anche il bastone che solleva il tendone da sole a rullo o di certe serrande avvolgibili usa lo stesso sistema.

Il termine girabacchino (detto in varie Regioni girabecchino o girabarchino) deriva dal francese vilebrequin,= albero a gomiti (dal vocabolario Treccani).

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Mènde-‘i-ciamaruchèlle

Mènde-‘i-ciamaruchèlle s.f. = Nepitella,  Mentuccia, Mentastro verde

Pianta erbacea aromatica perenne della famiglia delle Labiateae (Calamintha nepeta detta anche Mentha viridis) , con fiori a spiga bianchi o rossi e foglie ovali seghettate.

Per il suo sapore molto intenso, è usata dalle industrie dolciarie nella preparazione di caramelle, sciroppi e molti liquori.

Proprietà terapeutiche: digestive, stimolanti, espettoranti, antispasmodiche.  Per uso esterno, come deodorante e antisettico del cavo orale.

A Manfredonia trova  impiego in gastronomia: è usata quasi unicamente per aromatizzare le chioccioline lessate in acqua e aceto e condite, in una sorta di insalata, con olio e mentuccia.

Perciò il suo nome, che alla lettera significa “menta delle lumachette”, è strettamente legato a ciamaruchèlle = lumachine, giovani chiocciole.
In tempi più recenti si è allargato il ventaglio degli impieghi (con zucchine, o con ortaggi vari).

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Mendöne

Mendöne s.m. = Montone. mucchio, cumulo

1) Il maschio adulto della pecora, ariete. È ritenuto caparbio e ostinato: Chépe de mendöne!  = Testone!

2) Mucchio, monticello, cumulo: quantità di cose ammassate, riunite disordinatamente.
Deriva dallo spagnolo muntòn, che significa proprio mucchio, derivato a sua volta dal verbo amontonar, ammucchiare,accumulare.

Sinonimo meno usato: tapparöne.

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Mené

Mené v.t. = Menare

È uno di quei verbi tuttofare, che nel nostro dialetto si adatta bene a diversi casi.

Infatti può significare, ad esempio:

Lanciare oggetti, buttare, conferire la spazzatura nei cassonetti, spirare di vento, calare la pasta per la cottura, dare la colpa, iniettare farmaci con la siringa, ecc.

L’hanne menéte ‘nu škafföne = Gli hanno mollato un ceffone!

Me so’ menéte şkàtele de serìnghe e ‘u delöre nen me pàsse = Ho iniettato una confezione di fiale e il dolore non mi è passato.

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Mené ‘u fjirre a Sande Lunarde

Mené ‘u fjirre a Sande Lunarde loc.id. = Ringraziare Dio

Traduzione letterale: Lanciare il ferro a San Leonardo.

Modo di dire incomprensibile, ermetico per i ragazzi di oggi, ma  ha un significato plausibile solo a quelli di una certa età

Bisogna sapere che San Leonardo Noblac (fine del sec. V-inizi del sec. VI) è considerato dalla Chiesa Cattolica il protettore dei carcerati e dei prigionieri di guerra.  Infatti è raffigurato nelle immaginette agiografiche in mezzo a dei penitenti inginocchiati e in catene.

In passato quando qualche detenuto veniva liberato (per indulto, o per condono, o perché riconosciuto innocente, o anche solo per fine pena) o qualche militare tornato da un campo di prigionia, portavano per devozione e ringraziamento un ceppo, o un pezzo di catena all’Abbazia di San Leonardo, in Località Lama Volara, a 10 km da Manfredonia.

L’Abbazia era recintata, e non sempre era aperta a tutti. Allora costoro lanciavano il “ferro” all’interno dello spiazzale, facendolo volare sopra il cancello o il muro di cinta. Ecco il perché di mené = lanciare.

Quindi il detto significa “devi essere grato a qualcuno, perché, nonostante tutto, ora hai superato tutte le tribolazioni che ti avevano afflitto in precedenza.”

Questo qualcuno può essere Dio, un benefattore, un amico, la sorte.

A chi racconta di essere sopravvissuto ad eventi gravi (incidente stradale, terremoto, cataclisma, malattia, naufragio, ecc.) viene raccomandato:
Va mjine ‘u fjirre a Sande Lunarde = Ringrazia il Signore di come ti è andata!

La statua del Santo, da qualche decennio è situata in una nicchia della Chiesa di S.Maria delle Grazie. Il simulacro era ricoperto, almeno così lo ricordo io, con delle catenelle simboleggianti la prigionia trascorsa.

Io ho assistito da bambino (avevo una decina di anni) al gesto di ringraziamento di un devoto che, dall’ingresso della chiesa e fino alla nicchia del Santo, avanzava ginocchioni con una catenella al collo. Davanti alla nicchia posò la sua catena, con pianto e lacrime.

Rimasi molto colpito da questo gesto. Mia madre dopo mi ha spiegato il significato profondo di quell’atto di umiltà.

La ricorrenza di San Leonardo cade il 6 novembre,

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Mené a mmósse

Mené a mmósse loc.id. = Rinfacciare

Quando qlcu si adopera per fare un grosso favore ad un amico fa indubbiamente una cosa lodevole. Ma se poi lo racconta a tutti, e magari allo stesso soggetto beneficiato, fa una cosa riprovevole.

Traduzione della locuzione: lanciare in faccia, rinfacciare, allo scopo di mettersi in evidenza, di prendersi i meriti e il plauso di tutti.

Mariètte jì böne e chére, ma se te fé ‘nu piaciöre te lu möne sèmbe a mmósse. = Marietta è buona e cara, ma se ti fa un piacere immancabilmente te lo rinfaccia.

Nò pe’ menàrle a mmósse, ma jüie l’agghje fàtte döj nòtte au sputéle quanne c’jì opéréte. E l’agghje fatte veramènde pe’ tutte ‘u cöre. = Non per rinfacciarglielo, ma io ho fatto due nottate (al suo capezzale) quando si è operato. E l’ho fatto veramente con tutto il cuore.

Se davvero l’avesse fatto con tutto il cuore, non lo andrebbe a dire in giro…

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Mènele 

Mènele s.f. = Mandorla

Il mandorlo (Amygdalus communis) è una pianta originaria della Grecia, introdotta dai Fenici in Sicilia, si è diffusa in tutti i Paesi del Mediterraneo.

Si suddivide in tre sottospecie di interesse frutticolo:

Amygdalus communis sativa, con seme dolce ed endocarpo duro = mènele tòste, usate in pasticceria e nell’industria dolciaria;
Amygdalus communis amara, con seme amaro per la presenza di amigdalina = mènele jamére, velenose, usate prevalentemente per estrarne l’olio usato in cosmesi;
Amygdalus communis fragilis, con seme dolce ed endocarpo fragile, usate abbrustolite come frutta secca da tavola = mènele muddèsche.

Basta, se no mi cresce il livello di colesterolo nel sangue.

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Mènele-atterréte

Mènele-atterréte s.f. = Croccantini di mandorle.

Sono dei dolcetti che si preparano in casa, difficilmente verranno prodotti industrialmente.

Praticamente le mandorle sgusciate e tostate vanno passate nello zuchero caramellato, divise a mucchietti e lasciati raffreddare.

Per poterli gustare occorre avere denti robusti e colesterolo basso.

Atterrati, perché? Non perché sono “aeroplani” che atterrano!!

Presumo che l’aggettivo atterréte sia stato coniato per l’aspetto assunto dai semi di mandorla nello zucchero rappreso, bruno e talvolta opaco, come il terreno agricolo. Quindi mandorle interrate.

Attendo da voi una versione più plausibile della mia, se la conoscete, così la inserisco in questa pagina.

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Menestré

Menestré v.t. = Scodellare

Dicesi del momento in cui si impiatta la pietanza, o anche riferito al momento in cui si scola la pasta per passarla subito dopo nei piatti a ricevere il condimento.

Comunque menestré significa specificamente togliere il recipiente dal fuoco perché il cibo in esso contenuto ha raggiunto il punto giusto di cottura. La pentola o la padella, può aver cotto la pasta, ma anche le patate, la verdura, la carne, ecc.

Ce uà fé ‘n’ate pöche: e pò ce pöte menestré = Si deve cuocere un altro poco: e poi si può scodellare.

Grazie a Vito per il suggerimento.

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Mengócce

Mengócce n.p. = Domenico

Domenico è un nome molto diffuso in tutta Italia, soprattutto al Sud. Deriva dal latino Dominicus, aggettivo derivato da dominus, “padrone”, con il significato di “padronale, del padrone”, ma in epoca cristiana prese il significato di “consacrato al Signore”.

L’onomastico si festeggia il 22 gennaio in memoria di Domenico, abate benedettino morto nel 1031.

In dialetto è Dumìneche, o – simile allo spagnolo Domingo – Dumìnghe.
Ricordo Maste Dumìneche Adabbo, fabbro, su Via Antiche Mura.

Poi i diminutivi sono MimìMimìnghe Mìnghe e Mengócce.

Quest’ultimo, amico di mio padre, di cognome Messina, faceva il sellaio in via Spinelli: Mengócce ‘u sellére.

Il lettore Domenico mi fa notare che la ricorrenza ricade ad agosto. Allora ho fatto una piccola ricerca.
In effetti i Santi che portano questo nome sono due.
-San Domenico abate benedettino (951-1031) – ricorrenza 22 gennaio.
-San Domenico Guzman (1170-1212) – ricorrenza 8 agosto.
Quest’ultimo è raffigurato insieme a Santa Caterina da Siena, domenicana (134-1380) nel famoso quadro della «Madonna di Pompei» mentre ricevono il rosario da Gesù bambino e da Maria.

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