Categoria: C

Crìsce sànde!

Crìsce sànde loc.id. = Cresci santo! = Salute!

Espressione di augurio rivolta ai bambini che emettono uno starnuto.

Accettabile anche con la grafia  crìsce sante.

Per gli adulti si usa la formula simil-italiana di Salüte!

Crisce sande! Ca puzz’avì ‘na bböna sòrte! = Salute! Che tu possa avere una buona sorte, una vita fortunata..

Il meccanismo fisiologico che provoca lo starnuto scatta allo scopo di eliminare, tramite le vie respiratorie, gli agenti patogeni.

Anticamente si riteneva lo starnuto manifestasse la guarigione dalla peste o da un morbo letale.

Quindi lo starnuto era accolto come un augurio, come per dire: la salute è ritornata!

Il crisce-sande! è dettato dalla tenerezza delle mamme verso i loro pargoli. Talvolta, quando sono spazientite dalla loro  vivacità, aggiungono sorridendo e sottovoce: ca djàvele già sì = ché diavolo già sei!

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Crìsciamendöne 

Crìsciamendöne s.m. = Ammucchiata

Gioco fanciullesco simile alla “cavallina”, con la differeze che in groppa al “cavallo” montano sei o sette compagni, fintantoché il poverino che sta “sotto” riesce a sopportarene il peso e poi crolla con tutto il carico….

Un po’ crisciamendöne è la scena che si vede nei campi di calcio, quando tutti i compagni di squadra saltano addosso al marcatore del goal fino ad atterrarlo. Jüne ‘ngùdd’a l’ate = Uno addosso all’altro.

Il lettore Gigi Lombardozzi mi ricorda che il gioco era chiamato anche “‘a mamma a cavàlle

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Crìstecevènghe

Crìstecevènghe escl. = Dio ne liberi

Crìstecevènghe era una specie di scongiuro che si diceva subito dopo aver pronunciato il nome del Diavolo, per neutralizzare il male che il Satana irradia al solo nominarlo.

Non so se è ancora in uso.

In effetti significa “Cristo-ci-venga-in-aiuto”.

Qualcuno ancora più timoroso del potere di Satana, rafforza la sua richiesta di soccorso, chiamando in causa per aiuto immediato anche la Santa Vergine: “Cristecevènghe e Marüje!” = Cristo ci venga in aiuto e anche Maria!).

Rammento che una ragazza che non voleva un giovane rimpiscatole, vedendolo che si avvicinava, disse una volta tra i denti: Uì mo vöne códdu Criste-ce-vènghe = Lo vedi (ecco) ora viene quel diavolo!

Quindi ha usato l’interiezione come locuzione sostantivale al posto di “diavolo”.

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Crjiatüre 

Crjiatüre s.inv. = Neonato, poppante

Si usa indifferentemente al maschile, al femminile, al singolare, al plurale.
Il termine, con connotazione molto affettiva, designa il bambino, il figlio, specie di tenerissima età.

Ahó, cìtte cìtte, ca facjüte arrespegghjé ‘u crjiatüre! = Ehi, zittitevi perché (altrimenti) farete svegliare il pupo.

Del verbo svegliare, come di molti altri verbi si possono usare due forme: arrespegghjé, e respegghjé.

 

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Crjüse 

Crjüse agg. = Ridicolo, buffo.

Ammessa anche la pronuncia: crejüse crijüse. Al femmilile fa crjöse, crejöse, crijöse.

Simile all’italiano curioso, buffo di aspetto, strano, bizzarro. O che fa affermazioni che contrastano con le nostre (che ovviamente sono quelle giuste).

Che sté decènne, ‘u sé ca sì crjüse? = Che stai dicendo? Lo sai che sei bizzarro, strampalato?

Può designare l’aspetto non proprio da Adone di qlcu. In questo caso si usa al vezzeggiativo, quasi a scusarne le fattezze.

‘Stu giovene jì un pöche crjüsjille = Questo ragazzo è un po’ sgraziato.

L’italiano “curioso” nel senso di desideroso di sapere, o che vuole sapere ogni cosa per conoscere fatti altrui dicesi ndrjànde.

Grazie a Lino Brunetti per il suggerimento.

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Cröce e nöce

Cröce e nöce escl.. = Metterci una pietra sopra.

È un’spressione rafforzativa locale che indica l’esclusione irrevocabile di una persona o di un luogo dalle proprie frequentazioni, per effetto di una delusione, di una perdita, di una amara esperienza.

Di solito viene pronunciato accompagnato da un gesto della mano che traccia nell’aria una grande X, come una benedizione a rovescio… come se si volesse sbarrare una scritta su una lavagna immaginaria.

Da códdu dentìste?Nziamé cchió! Cröce e nöce! = Da quel dentista? Non sia mai più!  Ho cancellato definitivamente anche ogni remota possibilità di ritornarci!

Il sostantivo nöce è pronunciato solo per rima o assonanza rafforzativa.

Accade sovente in dialetto.Qualche esempio:
Storje e patòrje
Mamurce p’i ‘ndùrce
Nannurche abbasce a l’urte
Pàbbele e fracabbele
Sturte e malurte

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Crudìvele

Crudìvele agg. Difficoltoso a cuocere

E’ in contrario di cucìvele = cottoio, che si cuoce facilmente riferito specificamente ai legumi-

Non penso che in lingua italiana ci sia un aggettivo specifico che renda l’idea.

Potrebbe andare, forse, ‘refrattario’ ma così si passa alla terminologia dei fornaciai.

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Crumatüne 

Crumatüne s.f. = Cromatina. Cera per lucidare le scarpe.

Va bene anche scritto crumatïne.

La denominazione commerciale “Cromatina” dal greco χρμα –ατος = colore) diventò un nome comune per indicare il lucido per scarpe, ed era largamente usato anche in italiano.
Ora si preferisce adoperare l’aggettivo sostantivato “lucido” per designare questo prodotto.
Fino agli anni ’70 era commercializzato in pasta piuttosto solida, contenuta in scatolette metalliche rotonde, con il coperchio rimovibile.  Ricordo le varie marche dell’epoca: le più diffuse Tana e  Marga; quindi Brill, Emulsio, Ebano, Lion noir, Guttalin e Sutter, nei vari colori: nero, testa di moro, marrone, rosso, giallo.
Si applicava sulle calzature mediante una specifica spazzola

Poi fu distribuito in forma cremosa in comodi in tubetti, come quelli del dentifricio.
Ora si vende in flaconcini dotati di un pratico tampone a spugna, sotto forma di liquido speciale autolucidante.

Da non confondere con cré-matüne = domani mattina

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Cubbüje

Cubbüje s.f. = Cubìa, occhi di cubìa.

In italiano si pronuncia, con l’accento sulla ‘i’ come in fobia. Altri dicono cùbia, come come in rabbia.

In dialetto lo usano solo gli uomini della marineria perché è un termine specifico dell’arte navale.

Si tratta di due rilievi decorativi poste sulla murata delle imbarcazioni a proravia, vicini ai due fori creati per consentire lo scorrere della catena quando si cala o quando si salpa l’ancora.

Essi tecnicamente sono e si chiamano “occhi apotropaici” (dal greco ἀποτρόπαιος apotròpaios, derivato di ἀποτρέπω che significa allontanare), cioè che allontanano gli influssi malefici.

Questi antichissimi fregi furono usati da Egizi, Romani, Fenici e Greci in tutto il bacino del Mediterraneo. Fino agli anni ’60 erano in uso sui natanti della costa Adriatica, dalla Puglia alla Romagna, sia sui battelli da pesca, sia su quelli da carico.
Le imbarcazioni moderne, ahimé, non si fregiano più di questi simboli del passato, ritenuti forse troppo “primitivi”.

I cubbüje…il termine ha un suono che mi piace.  Le  cubie a forma di occhi, in rilievo, colorati di rosso, e fissati sulla prua dei nostri trabaccoli, esercitavano su di me adolescente un’enorme attrazione. Dopo la Messa mi concedevo una passeggiata in esplorazione o all’interno del Castello o sul Molo di Levante. Restavo a lungo a mirare questi misteriose e affascinanti cubie.

Il lettore Mario Brunetti, che ringrazio, mi scrive:
«L’occhio di cubìa è un capolavoro di funzionamento: la catena dell’ancora deve scorrere nel giusto verso senza accavallare le maglie e viceversa in risalita. In pratica è lo sviluppo di un’elica. E’ una piccola medaglia per il carpentiere che la realizza.»

Nella foto (dal wb) un antico trabaccolo restaurato all’ancora nella laguna veneta.
Le cubìe sono diventate l’emblema della città adriatica di Cattolica.

 

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