Categoria: C

Córre-córre 

Córre-córre s.m. = Fuggi-fuggi

Il termine ha diverse sfaccettature di significato. 

  • Scompiglio, riferito a folla che fugge disordinatamente e in preda al panico. 
  • Allarme ingiustificato
  • Pericolo incombente che spinge alla fuga.
  • Necessità corporale impellente.

La ripetizione di correre (corri, corri!) dà l’idea della rapidità o dello scompiglio con cui si identifica il lemma.

Sté partènne? Te si’ mìsse ‘u mutànde e ‘a magliètta pulüte? Angöre ‘nziamé nu córre-córre.. = Stai partendo? Hai indossato la biancheria pulita? Non si sa mai, potresti trovarti in una situazione difficile.

La brava mamma pensa che in caso di disgrazia, i soccorritori avrebbero trovato il suo pupo tutto in ordine…
Non sa la poverina che purtroppo, in caso di infortunio traumatico, per prima cosa si allentano tutti gli sfinteri del malcapitato e le mutande saranno comunque piene di liquidi e sostanze organiche.

Nota fonetica: 
La “ó” con l’accento acuto si pronuncia stretta, quasi una “u”, mentre quella con l’accento grave “ò” si pronuncia larga.
Notate la differenza fra ‘u ze rósse e ‘a ze ròsse  = il rosso (un individuo rosso) e la rossa.

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Cöse-fetènde

Cöse-fetènde agg. e s.m. = Impertinente, inezia.

Alla lettera: coso/a puzzolente.

L’aggettivo calza a qlcu che si comporta in maniera scorretta, meschina, subdola.

Il sostantivo designa una persona dai modi volgari, vessatori, moralmente degradato, insignificante, stupido e insolente (avaste?).

Vatti’, ‘stu cöse fetènde! = Va via, insolente!

Per estensione il sostantivo indica un oggetto insignificante, di nessun valore, inadatto all’uso.

Al femminile fa cösa-fetende.

Che ‘da fé pe ‘stu cöse fetènde? Mjinele jìnd’a mennèzze! = Che hai da fare con quest’oggetto inutile? Buttalo nella spazzatura (mi raccomando la raccolta differenziata!)

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Coške 

Coške s.f. = Scoreggia (o scorreggia)

Nulla a che fare con le cosche mafiose! Si tratta tuttavia ugualmente di un problema molto serio.

Emissione rumorosa di gas intestinali.

Fé ‘na coške = cuškjé = scorreggiare.

Non sempre l’emissione può dirsi rumorosa.

In silenzio dicesi ‘a loffe
Dal suono flebile dicesi ‘a stòdeche
Dall’emissione normale è la vera e propria ‘a coške
Se sale un po’ di tono edicesi chjìreche
Se il tono è più alto e prolungato si tratta di un chjirecöne
Se si tenta, sforzandosi, di emetterne una più fragorosa, si rischia la zelléte ossia l’emissione non è solo gassosa ma anche un po’ solida.

Credo di aver percorso tutta la scala cromatica dei suoni possibili da quello strumento “a fiato” (‘u cüle)

Se mi è sfuggito qualche termine…mi correggerete! (scusate l’accostamento irriverente a Sua Santità, ma il verbo correggere si sposa egregiamente a quello trattato in questa “voce”).

Lino Brunetti mi manda questa simpatica scenetta:

«Era riunito a Palazzo il Gran Consiglio, con il Re di Napoli a capotavola, e si discuteva di tutto.
Ad un certo punto il Primo Ministro, piuttosto anziano, chiese: “Con licenza di Vostra Maestà!” Si alzò dalla poltrona ed andò a scorreggiare con le spalle alla finestra e poi ritornò a sedersi. La stessa procedura per altre due volte.
Quando stava per alzarsi ancora una volta, il Re lo fermò dicendo: “Eccellenza, ‘sta volta facitéle accà, e po’ purtataville ‘llòco!”»

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Còsse-lùnghe 

Còsse-lùnghe agg. e s.m.= Gran camminatore

Propriamente non significa maratoneta, che copre a piedi grandi distanze, né che ha gambe lunghe, come è la traduzione letterale…

Specialmente al femminile, còsse-lònghe definisce chi o che ha l’abitudine di jì caserjànnejì jattjànne

Ossia ragazze che non hanno voglia di sbrigare le faccende domestiche ma che trovano ogni occasione per andare a passeggio o a far visita alle amiche.

In effetti che siano slanciate o no, comportandosi così diventano sempre còsse-lònghe = cosce-lunghe!

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Cóste

Cóste agg. = Questo

Aggettivo dimostrativo solo al maschile, sempre seguito dal sostantivo che modifica, indica persona o cosa vicina nello spazio o nel tempo a chi parla.

Qualu libbre agghj’accatté, cóste o cóste? Tutt’e düje!= Quale libro devo acquistare, questo o quest’altro? Entrambi

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Còzzele 

Còzzele s.f. = Mitilo, cozza

La parlata moderna abbrevia il nome da còzzele in cozze. Personalmente preferisco la prima forma, quella tradizionale.

La cozza (Mytilus edulis o Mytilus galloprovincialis) è un mollusco dalla conchiglia nera e approssimativamente triangolare, molto ricercato per alcune specialità gastronomiche: zuppa di cozze, cozze alla marinara, impepata di cozze, cozze gratinate, ecc.
Quelle poste in commercio devono provenire da allevamenti specializzati. Diffidare dalle cozze vendute alla rinfusa nei mercatini. A Manfredonia si usa chiamarla Còzzele de Tàrende = Cozza di Taranto, città ove esistono da sempre estesi allevamenti di mitili.

E questo per distinguerla dalla locale pregiata “cozza pelosa”, una volta considerato cibo dei poveri, perché acquistata a prezzo vile. Assieme al pane costituiva la cena per tutta la famiglia.

La cosiddetta cozza pelosa (Modiolus barbatus) per via delle alghe attaccate al suo guscio, è un prodotto locale, a mio avviso molto più pregiato della sia pur buona cozza nera tarantina.

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Cragne

Cragne s.m. = Cumulo

Ammasso, mucchio, tumulo, accumulo.

Un insieme di legna, pietre, ghiaia, sabbia, fieno, ecc.

Figuratamente significa risparmiare, raggranellare un gruzzoletto.

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Cré

Cré, avv. = Domani, il giorno dopo di questo.

Qlcu pronuncia anche créje.
Vènghe quann’è créje = Vengo quando è domani.

Termine tramandato dal latino Cras = domani.

I nostri vecchi usavano anche pescré (pronunciato anche pescréje) = dopodomani, sempre dal lat. post cras il giorno dopo di domani.

Sovente dicevano anche pescrìdde per indicare il terzo giorno che verrà…ma questa voce non ha etimologia classica: è una deformazione locale.

Mi fanno ridere i ragazzi moderni che sanno dire duméne e döpe-duméne, traducendo l’italiano in manfredoniano… Questo è un dialetto geneticamente modificato…
Evitiamolo, o parliamo italiano o… “parliamomanfredoniano.it”

Carlo Levi, confinato politico dal fascismo a Gagliano (Aliano),  riferisce che i contadini della Basilicata, oltre al crài pescrài, usassero pure altri avverbi, che ora non ricordo…. Insomma avevano un termine per indicare ognuno dei sette giorni in sequenza, fino alla successiva settimana!

Ho fatto delle ricerche ed ho reperito il testo on-line. Per curiosità letteraria lo trascrivo qui di seguito:

«… Crai è domani, e sempre; ma il giorno dopo domani è prescrai e il giorno dopo ancora è pescrille poi viene pescruflo, e poi maruflo e marufIone; ed il settimo giorno è maruficchio. Ma questa esattezza di termini ha più che altro un valore di ironia. Queste parole non si usano tanto per indicare questo o quel giorno, ma piuttosto tutte insieme come un elenco, e il loro stesso suono è grottesco: sono come una riprova della inutilità di voler distinguere nelle eterne nebbie dei crai.»
(Carlo Levi –  “Cristo si è fermato a Eboli” – 1945 Ed. Einaudi)

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Cremöne

Cremöne s.m. = Cremore di tartaro

Il Cremore di tartaro è un sale acido presente nell’uva e nel vino, che viene estratto senza aggiunta di additivi chimici.

Trova impiego specialmente in pasticceria con aggiunta di bicarbonato di sodio nel rapporto di 2:1 per ottenere un eccellente lievito naturale per dolci.

Credo che sia la composizione delle famose bustine di lievito “Bertolini” o “Pan degli Angeli”, conosciute da tutte le brave massaie.

Insomma è un lievito chimico, chiamato anche crescemjinde = crescimento, che accresce

Una volta si comprava sfuso in drogheria. Le dosi ce le consigliava il droghiere stesso, Viscardo, una persona paziente, in base al peso della farina e del tipo di dolce che si voleva proparare.

Come aggettivo riferito a persone, cremöne significa babbeo, tontolone, ingenuo, fessacchiotto.

Uhé, cremöne, spùste ‘stu carrùzze! = Ehi, babbeo, sposta questo motocarro!

La foto della locandina è stata inviata da Gigi Lombardozzi

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