Categoria: C

Colocènze

Colocènze s.f. = Tregua

Alla lettera significa “con licenza”.

Veniva pronunciato da uno dei partecipanti ai giochi fanciulleschi, per sospendere una pena, o un inseguimento. Qualche bimbo pronunciava anche calocènze!

Si dichiarava il colocènze ad alta voce, in modo che anche gli altri bimbi potessero sentire la richiesta di scuse per l’errore commesso nello svolgersi del gioco.

Si evidenziava così l’inintenzionalità, la mancanza di dolo.

I bambini stabiliscono le regole e le seguono scrupolosamente. Cosa che i grandi, specie gli uomini politici, non sempre lo fanno.

Filed under: CTagged with:

Còmete 

Còmete = Recipiente

Contenitore per raccogliere generalmente i liquidi da trasportare.

Si tratta di un sinonimo di mercjöne.

Esempio: Ha purtéte ‘u còmete? E mo’ add’jì ca t’agghja mette ‘u làtte? = Hai portato il recipiente? E adesso dove ti debbo versare il latte?

Deriva da comodo?

Filed under: CTagged with:

Conghe

Conghe s.f. = Tinozza, mastello, bagnarola, conca.
tinozza
Recipiente di ferro zincato, o di legno o di altro materiale usato generalmente per fare il bucato a mano o anche per fare il bagnetto ai bambini.

In dialetto era usato anche il termine tüne = tina.

Tènghe da fé ‘na conghe de pànne = Ho da lavare un’intera tinozza di biancheria.

Da jogge ca stéche ‘mbacci’a ‘nna conghe de panne = È da questo pomeriggio sono impegnata su un mastello di panni (da lavare)

Filed under: CTagged with:

Contramalùcchje

Contramalùcchje s.m. = Amuleto, talismano, portafortuna

Contramalùcchje = contro il malocchio.

Piccolo oggetto da portare sulla persona, creduto, per superstizione, capace di proteggere da mali o da pericoli e per propiziarsi la fortuna.
Da noi specificamente ha la funzione di difenderci dall’altri invidia.

Per esempio:
-il sinuoso cornetto rosso usato come ciondolo o quello mignon d’oro attaccato alla collanina (che è blasfemo quando viene messo assieme ad un’immagine sacra);
-la mandorla doppia “siamese”, cioè attaccate alla base e somigliante a un paio di mammelle appuntite;
-un rostro mobile della chela di favollo (‘a pelöse);
-un paio di corna di ariete fissato sull’architrave dell’ingresso principale delle case di campagna;
-il ferro di cavallo attaccato all’uscio di casa;
-il vistoso corno di vacca, fissato a una base di legno che fa bella mostra di sé nelle case antiche, con un nastrino rosso annodato a fiocco alla sua base o a metà lunghezza; ecc. ecc.

In emergenza, in assenza di questi oggetti, per contramalucchje bastava “fare le corna” con una mano nascosta.
I maschietti ricorrevano ad una veloce grattatina sui “paesi  bassi”, capisci a me.

Quando si riceveva un complimento, temendo che costui o costei  lo facesse per invidia, prontamente si facevano le corna con la mano.   Sapendo l’andazzo, la pesona cerimoniosa terminava il complimento con un bel “benedüche“. dimostrando la buona fede. 

La nostra generazione è smaliziata e non corre più dietro a queste sciocchezze (almeno spero!).

Mi scompisciai dalle risate quando all’età di otto anni, razionalmente, chiesi a mia madre che cosa significasse quel corno lucido e nero che faceva in bella mostra di sé sopra il bordo dell’intavolato divisorio. Ella con un bell’italiano, impensabile per l’epoca pre-televisiva, citò un distico endecasillabo assonante che mi si è attaccato nella memoria, e che mi fa sorridere tuttora quando ci penso:
“Contro l’invidia della mia fortuna,
prendo ‘sto corno: glielo ficco in cu…..!”

Chissà dove lo aveva appreso!

Filed under: CTagged with:

Conza-piatte 

Conza-piatte s.m. = Conciapiatti

Persona che per mestiere riparava non solo i piatti, come si evince dal termine, ma ombrelli e altri piccoli oggetti.

Deriva da cunzé = conciare, aggiustare e piatte, di chiaro etimo.

E’ diventato soprannome da mestiere.

Filed under: CTagged with:

Còppe ‘u ujinde

Còppe ‘u ujinde top. = Altura del vento

Toponimo indicante una località a pochi km da Siponto in direzione Foggia, praticamente all’innesto della nuova SS 89 per Foggia.

Filed under: CTagged with:

Copra-mesèrje

Copra-mesèrje s.m. = Soprabito

Significato letterale: copri-miseria.

Così spiritosamente, compatibilmente con le condizioni di indigenza in cui realmente si viveva, era chiamato un qualsiasi soprabito o cappotto o pastrano che si indossava d’inverno.

Il vestito di sotto spesso era lacero o rattoppato, perché le condizioni di miseria purtroppo non consentivano l’acquisto di altri capi d’abbigliamento.

Il lodato copra-mesèrje nascondeva pietosamente tutto e con quello si poteva ostentare una certa dignità nella povertà, almeno all’apparenza..

Filed under: CTagged with:

Cöre

Cöre s.m. = Cuore.

La pronuncia del termine francese, scritto Coeur è identica alla nostra.

Madò, m’ha fatte zumbé ‘u cöre da ‘nbjitte pe ‘sti cazze de tricche-tracche!! = Madonna! Mi hai fatto saltare il cuore dal petto con questi accidenti di petardi!

Filed under: CTagged with:

Córle

Córle s.m. = Trottola

Trottola di legno tornito, munito di punta metallica. Aveva la forma di cono con la base a calotta. Esistevano di varie misure da 6 cm (‘u córle più diffuso) a 10 cm di altezza (detto ‘u pataccöne).
Si azionava mediante un grosso spago formato da due o più capi ritorti di canapa, detto zajagghje. Lo si avvolgeva sulla trottola e si lanciava su un terreno compatto. Il rapido srotolamento dello spago imprimeva alla trottola un movimento rotatorio tale da farla restare ritta sulla punta a pirlare a lungo su se stessa.

Si facevano giochi di squadra, con questi oggetti, che duravano un intero pomeriggio.
Il terreno ideale era di tufina battuta. Si tracciavano si di essa con la punta della trottola due cerchi concentrici: quello interno del diametro di 20 cm e quello esterno max 180 cm e delimitava la distanza da cui lanciare la propria trottola.
Tutto lo schema, come quello del gioco della campana era chiamato ‘a vènghe (←clicca).
Nel cerchio piccolo di poneva la trottola del giocatore che nel lancio iniziale per prima cessava di roteare.
Gli altri, a turno cercavano di centrarla pronunciando ad alta voce la propria volontà, rivolgendosi alla vènghe, ossia al tracciato sul terreno.
La dichiarazione d’intento più diffusa, perché non impegnativa, era: venga vè, pennìcchje da söpe = cerchio tracciato, colpirò sopra il giocattolo che è nel centro dell’area piccola proprio per scalfirlo. Se il lanciatore non la colpiva doveva semplicemente attendere il successivo turno di lancio.
Qlcu più sicuro dichiarava: “Vènga vé tutte sòtt’ è ffore de mè“, oppure: “Venga, vè,  jü e Giuànne söpe e tutte quànde sòtte” = Io e Giovani continueremo i lanci e tutte le altre trottole vanno poste al centro per subire le incursioni…
Però, se il lanciatore non centrava la trottola che faceva da bersaglio, era la sua che doveva rimanere nel cerchio centrale a subire gli attacchi degli altri.
Lo scopo era la distruzione dei giocattoli avversari, ma raramente i córle si spaccavano per questi lanci, anche se i “proiettili” erano patacconi,

Dietro suggerimento del lettore Pino La Torre, aggiungo il glossario per completare l’argomento:

– Pennìcchje: Scalfittura, infossatura, buchino inferto dalla punta metallica di una trottola ad un’altra trottola giacente al centro della vènghe;

– Pennózze agg, = Pennuzza, nel senso si leggerezza. Indica una trottola di media grandezza che rotea sul palmo della mano, senza alcuna vibrazione, in modo così lieve da farsi sentire a malapena, segno evidente di buona riuscita;

– Lüme agg. = Lima. Sinonimo di pennózze. Forse perché la punta è perfettamente levigata come se fosse stata trattata con una lima a grana fine;

– Trùne, agg. = Tuono. Nel caso opposto al precedente, la trottola è difettosa, perche nel conficcare la punta metallica arroventata nel legno, non la si è mantenuta in asse. Quindi trùne/grave, pesante, contrario a pennózze/leggera;

– Zarabbabbàlle agg. = Instabile. È così definita quella trottola che per errata calibrazione, è disassata, e quando gira fa sul terreno una strana traiettoria, quasi saltellante ed è impossibile raccoglierla in mano.

Oggi i córle si vendono solo a Monte S.Angelo. I pellegrini di una certa età li comprano per nostalgia, ma non ci gioca più nessuno purtroppo ?

In Italia, la piccola”trottola” prende diversi nomi: “Ciucidda”, in Sicilia (Pachino – Siracusa), “Girifalco” in Calabria, “Morrocula” in Sardegna, “Strummola” a Palermo, “Strummolo” a Napoli, “Cùrrulu” in alcuni paesi del Salento, più simile al nostro “córle”.

Il prof. Michele Ciliberti mi ha specificato che «Lo στρòµβος/strombos o strobilio era il gioco che praticavano i bambini greci già nell’antichità. Nell’idioma greco antico era detto στρομβιλιων/strombilion, ossia “piccola pigna” o “cono”, oltre che per via del movimento rotatorio che si poteva imprimere a tale oggetto.»

Da strombilion è derivato il termine strummulu o in Sicilia  e strummolo in Campania.

*  *  *

Il dott. Matteo Rinaldi, autore assieme a Pasquale Caratù di un pregiatissimo Vocabolario dialettale manfredoniano, mi scrive a questo proposito:

«Ti ricordo che le punte in ferro, ai famigerati córle li andavamo a ordinare da mast’Necöle Telera, la cui officina si trovava all’imbocco di vico Clemente in una rientranza delle mura, ed era ricavata da un mezzo vagone ferroviario.  Tra l’altro i giochi con il corle erano due, se ben ricordi; il primo era ‘a vvènga vènghe‘ e l’altro era ‘ai pennicchie‘, cioè a colpire ‘a patacca’ (così si chiamava la parte lignea della trottola).

Sono ricordi indelebili perché scolpiti fortemente nella mente di noi ragazzi di un tempo che ci accontentavamo di pochi giocattoli procurati a stenti e spesso da noi stessi ideati.»
Filed under: CTagged with:

Corre apprjisse 

Corre apprjisse loc.id. = Inseguire, incalzare, tallonare.

Una locuzione verbale che indica un inseguimento a piedi piuttosto movimentato.

In tono scherzoso si pronuncia per invitare a fare le cose con calma e perciò per bene.

Bbèlle-bbèlle, tande nesciüne ce corre apprjisse = Calma, adagio, tanto nessuno ci rincorre (nessuno ci corre dietro).

È spesso usato anche in senso metaforico, figurato.

L’uscjire ‘u còrrene apprjise = Costui è pieno di debiti.

La frase più esplicativa sarebbe: gli Uscieri giudiziari lo tallonano, lo cercano, lo inseguono per notificargli, secondo la prassi prevista dalla Procedura concorsuale, il pignoramento o il sequestro dei beni per via della sua insolvenza.

Filed under: CTagged with: