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Ciaciàcche

Ciaciàcche agg e s.m..= Donnaiolo

I francesi dicono Tombeur de femmes, colui che fa cadere le donne.

Gaudente, donnaiolo, libertino e immorale, spende i suoi averi con donne di malaffare e in gozzoviglie.

Difficilmente si pente come il figlio prodigo della nota parabola evangelica.

Quando inevitabilmente rimane senza risorse economiche finisce come un miserabile (vedi Chiapparüne). C’jì fruscéte tutte cöse = Si è sperperato tutto quanto possedeva.

Quei parassiti, che erano stati suoi compagni di gozzoviglie, gli gireranno inesorabilmente e impietosamente le spalle.

Dispreg. Ciaciaccöne

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Ciaciùtte 

Ciaciùtte agg. e s.m.= Grasso, pingue, grosso, obeso, cicciuto.

Come sostantivo vale grassone, ciccione,: uì, mo vöne ‘u ciaciùtte = ecco, ora arriva il grassone.

Essere bene in carne una volta era segno di buona salute. Adesso l’essere solo un po’ fuori forma diventa un disagio esistenziale che ci costringe a insopportabili diete.

Come aggettivo : Jöve nu baccalà, bèlle ciaciutte = era un baccalà bello grosso

Al femminile suona ciaciòtte.

Molto spesso si semplifica in ciùtte e ciòtte.

Come superlativo va bene ciutte-ciutte, e ciòtta-ciotte.

Nella locuzione fàrece ciutte-ciutte (o ciotta-ciotte) si intende rimpinzarsi, riempirsi, ingozzarsi, abbuffarsi.

Vedi anche il simile togliersi quattro pieghe…

(foto tratta dal web)

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Cialluttöne

Cialluttöne agg. = Chiacchierone, pettegolo

Non sono certo della resa in italiano.

A me dà l’impressione di un tipo pettegolo e chiacchierone. Qui a Matera (e non siamo nel Lombardo-Veneto) cialleddé significa forbiciare, spettegolare, come il nostro zingarjé, furbecé.

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Ciamarüche 

Ciamarüche s.f. = Chiocciola
Mollusco (Helix aspersa vermiculata o ) dotato di una grossa conchiglia a spirale, corpo allungato, viscido, strisciante sulla superficie ventrale, capo munito di antenne retrattili. Il guscio presenta una fascia marrone a spirale su campo bianco. È tipica dell’Italia meridionale: in altre regioni è chiamata “rigatella” per via delle righe bianco-brune a spirale.

Si raccolgono nei campi e si lasciano spurgare per una settimana. Successivamente si preparano con un sughetto all’aglio e pomodoro per condire le orecchiette con la rucola. Un piatto tipico di Manfredonia.

In Basilicata sono chiamate ‘cozze’, o ‘cozze di terra’. I raccoglitori di chiocciole sono detti ‘cozzari’, che è sinonimo di incivile, zotico, buzzurro.

Quando si raccolgono soggetti di dimensioni maggiori (come le famose escargots francesi) sono chiamate ‘i cervüne (Helix aspersa viridis). In Basilicata cape d’agghjone, grosse teste di aglio.

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Ciamarüche mósse mòdde

Ciamarüche mósse mòdde s.f. = Chiocciole (lumache) novelle

Queste chiocciole si riconoscono dalla fragilità del loro guscio dovuto alla loro  giovane età.

Questo fatto non significa che non siano buone per prepararne il tradizionale sughetto.  Solo bisogna stare attenti a maneggiarle per evitare lo schiacciamento del loro  guscio.

Si paragona scherzosamente a una ciamarüche mósse mòdde quel tipo insopportabile di adolescente schizzinosa, che non mangia volentieri quasi nulla perché ritiene qualsiasi pietanza degna della pattumiera e non del suo stomachino delicatino.

Attenti alla pronuncia delle “o” , che è stretta su mósse e larga su mòdde.

Il lettore Michele Castriotta asserisce che queste chiocciole erano conosciute in dialetto col nome di jaródde.

 

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Ciamaruchèlle

Ciamaruchèlle s.f. = Chiocciole giovani.

Si tratta di giovani chiocciole, generalmente biancastre, che si trovano a migliaia lungo le strade di campagna a fine estate.

Vengono chiamate Ciamaruchèlle, per distinguerle, data la minore dimensione, dalle ciamarüche (←clicca) adulte.

Generalmente si lessano e si condiscono con aceto e foglie di menta piperita fresca (‘a mènte ‘i ciamaruchèlle) in una specie di fresca insalata estiva..

 

maruzzellerosse2-800x600 (400x300)Esistono con lo stesso nome le lumachine di mare, da non confondere cono con i cazzecómbre,(←clicca) che sono immangiabili, o con i curlicchi (←clicca) da cui invece si ottiene un delizioso intingolo.

I Napoletani le chiamano maruzzelle (Nassarius mutabilis), altrove tombolini, nassa, bombolini.

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Ciambe-ciambe

Ciambe-ciambe loc. id.soprann. = Impronte, ditate.

1) Un mobile è pieno di impronte lasciate da mani unte o sudate? Ecco è tutto ciambe.ciambe!

Si può dire anche che sté ciambjéte, ove ciambe è una caricatura di zampa, perché il monello che ha fatto il danno è paragonato ad una bestiolina con le zampette…

Mi sa che anche ciambéte = manciata derivi da ciambe = zampa

2) Con il nomignolo Ciambe-ciambe era conosciuto un bravissimo sarto su Via Tribuna, fra Via Magazzini e Via Vittor Pisani, specializzato nel confezionare abiti da uomo. Molti allievi sono usciti dalla sua bottega, altrettanto bravi.

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Ciambéte 

Ciambéte  s.f. = Manciata

Quello che può essere contenuto in una mano sola. Quello che si raccoglie a mani unite dicesi pjöne.

Istruzioni per preparare le acciughe salate. Mjine ‘na ciambéte de séle e jüne d’alüce, jüne de séle e jüne d’alüce = Metti una manciata di sale e una di alici, alternando gli strati.

Ovviamente ciambéte se inteso in senso figurato significa “inezia, poca roba”.

Jì rumàste pe ‘na ciambéte de pedócchje = È rimasto con un pugno di pidocchi, ossia ha avuto un rovescio di fortuna ed è rimasto a mani vuote.

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Ciambotte

Ciambotte s.f. = Zuppa di pesce del Golfo.

I Potentini, che sono montagnari, chiamano pomposamente ciambotta una volgare zuppa di verdure….

Per un integralista come me sentire questo soave nome dato a dei semplici vegetali è una vera eresia.

La ciambotte nostrana si prepara con una nutrita specie di pesci: tràcene, sparrüne, cechéle, tèste, lucèrne, scròfele, sambjitre, caccjüne, siccetèlle, scàmpe, rùnghe, ecc. (eh, eh, mi sembra la formazione di una squadra vincente ai campionati gastronomici mondiali!).

È veramente squisita sia versata sugli spaghetti al dente, sia usata come intingolo per ammollarvi il pane duro, vecchio di qualche giorno.

Un piccolo segreto rende la ciambotte di Manfredonia un po’ speciale rispetto al cacciucco livornese, o alla bouillabasse di Marsiglia, o alla zuppa di pesce di Termoli o di Taranto o di San Benedetto del Tronto (tutte molto buone, per carità…).

Quella fetta di peperone, possibilmente verde, che le nostre mamme pongono nel sughetto è la mossa vincente!

Altro che Vissani, lo chef che si fa vanta di conoscere tutti i segreti della cucina….Vissa’, vàtte cùleche!

Quelli che dicono ‘a zóppe ‘u pèsce = la zuppa di pesce, sono Manfredoniani parlanti un dialetto geneticamente modificato. Si deve dire ‘a ciambòtte!

Scherzosamente nel dire facjüme ciambòtte si usa un parlare figurato. Non si prepara la zuppa di pesce, ma si combina qualcosa di intimo, di delizioso, ma in coppia…

L’amico Ettore Don mi ha fornito l’etimologia di ciambotte.
«Si racconta che i marinai francesi usassero questo termine durante i periodi di scarsità…il significato tradotto dal linguaggio arcaico francese vuol dire : prendiamo ( mangiamo ) tutto quello che abbiamo a bordo»

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Ciammjire

Ciammjire s.m. = Pastone, pastura

Corretta anche la versione ciammìrre, o ciammire.

Miscuglio di diversi ingredienti usato come pasto per gli animali d’allevamento.

Il lettore Luciano Nicola Casalino mi scrive:
«Ciammire, alias “lo zimbello”. Usato dai vecchi uccellatori manfredoniani (Agostino Bronzino, Andonjie “Maccarone”, “Scattazze”, “Ciocciamére ecc). Il povero volatile veniva imbragato e legato ad una asticella azionata dall’uccellatore mediante una corda. Serviva come richiamo visivo per con scopi specifici. Il termine dovrebbe significare ” si ammira/si fa ammirare”».

In ambito marinaresco si intende una poltiglia composta da interiora e da scarti di pesce che si lancia in mare allo scopo di far radunare sgombri, o altre specie di pesci di media grandezza e poterli catturare più numerosi con la rete da lancio (‘u resàcchje).  Insomma una specie di esca. Nel nord tarantino lo chiamano ggiamiélle.

In entrambi i casi di tratta di un “richiamo” per animali vivi.

Quando i pescatori vogliono descrivere un affollamento, un assembramento, dicono che le persone radunate acchessì stèvene, a ciammjire = così stavano, come stanno addossati i pesci che si radunano veloci a banchettare quando il pastone viene gettato in mare.

Nell’evidenziare acchessì = così, univano e staccavano le punte delle dita contro il pollice ripetutamente per almeno tre volte per significare la calca, uno addosso all’altro.

Una curiosità: al tempo dell’antica Roma, la poltiglia suddetta di interiora e scarti di pesce, si faceva fermentare a lungo sotto i raggi del sole.   Si otteneva una pastella molto usata per condimento. Il famoso garum, ritenuto prelibato a quei tempi.

Io penso che semplicemente faceva schifo… a meno che con la fermentazione non assumesse il profumo delle acciughe e l’agro dell’aceto. Chissà.
Ho visto in commercio una cosa simile, chiamata “colatura di alici”, ma non so com’è.

Ho assaggiato invece il “garo” calabrese, fatto di bianchetto e peperoncino, da spalmare sul pane come la nutella. Beh, questo lo raccomando anche ai delicati di stomaco.

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