Categoria: C

Chenzöle 

Chenzöle s.f. = Consolle

“Consolle” è un arredo domestico, ed  è un termine francese tel quel..

Si tratta di un ripiano fisso, a mensola, sorretto da telaio con piedi di legno intagliato.

E’ sempre completato da uno specchio, la cui cornice si armonizza con lo stile e con le intagliature della sottostante «consolle ».

In questa opera si riflette la immensa bravura dei nostri artigiani. Era fatto completamente a mano, compreso gli intagli, in stile quasi barocco.

Era l’orgoglio delle nostre nonne.  Molte consolle sono purtroppo diventate legna da ardere perché incoscientemente considerate vecchiume dai nipoti…

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Chépabbàsce

Chépabbàsce s.m. = Discesa

China, pendenza, strada in pendenza, tratto in discesa.

‘U chépabbasce d’u Semenàrje = La discesa di Via Seminario

Figuratamente significa percorso inarrestabile, malore fisico o psicologico o economico da cui è difficile riprendersi.

Pegghjé ‘nu chepabbasce = rovinarsi, andare in malora.

Amme pegghjéte ‘nu chépabbàsce = Abbiamo imboccato una difficile china da cui è arduo risalire.

I ragazzi di oggi, tutti acculturati, usano il termine desciöse = discesa.
Non mi piace questo termine geneticamente modificato…

Il contrario, cioè la salita, è detta ‘u chépasöpe o l’anghjanéte, dal verbo anghjané = salire.

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Chepasöpe

Chepasöpe s.m. = Salita

Tratto di strada per cui si sale.

Erta, pendio difficoltoso da scalare.

Pittorescamente i Montanari dicono chépe ad alte, con lo stesso significato: testa rivolta verso l’alto.

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Chépecanéle 


Chépecanéle
s.m. = Cenone

Chépecanéle s.m. = Cenone

Chépecanéle  alla lettera si traduce con  “capo-canale”, locuzione che non significa nulla.

È più probabile che derivi da baccanale = cenone affollato, baldoria, gozzoviglia.

Era tradizione che il proprietario del fabbricato offrisse alle maestranze che avevano ultimato il solaio (vultéte ‘i làmje) una cena in un trattoria-cantina preavvertita dell’evento (Ciumarjille, Giuànne, Pachjireche, Mešküne, Menjille, ‘Nzaléte, ecc…)

 

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Chépetórne

Chépetórne s.m. = Capogiro, vertigine

La prima parte del termine, chépe chiaramente significa capo, testa. L’altrà parte tórne è derivano dal francese tourner e significa proprio girare.
Ricordo una canzone di Yves Montand: Tu me fais tourner la tête = Tu mi fai girar la testa.

Accettabili anche le varianti capetórnechépetónne.

Chépetórne designa lo stordimento causato dallo svolgimento di taluni giochi fanciulleschi, o di un vorticoso valzer. Quindi con un sorriso si aspetta che cessi.

Se invece il capogiro ha origine patologica è chiamato proprio geramènde de chépe = giramento di testa, capogiro. Sovente accompagnato da vomito e diarrea (jì da söpe e da sòtte).

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Cherjille 

Cherjille nome proprio = Ciro

Potrebbe derivare da Ciro, Cirillo (Kìril), nome di origine slava.

Ricordiamoci che i nostri valorosi marinai attraversavano il mare con i loro trabaccoli e andavano sulle coste dalmate a caricare legname e marne.

La confidenza instauratasi fra i nostri e le popolazioni dell’altra sponda dell’Adriatico, ha potuto affibiare a qualche nostro Gerjille la pronuncia croata Kiril, poi tramandata alle generazioni successive.

Ricordo una famiglia povera con questo soprannome.

Il più giovane e vigoroso dei Cherjille cercava di guadagnare qualche soldo prestandosi a portare sulle spalle le valigie dei pochi viaggiatori che scendevano dal treno alla stazione città, fino alla loro abitazione o fino all’albergo Italia.

Erano tempi tristi che fortunatamente ormai appartengono al passato.

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Chése 

Chése s.m. e s.f. = Cacio, casa

1) Chése s.m. (dal latino càseus): latte di pecora, di capra, di mucca o di bufala cagliato, salato, cotto e preparato nelle forme, da cui dicesi anche formaggio. Curiosità i tedeschi dicono Käse (pron. chése, come la nostra).

2) Chése s.f. = edificio di muratura che serve da abitazione.

A chése = a casa mia. Infatti l’agg. mia è sempre sottinteso. Se voglio dire a “casa tua” dico: a càste.

Jüje a chése e tó a càste = Io a casa mia e tu a casa tua.

Al plurale gli articoli ‘u ‘a diventano ‘i, mentre il sostantivo resta invariato.

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Chése-recòtte

Chése-recòtte s.m. = Cacioricotta

Il Cacioricotta è un formaggio tipico del Sud Italia. Prodotto ibrido della lavorazione del latte.

È usato come pietanza e anche grattugiato sui maccheroni al sugo.

Io preferisco la ricotta dura grattugiata col sugo di pomodori freschi al basilico.

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Chésecavalle

Chésecavalle s.m. = Caciocavallo

ll caciocavallo è un formaggio stagionato a pasta filata tipico dell’Italia meridionale di forma tondeggiante, a “sacchetto”, prodotto con latte particolarmente grasso di mucche podoliche, con l’aggiunta di solo caglio, fermenti lattici e sale.

Mio padre lo chiamava chésecavadde, come cepodde, martjidde, curtjidde, passarjidde jaddüne, e tutte le parole che in italiano contengono la doppia elle, specie come desinenza. La lingua si evolve perché certe pronunce erano ritenute rozze.

Torniamo a noi: questo formaggio viene detto così perché, per la stagionatura, legato in coppia, viene posto “a cavallo” di una pertica orizzontale. Se la stagionatura supera i dieci mesi il formaggio assume una sapore leggermente piccante, apprezzatissimo dai buongustai.

Curiosamente esiste un formaggio largamente usato in Turchia e nei Paesi balcanici (Bulgaria, Macedonia, Serbia, Romania), chiamato quasi come il nostro chésecavalle, il Kaşkaval кашкавал ma prodotto con latte di pecora e consumato dopo una brevissima stagionatura.

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Chessò

Chessò cong. = Che, che cosa, che sono (io o essi)

Chessò ca vù? = che cosa è che vuoi?

Chessò ‘sti cöse? = che cosa sono queste cose?

Te fazze vedì che ssì tó e chessò jüje = Ti faccio vedere chi sei tu e che cosa sono io!

In italiano si dice con arroganza: “Lei non sa chi sono io!”

La risposta la diede mirabilmente il grande Totò: Lei è avvocato? Ma mi faccia il piacere!

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