Categoria: C

Cavedére

Cavedére s.f. = Pentola.

Grossa pentola per cuocere la pasta ( ‘i maccarüne).

Il termine deriva dal latino calidarius = caldaia, pentola.

Una volta le facevano di rame. Per evitare avvelenamenti da ossido la parte interna veniva sempre coperta da un bagno di stagno fuso.
Passava un ambulante per le vie di Manfredonia, con la sua brava forgia portatile, e stagnava, le pentole di rame. A volte anche gli zingari girovaghi facevano questa operazione. Spesso passavano nello stagno fuso anche le posate di ferro perché non era ancora conosciuto l’acciaio inox.

Quando è proprio grande di chiama cavedaröne = marmitta, pentolone.

Se la massaia abbonda un po’ nel fare le porzioni della minestra si dice:
avàste! ne’mmettènne cchjó! Ha’ fatte ‘nu cavedaröne de pàste! Chi ca ce lu’ ha mangé? = Basta! Non metterne più! Hai fatto un calderone di pasta! Chi se la deve mangiare?

Per preparare il ragù si usa “ ‘a tièlle” o “a tjillózze

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Cavedjé

Cavedjé v.t. = Arroventare.

Riscaldare un pezzo di ferro nella forgia [‘a fucenètte] per permettere al fabbro, una volta afferratolo con la tenaglia a marre lunghe, di lavorarlo sull’incudine con il martello, per dargli la forma voluta.

Sin. Mètte a càvede [o a cavedjé]= Mettere (il ferro) a caldo, ad arroventare.

Cavedjé biànghe = Arroventare bianco, cioè al massimo possibile. Infatti appena tolto dai carboni il ferro assume un colore vivissimo tendente al bianco. Man mano che si raffredda il colore di affievolisce, assume una colorazione arancione, poi rossastra, poi color mattone. Quando la brillantezza scompare il ferro non è più malleabile perché indurito .

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Càvete

Càvete agg. = Caldo

Accettabile anche càvede.
Riferito a temperatura superiore alla norma o a quella che ci si aspetta.

(lat càldus, sincop. di càlidus).

Ricordo il grido dei venditori ambulanti di polenta fritta: “Scagghjùzze càvete uhé, scagghjiùzze càvete e grùsse!”. Passavano la mattina all’alba davanti alle ‘socie’ in tempo di carnevale festeggiato in casa, per rifocillare i ‘soci’, stremati per aver ballato per tutta la notte.

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Cavezètte

Cavezètte s.f. = Calza

1) Indumento aderente che copre il piede e parte della gamba.

2) Stoppino dei lumi a petrolio. C’era ‘a cavezètta chjàtte = La calza piatta, e ‘a cavezètta tonne = la calza tubolare, cilindrica, dalla fiamma molto più luminosa, ma dai consumi di petrolio illuminante (ora si chiama kerosene) più veloci.

Cavezètte l’aneme ‘i mùrte = Calza dell’Anima dei defunti. Usanza locale. Invece che alla Befana, la calza piena di doni e dolcetti a Manfredonia ricorre il 2 novembre. Un po’ l’antesignana di Halloween e della formula “dolcetto o scherzetto?”

Cavezètte de bomméce = Calza fatta con i ferri da maglieria con filo di cotone ritorto. Le nostre nonne dedicavalo la vita intera a sferruzzare per confezionare calze per tutta la famiglia.

Cavezètte veléte = Calze velate, a velo, sottilissime.(chiamate anche cavezètte setéte=calze setate).
Indumento esclusivamente femminile. Prima dell’avvento delle fibre sintetiche poliammide (spec. il nylon), le calze velate erano pregiatissime perché erano solo di seta, con la cucitura sulla parte posteriore che, una volta indossate, rendeva sexy la parte visibile delle gambe delle donne, almeno agli occhi bramosi dei maschietti.

Veramente io, all’epoca in cui si usavano le calze di vera seta, ero piccino e non avevo ancora gli ormoni maturi e sviluppati. Perciò la cucitura sexy mi lasciava completamente indifferente…

Cavezètte a còllant = Invenzione moderna, il termine collànt è importato dalla Francia tale e quale tranne l’accento. Indumento femminile di tessuto sintetico, sottile e trasparente, formato da due calze tenute insieme da una mutandina dello stesso tessuto.

Teràrece a cavezètte (←clicca) = Atteggiamento di sussiego, di altezzosità.

Tó va fé ‘a cavezètte! = Va a fare la calza tu!

Ordine inderogabile dato dal marito alla moglie quando questa usciva dal suo consueto atteggiamento di sudditanza e diceva la sua, anche solo nell’ambito delle mura domestiche. Fuori delle mura domestiche era inconcepibile che la donna avesse e manifestasse le sue idee.

Roba da medioevo. Il mondo era solo maschilista. Almeno all’apparenza…

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Cavezettére

Cavezettére s.inv. = Calzettaio/a

Chi produce o vende calze, chi lavora in una fabbrica di calze, chi ripara, rammenda calze.

Il soprannome deriva dal mestiere di una signora che confezionava in casa le calze (‘i cavezètte) e i guanti di filo con la macchina da maglieria.

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Cavezöne

Cavezöne s.m. = Calzoni, pantaloni

I puristi dicono che pantalone è un francesismo, e che in italianoi si deve dire calzoni, al plurale, come pinze, tenaglie, forbici, occhiali, perché formati da due elementi distinti quantunque uniti.

In dialetto diciamo ‘u cavezöne, come se fosse al singolare. Difatti due pantaloni si dice düje cavezüne.

Una volta si diceva che in casa è l’uomo che porta i calzoni, come per dire che ha autorità sulla moglie e sui figli.

Già, una volta.

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Cavezöne alla zuàrre

Cavezöne alla zuàrre s.m. = Pantaloni alla Zuava

Alla zuàrre = Alla zuava, alla maniera degli Zuavi, spec. con riferimento a capi di vestiario di foggia simile alla divisa degli Zuavi.

Specificamente le gambe dei pantaloni non arrivavano alla caviglia, ma erano fermate sotto il ginocchio, con un bottone o un laccetto, e ripiegate ognuna in modo da formare uno sbuffo.

Erano i primi calzoni lunghi che un ragazzo indossava dopo essere andato con i calzoncini corti fino ai quattordici anni.

Erano un po’ curiosi. Li portavano anche gli adulti, in abbinamento a calzettoni a disegni a rombi e con colori scozzesi.

Fortunatamente sono andati fuori moda negli anni ’50.

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Cavezunètte

Cavezunètte s.m. = Mutandina

Precisamente la mutanda di cotone tipicamente maschile, con gambetta e apertura anteriore chiudibile a bottoncino. Ora si chiamano boxer sulla guisa dei grossi mutandoni usati dai pugili (boxeur).

È un termine non più usato. Ora semplicemente si dice ‘u mutande, quello da uomo e ‘u brachessüne quello da donna.

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Cavezungjille

Cavezungjìlle s.m. = Calzoncini (alim.)

Dolce natalizio.

Calzoni di pasta sfoglia dolce con ripieno di miele, o ricotta, cioccolato, noci e canditi.

Una volta quando il cacao era un lusso, si imbottivano di ceci lessati, mosto cotto,e cannella.

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Cazze

Cazze s.m. = Pene

Apparato genitale esterno maschile. Il pene è l’organo riproduttivo maschile, costituisce l’ultimo tratto delle vie urinarie, e viene chiamato anche membro virile.

Nella parlata odierna “cazzo” ha soppiantato l’ormai obsoleto (clicca→) pengöne. Assieme al siciliano “minchia”, è diffuso compreso in tutta Italia.

Il termine viene usato spesso nel linguaggio normale quale rafforzativo di un concetto, o come senso di impazienza, senza pensare a tanti sofismi sul suo significato anatomico:

Che cazze sté decènne? = Cosa diavolo stai dicendo?

Mantjine ‘sta cazze de schéle! = Reggi questa benedetta scala.

‘Stu cazze de Pavelócce ce mètte sèmpe ammjizze = Questo noioso Paolino si intromette sempre nei nostri discorsi.

E che cazze! (Forma breve EKK) = E che diamine! Ma insomma! Ma è sempre le stessa storia! Possibile? Ma non vedi che é tutto sbagliato? Potevi pensarci prima! ecc.

‘Stu cazze! = È la risposta generica nonsense a qualsiasi domanda inopportuna o molesta. I Romani dicono: “Sì, lallero”

Che cazze vé truanne? = Chi stai cercando? (Si vede che è nervoso?)

Addu cazze stéje ‘stu cazze de ‘mbrèlle? = Dov’è finito l’ombrello? (Si nota che ha fretta?)

C’jì presentéte cazze cazze = Si è presentato senza essere stato invitato (Si vede che è infastidito?)

‘Stru càzze ‘mpernacchiéte = Questo minchione addobbato con pennacchi (Si vede che è ridicolo e sciocco?)

Si’ proprje ‘nu chéca cazze = Sei proprio un rompiballe

Ha purtéte ‘sti cazze de dìsche? = Hai portati questi accidenti di dischi?

Töne ‘a chépe de càzze = Costui ha la testa senza discernimento, senza cervello, come un glande.

Grazzje au cazze! = Ti ringrazio per quello che mi stai dicendo, ma io lo sapevo già da tanto tempo. O anche: è ovvio che le cose siano così, non c’è bisogno di intervenir: hai fatto la scoperta dell’acqua calda! (Quelli più fighetti dicono: Grazzje a Orazzje = Ringraziamenti al sig. Orazio)

Te ne vjine cazze-cazze = Te ne vieni, con improntitudine, a fare una richiesta assurda.

Gli esempi possono continuare all’infinito: la fantasia non ha limiti.

Curiosità: il sostantivo in lingua italiana pene, dal latino pènem, acc. di pènis, probabilmente è stato costruito sul verbo latino/italiano pèndere. Quindi “pene” = quello che pende, che penzola.

Con il beneplacito dei maschietti che si vantano tanto delle loro capacità di sostenere prolungate erezioni….

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