Categoria: C

Catenazze

Catenazze s.m., sop. = Catenaccio, Lucchetto

Per serrare in sicurezza una porta, il termine italiano catenaccio indica una barra passante per occhielli di ferro e fissata con lucchetto. Questo dispositivo è detto anche catorcio.

Il lucchetto vero e proprio è una serratura metallica mobile costituita da un corpo centrale a forma di piccola scatola a cui è articolata una barretta d’acciaio, diritta o piegata a U, munita di dispositivo di blocco, azionabile con una chiave.

Il soprannome Cat’nazz può derivare da un cognome (Catenazzo, Catenacci), esistente in Basilicata, in Abruzzo, nel Lazio, in Umbria e anche in Lombardia.

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Catenìgghje 

Catenìgghje o Catenìglje s.f. = Cordoncino

rocchetto8È un lavoretto con il filo di lana multicolore, opportunamente intrecciato, che facevano anche i maschietti per ricavarne lunghi cordoncini.
Per ottenere il cordoncino si piantavano tre chiodini equidistanti intorno al foro centrale di un rocchetto vuoto, quello di legno tornito che acquistavano i sarti e che portava il filo della macchina per cucire. Ottenuto il “telaio” Si passava attraverso il foro il capo del filo di lana. lo si avvolgeva più volte intorno ai tre chiodini e poi con l’aiuto di uno spillone si accavallavano le maglie (quelle di sotto passava di sopra). Difficile da dire ma facile da fare.

Aveva un unico utilizzo. Il lungo cordoncino veniva piegato in due. Il vertice veniva poggato sulla parte posteriore del collo di un bambino (destinato a fare il cavallo) e i due segmenti passati sotto le sue ascelle. In questo modo, con molta fantasia i due capi, che rappresentavano le redini, venivano prese dal secondo bambino (destinato a fare il cavaliere).

Dopo la “bardatura” i due bimbi, cavallo e cavaliere, trotterellavano con lo stesso passo, all’interno della villa, o intorno al proprio isolato.

Il gioco era solo questo. Vi assicuro che ci divertivamo moltissimo.

Ma il lunedì di Pasqua la ‘galoppata’, si estendeva, andata e ritorno, fino a Siponto per la tradizionale gita di pasquetta!

Cateniglje è un suono spagnolesco (catenilla) che significa proprio catenella.

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Catenjille

Catenjille s.m. = Anello a muro

Si tratta di un anello di ferro tondo (il ferro è grosso Ø mm 15) dal diametro di circa cm 12, passante in un occhiello anch’esso di ferro. Questo era munito di codolo a punta che si infiggeva nel muro.

Si vedevano sulle pareti delle case a piano terra, ad altezza uomo, e servivano per legarvi la cavezza delle bestie da soma o anche la corda per stendere la biancheria.

catenjille più piccoli, in italiano chiamati ” occhielli per tende”, hanno il diametro cm 3, e sono di ottone per evitarne l’ossidazione a causa dell’umidità esterna.

Servivano per sorreggere la “rete” sull’uscio di casa, e scorrevano su una bacchetta di ferro tondino sostenuta da due occhielli a vite.

Da non confondersi con catenìgghje=cordoncino. (clicca)

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Catòbbe

Catòbbe s.f. = Bombetta

Cappello rigido da uomo, di forma tondeggiante con piccola tesa leggermente rialzata.

La bombetta è riconoscibilissima, perché usata dal grande Totò, da Charlie Chaplin, da Oliver Hardy e Stan Laurel nei loro innumerevoli film.

Era usata dai professionisti. Ricordo la figura del medico Don Camillo Grasso associata all’immancabile bombetta.

Il popolino adoperava la classica coppola con visiera o il pratico basco.

Qlcu confonde la catòbbe con il “celìndre“, chiamandoli allo stesso modo. Ora che sono rarissimi, nessuno ci fa caso.

Il cappello a cilindro era conosciuto dal popolino negli anni ’30 solo perché indossato nelle grandi occasioni dai conducenti di carrozze a servizio dei signori abbienti, o dai cocchieri dei carri funebri.

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Catrechéle

Catrechéle agg. = Primario, principale

Che ha la maggiore importanza, il maggior valore.

Te ne vjine per tanta chjacchjere e te scurde ‘u catrechéle = Fai tante chiacchiere e ti dimentichi l’argomento principale.

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Catréme

Catréme s.f. = Catrame

In italiano il termine è maschile e in dialetto è femminile. La differenza non è solo questa.

Per i non addetti ai lavori si fa grande confusione fra i termini catrame, bitume, asfalto.

In pratica sono materiali bituminosi di varia provenienza, generalmente impiegati nell’edilizia stradale.

Il catrame si ricava dalla distillazione del carbon fossile, il litantrace; il bitume dalla distillazione petrolio; l’asfalto si trova in natura come miscela di pietrisco e bitume.

‘A catrème copriva il MacAdam (manto stradale di pietrisco rullato) di Via Tribuna, ed era l’unica strada “asfaltata” che attraversava Manfredonia, detta vianöve = via nuova.

Il sole torrido di agosto rendeva la superficie stradale molto molle, e noi monelli staccavamo dei pezzi di “catrame” per farne palline. La leggenda metropolitana imponeva di gettare queste palline nel fuoco della cucina (fino all’avvento del gas in bombole, nel 1950, le nostre mamme cucinavano a legna o con il carbone vegetale) per ritrovarle trasformate in biglie d’acciaio!

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Cavafanghe 

Cavafanghe s.m.= Draga, aspira fango

 

Attrezzatura della marineria per cavare dai fondali del bacino portuale gli accumuli di fango in modo da aumentarne il pescaggio, ossia la profondità. I fanghi portati in superficie, se non ricordo male, venivano deposti su uno zatterone e scaricati in alto mare.

L’etimo è chiaro: cavare, tirare fuori. estrarre + fango.

Siccome l’imbarcazione era sempre rumorosa, puzzolente e sporca, il termine è passato scherzosamente a designare qlcu non proprio di bell’aspetto, diciamo non un fighetto.

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Cavalle

Cavalle s.m. = Cavallo


1 Cavalle (anticamente cavadde) = Cavallo. Equino di grossa taglia (Equus ferus caballus) che conta innumerevoli specie, per forma e dimensione, Addomesticato da millenni, viene adattato ai vari usi (traino, sella, corsa).
Al femminile fa jummènde = giumenta. Il puledro è detto vannüne o vannenjille.

2 Cavalle = Lanzardo o Sgombro cavallo. Pesce marino della famiglia degli sgombri (Scomber Japonicus Colias). Diffuso nei nostri mari.
Differisce dagli sgombri comuni (Scomber scombrus) per il disegno della livrea che, invece della tigratura sfumata dal dorso verso la zona ventrale, presenta macchie grigiastre sul ventre che spesso di uniscono a formare delle vermicolature.

(Termini tecnici e foto reperiti in Wikipedia)



 
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Cavamonde 

Cavamonde s.m. = Cavapietre

Operaio addetto all’estrazione di pietre da una cava.

Costui svolgeva un lavoro tra i più faticosi esistenti. Con un paletto d’acciaio (‘a pala-möne, il palo da mina) dal diamentro di circa 5 cm, a forza di braccia praticava un pozzetto nella roccia profondo almeno 50 cm.
Dentro questo foro disponeva una carica di tritolo (‘a möne = la mina) che faceva brillare con una miccia a comustione lenta, per frantumare la roccia in grossi pezzi. Ognuno di questi, con un grosso martello che si impugnava con entrambe le mani, veniva ulteriormente ridotto di pezzatura, secondo l’utilizzo che se ne doveva fare. Un lavoro massacrante.

Se non vi annoio, voglio proporvi una poesia del mio caro amico Lino Nenna, dedicata a suo padre che di professione faceva proprio il cavapietre.

Méne pussènde e callöse
japèrte cöme ‘a pètele de röse,
p’a facce stanghe e scarnüte:
‘u mestjire l’ò vìste abbelüte
P’ ‘a fatüje fatte škìtte dai vrazze
e pöche chjöche tenöve mbacce.
Jìnde ‘u sguarde ‘na dulcèzze,
ma l’ùcchje luccecande de stanghezze.
‘A söra tarde turnöve, ce accarezzöve,
revedènne ‘i vüse nustre,
jìnd’u cöre süve l’anzje
de vedìrece grùsse.
Jìsse camböve škìtte pe nüje
ma ‘u tìmbe nen l’ò accarezzéte méje.
Pe la mènde alla famigghje
e p’u cùrpe alla fatüje
ò cunzeméte acchessì ‘a vüta söve.
Tótte ce’ò déte pe tanda amöre
chisà se ‘u Segnöre ce l’ò pegghjéte a cöre.

Traduzione per i lettori non manfredoniani:

Mani possenti e callose/ aperte come petali di rosa/con la faccia stanca e scarnita/il mestiere lo ha reso avvilito/per il lavoro fatto solo di braccia/e poche rughe teneva sulla faccia./Dentro lo sguardo una dolcezza/ma gli occhi lucidi di stanchezza./A sera tardi tornava, ci accarezzava/rivedendo i nostri visi/ dentro il cuore suo l’ansia/di vederci cresciuti./Egli viveva solo per noi/ ma il tempo non lo ha accarezzato mai./Con la mente alla famiglia/ e con il corpo al lavoro/ha consumato così la vita sua.
Tutto ci ha dato con tanto amore/chissà se il Signore lo ha preso a cuore.

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Càvece

Càvece s.m. e s.f. = Calcio, Calce

1) Càvece s.m. = Calcio, pedata, colpo sferrato con un piede (al pallone o contro un avversario in lotta).

2) Càvece s.f. = Calce, prodotto per l’edilizia o anche la calcina, la malta per attaccare i tufi o pavimenti e rivestimenti.

La calce viene prodotta per cottura della pietra calcarea in apposite fornaci dette calechére (si ottiene la “calce viva in zolle”), la quale posta poi a contatto con l’acqua, sprigiona calore e comincia a ribollire.

Questo processo, che è molto pericoloso, si chiama “spegnimento” (o più correttamente “idratazione”) e viene realizzato in apposite vasche. La la calce così ottenuta mista all’acqua ha consistenza pastosa, e viene detta “grassello di calce” o più correttamente “calce idrata”.

La calce oggi è utilizzata è la calce idrata in polvere, un prodotto industriale venduto in sacchetti da 33 kg.. Esiste in commercio anche il grassello di calce in pasta, in sacchetti di plastica, prodotto ad Apricena.
La calce in grassello era usata per imbiancare le pareti (vedi:bianghjatöre)
Usata soprattutto per preparare intonaci e malte bastarde (mischiandola al cemento e alla sabbia o alla tufina) per murature e rinzaffi.

Ai tempi di Roma antica, si usava mischiarla alla pozzolana per legare i conci di tufo o di pietra. Vedi il Colosseo o i muri a “reticolato romano”, tuttora in piedi, dopo venti secoli.

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