Cariöle s.f. = Carriola
Generalmente con questo sostantivo si intende quel carrettino a mano con una ruota e due stanghe, usato dai muratori e dai contadini per spostare piccoli carichi entro piccoli spazi. Una volta erano di legno, ruota compresa. Ora sono di acciaio con il ruotino pneumatico, come appare nella foto di Wikipedia.
Fino agli anni ’50, dicendo cariöle invece si intendeva tutta un’altra cosa: il frutto del nostro fervido ingegno!
Noi ragazzini compravamo dal rigattiere, o da qualche officina, tre cuscinetti a sfera “sballati”, ossia logori e non più adatti ai congegni meccanici. Possibilmente uno più grande per lo “sterzo”, e due più piccoli e di egual diametro, per l’asse posteriore. Poi delle assi di legno e chiodi.
Si smanicava, magari facendoci aiutare dagli adulti per ottenere il prodotto finito che potete ammirare nella foto di Matteo Borgia. Notate la parte anteriore snodata che opportunamente manovrata dava la direzione voluta al “veicolo”.
La usavamo per andare a caricare un paio di secchi d’acqua al fontanino pubblico, o a portare 30 kg di grano al mulino per la macinazione. In questo caso era un vero e proprio mezzo di lavoro.
Più spesso era un gioco. Ai due bracci del “manubrio” si legava una funicella per trainarla e scarrozzare i fratelli più piccoli. Ossia noi settenni portavamo a spasso i bambinelli di quattro-cinque anni.
Quando fummo più grandicelli, verso i 10 o 11 anni, facevamo un gioco decisamente pericoloso giù per la discesa del Seminario. Ci ponevamo tre o quattro “piloti”, ognuno con la sua carriola, ritti sul pianale, reggendoci alla funicella che fungeva questa volta come un paio di redini.
Al “via!” ci lanciavamo nel nostro “Gran Premio” spingendo all’indietro con un piede il manto stradale – tipo monopattino – per dare più accelerazione alle ruote.
Da allora mi sono fermamente convinto dell’esistenza dell’Angelo Custode, posto dal Signore a fianco di ciascuno di noi per proteggerci dai pericoli.
Difatti, nonostante gli inevitabili ruzzoloni, siamo usciti illesi da questa follia, anche perché, all’epoca dei fatti raccontati, il traffico automobilistico era pressoché inesistente.