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Caremöle

Caremöle n.p. = Carmela

Deriva dall’ebraico Charmel e significa “giardino divino”, oppure “orto di Dio”. E’ un nome molto diffuso per via della sua matrice religiosa.

L’onomastico si festeggia il 16 luglio in onore della Beata Vergine del Carmelo, per via dell’apparizione della Madonna sul Monte Carmelo in Palestina nel 1251.

In questa data la Chiesa commemora anche le suore Carmelitane di Compiègne, martiri nel 1794, durante la Rivoluzione francese.

La variante Carmelo al maschile è diffusa solo in Sicilia. Da noi si fa ricorso a Carmine, con tutte le sue varianti:
Càrmene, Carmenjille, Carmenèlle, Carmenócce, Menjille, e in tempi più recenti Carmen e Carmenio, francamente un po’ forzati.

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Carevógne

Carevógne s.m. = Foruncolo.

Foruncolo, pustola, brufolo.

Il  foruncolo è un’infezione superficiale della pelle, molto dolorosa,  in genere causata dal batterio Staphylococcus aureus. Si presenta con un vistoso arrossamento che successivamente diventa gonfiore e poi in una sacca di pus.

Il termine carevógne deriva da “carbonchio”, infezione che colpisce i bovini (e talvolta anche l’uomo), anch’essa caratterizzata da pustole emorragiche molto dolorose.

Talora le pustole comparivano sotto le ascelle. Queste non erano singole, ma multiple, a grappolo, veramente dolorosissime e venivano chiamate al maschile i “rìzzetjille”.

Compare in diverse parti del corpo: dietro il collo, sugli arti, ai lati della bocca, ecc. Forse dovuto alla carenza di igiene o a disordini alimentari.

Per guarire dai foruncoli bisogna attendere pazientemente la loro “maturazione”, ossia che la parte dolente e tumefatta si trasformi in pus.

Bisognerebbe evitare di creare artificialmente una via d’uscita. Una volta era usuale bucare la pelle con un ago disinfettato (spungeché) e schiacciare  la bolla per svuotarla dal suo contenuto purulento (’a matèrje).

Mia nonna, per accelerare la maturazione del foruncolo, lo ungeva con il grasso delle macchine e lo copriva con la carta oleata.
Altri, meno rustici di mia nonna,  usavano un unguento, suggerito dal farmacista, a base di ittiolo.

Ai nostri giorni – ammesso che si manifesti  ancora sulla cute dei divoratori di Nutella – i medici suggeriscono di usare l’olio di Melaleuca (*)  che è un potente anti-batterico e anti-infiammatorio. Presumo che associandolo con un paio di pasticche di antibiotico si possa accelerare l’eliminazione del fastidio!

(*)notizie attinte dal web,

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Carevöne

Carevöne s.m. = Carbone

Generalmente si intende il carbone vegetale.

Serviva per riscaldare gli ambienti in appositi bracieri (‘u vrascjire) e anche per arrostire le vivande sulla brace.

I pezzi più grossi erano richiesti per la maggiore loro durata.

Erano noti come carevüne a ciocche perché ricavati da ciocchi di legna e non dai rami delle piante.

Il carbone minerale era usato dai fabbri per i lavori di di forgia e dalla Ferrovia per le locomotive a vapore.

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Cariöle 

Cariöle s.f. = Carriola

Generalmente con questo sostantivo si intende quel carrettino a mano con una ruota e due stanghe, usato dai muratori e dai contadini per spostare piccoli carichi entro piccoli spazi. Una volta erano di legno, ruota compresa. Ora sono di acciaio con il ruotino pneumatico, come appare nella foto di Wikipedia.

Fino agli anni ’50, dicendo cariöle invece si intendeva tutta un’altra cosa: il frutto del nostro fervido ingegno!

Noi ragazzini compravamo dal rigattiere, o da qualche officina, tre cuscinetti a sfera “sballati”, ossia logori e non più adatti ai congegni meccanici.  Possibilmente uno più grande per lo “sterzo”, e due più piccoli e di egual diametro, per l’asse posteriore. Poi delle assi di legno e chiodi.

Si smanicava, magari facendoci aiutare dagli adulti per ottenere il prodotto finito che potete ammirare nella foto di Matteo Borgia. Notate la parte anteriore snodata che opportunamente manovrata dava la direzione voluta al “veicolo”.

La usavamo per andare a caricare un paio di secchi d’acqua al fontanino pubblico, o a portare 30 kg di grano al mulino per la macinazione. In questo caso era un vero e proprio mezzo di lavoro.

Più spesso era un gioco. Ai due bracci del “manubrio” si legava una funicella per trainarla e scarrozzare i fratelli più piccoli. Ossia noi settenni portavamo a spasso i bambinelli di quattro-cinque anni.

Quando fummo più grandicelli, verso i 10 o 11 anni, facevamo un gioco decisamente pericoloso giù per la discesa del Seminario. Ci ponevamo tre o quattro “piloti”, ognuno con la sua carriola, ritti sul pianale, reggendoci alla funicella che fungeva questa volta come un paio di redini.

Al “via!” ci lanciavamo nel nostro “Gran Premio” spingendo all’indietro con un piede il manto stradale  – tipo monopattino – per dare più accelerazione alle ruote.

Da allora mi sono fermamente convinto dell’esistenza dell’Angelo Custode, posto dal Signore a fianco di ciascuno di noi per proteggerci dai pericoli.

Difatti, nonostante gli inevitabili ruzzoloni, siamo usciti illesi da questa follia, anche perché, all’epoca dei fatti raccontati, il traffico automobilistico era pressoché inesistente.

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Carnevéle

Carnevéle s.m. = Carnevale

CarnevalePeriodo compreso tra l’Epifania e la Quaresima, caratterizzato da scherzi e divertimenti, balli, feste in maschera.

Il nome deriva dall’espressione latina carnem levare, togliere le carni dalla mensa, perché stava per iniziare il periodo penitenziale della Quaresima. Un ramadan, un digiuno molto più moderato di quello arabo.

E prima di ciò si approfittava per far piazza pulita delle scorte: obbligatorio mangiare, bere e divertirsi!.

Il soprannome Carnevéle, è attribuito alla Famiglia Principe. Tra i fratelli Prencipe vi era un bravo falegname, un dotto Canonico, e un valente Violinista, attivo nell’orchestra Alessandro Scarlatti di Napoli.

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Carnevéle chjüne de pàgghje

Carnevéle chjüne de pàgghje loc.id. = Carnevale pieno di paglia.

Epiteto offensivo che descrive qlcn che non è affidabile, che può definirsi con espressione italiana come pallone gonfiato o fantoccio inanimato, senza spina dorsale, inetto e senza personalità.   Con espressione napoletana, forse più efficace e calzante ‘omme ‘e mèrda

Insomma un soggetto da evitare.

La locuzione deriva dalla consuetudine manfredoniana di preparare per il periodo di carnevale un fantoccio riempiendo di paglia un paio di calzoni e altri indumenti in modo da dargli una sembianza di persona.

Il principe dei pupazzi impagliati è il famoso Ze Pèppe. Fintantoché è un pupazzo pieno di paglia possiamo anche divertirci a presentarlo come vogliamo. Se la definizione si riferisce ad una persona, la squalifichiamo evidenziando il suo comportamento in seno alla società.

Lassàtelu pèrde: códde jì ‘nu Carnevéle chjüne de pàgghje. = Lasciatelo perdere, costui è un pagliaccio (non ha serietà).

Ringrazio Manfredonia Ricordi (Matteo Borgia) per la splendida foto di Carnevéle pieno di paglia.

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Caröte

Caröte s.f. = Barbabietola

Pianta erbacea che presenta due varietà, una a radice carnosa e tondeggiante di colore rosso scuro e di sapore dolciastro, commestibile, (Bieta vulgaris esculenta) e una a radice bianca, dalla quale si estrae lo zucchero (Beta vulgaris crassa)

Non tragga in inganno la somiglianza di caröte con il sostantivo italiano carota.

Quest’ultima, gialla, in dialetto è chiamata pastunéche.

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Carréte 

Carréte s.f. = Carrettata

Con questo termine si designava un quantitativo di circa 300 litri di acqua potabile.

Alcuni carrettieri, fino a metà degli anni ’50, acquistavano dall’Acquedotto Pugliese acqua potabile che poi rivendevano a terzi.

Il prezioso liquido veniva trasportato con dei carretti a trazione animale, dotati di rudimentali serbatoi metallici a forma di cilindro, antesignani dei carri-botte motorizzati.

L’acqua veniva acquistata prima di tutto dai privati ad uso domestico. Molte abitazioni non disponevano di acqua corrente, e quasi tutte disponevano di una sottostante  cisterna per l’accumulo di acqua piovana.

Le famiglie acquistavano una o due carrate di acqua per aumentarne la disponibilità, specie in estate quando le precipitazioni erano assenti.

Anche i cantieri edili, scaricavano grandi quantitativi d’acqua depositandola in appositi fusti per consentire la preparazione della malta.

Talvolta anche agli ortolani locali (Orto Sdanga ad es.) ricorrevano ai carrettieri per rifornirsi di acqua per uso irriguo, quando scarseggiava la propria disponibilità idrica.

Ringrazio Manfredonia Ricordi per la foto d’epoca che riprende i carri mentre attingono l’acqua in Largo dei Baroni Cessa.

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Carrié

Carrié v.t. = Caricare, accumulare, trasportare

Mi fa venire in mente l’insegna “Cash & carry” = Paga e carica, porta via, dei grandi magazzini ad uso dei clienti grossisti, quindi forniti di partita IVA.

Stranamente quel “carry” anche se scritto in inglese ha avuto per me manfredoniano un significato chiarissimo.

Il termine più antico era carrescé = “carreggiare”, sistemare o trasportare sul carro a trazione animale. Pensare all’immane lavoro negli anni ’30, quando hanno carriéte blocchi di pietra dalla cava dell’attuale Campo Sportivo Miramare al molo di levante per i lavori di allungamento della banchina, tutto con carrettoni a trazione animale, dalla portata massimo di 20 qli per volta.

Prima dello sfruttamento di questa cava, dal lido sabbioso la costa saliva rocciosa e uniforme fino all’altezza di via S.Giovanni Bosco (che allora non esisteva) con la stessa attuale pendenza di via dell’Arcangelo [ossia dal lido Titta a Tommasino], o di Via Alessandro Volta [dalla baracchetta di Damiano al lido Sirenetta].

Normalmente i carri avevano un uso agricolo per trasportare frumento, legna, concime organico, meloni, ecc.

Carrié i tüfe = Issare i conci di tufo.
Uno dei lavori più massacranti in edilizia, cui erano adibiti i ragazzotti, senza alcuna norma di sicurezza, che si inerpicavano sulle scale a pioli per portare ai “mastri” muratori ai piani superiori i blocchi di tufo appoggiati su una spalla. Una mano reggeva il tufo e l’altra si aggrappava ai pioli nella salita.

Carrié ‘a frasciüne = portare su la tufina, sempre a spalla sulla scala a pioli, in “caldarelle” di ferro.
E se non erano abbastanza veloci, i garzoni rischiavano di prendere una pedata dal capo-mastro così si sarebbero sveltiti!
Tutto vero, chiedete in giro agli anziani.

Abbiamo poi visto negli anni ’50 i “montacarichi” artigianali, funzionanti a mano come una carrucola, fatti con una ruota di bicicletta senza gomma sostenuta da una trave di legno. La fune passava sulla scanalatura del cerchione e issava la malta, i mattoni, ecc.Il lavoro era ugualmente molto faticoso, ma quanto meno evitava cadute letali ai garzoni.

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Carrjire

Carrjire o meglio Maste-carrjire s.m. = Carradore

Abilissimo artigiano che costruiva carri, carretti a trazione animale, d’intesa con il fabbro che gli preparava l’asse, i cerchioni , le staffe, i perni ecc.

Abilissimo artigiano che costruiva quasi tutto a mano, carri, carretti a trazione animale, d’intesa con il fabbro che gli preparava l’asse, i cerchioni , le staffe, i perni ecc.

Come a tutti gli artigiani, al nome proprio o al nome del mestiere veniva anteposto l’appellativo Maste = maestro.
Maste-Giuànne = Maestro Giovanni: ‘u maste-carrjire= Il maestro carradore.

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