Categoria: A

Accatté a credènze

Accatté a credènze loc.id. = Comprare a credito, indebitarsi

Comprare merci con pagamento differito, non contestuale all’acquisto.
Il che avviene solo se il venditore “crede” nella solidità economica e nella solvibilità dell’acquirente.
Il che è normale nelle transazioni commerciali tra fornitori e concessionari grossisti. Difatti il pagamento in questi casi  avviene generalmente dopa 60 giorni dall’emissione della fattura.

Una volta si comprava “a credènze” il corredo per la figlia (a tànd’u möse = a tanto al mese, a rate mensili), e soprattutto la spesa alimentare quotidiana.

Il bottegaio segnava su un quadernetto (‘a lebbrètte) suo e su quello della massaia, uguale, la spesa fatta giornalmente. Mezzo chilo di pane, una “mezza misura” di olio, 10 lire di concentrato di pomodoro, due “quinti” di canaruzzètte (tubettini), un “quinto” di zucchero, “mezzo quinto” di formaggio.. Tutto era venduto sfuso, alla minuta.

Ogni mese la brava massaia saldava i conti. Talvolta chiedeva di differire la scadenza: “..’u sé, marìteme sté maléte…” = lo sai, mio marito è ammalato…
Ovviamente parlo di quando non esisteva la Cassa integrazione né altre forme previdenziali.
Se il capo famiglia non lavorava, in casa c’era da fare davvero la fame. In compenso c’era un fortissimo senso di solidarietà da parte del vicinato.

Adesso con l’avvento della grande distribuzione, nei Supermercati si compra solo cash, perché le condizioni economiche generali sono decisamente migliorate.

Attenzione:
‘u lebrètte =  al maschile significa un piccolo libro, un’agenda, un manuale, il deposito postale a risparmio.

‘a lebbrètte = al femminile una specie di carta di credito. Era un normale quaderno a quadretti con copertina nera,  per uso specifico da parte dei venditori di generi alimentari, su cui si segnavano le vendite a credito da saldare periodicamente.

a credènze significa “a credito”. Invece il sostantivo italiano “credenza”, praticamente uguale, designa un mobile da cucina con sportelli e alzata, oppure un convincimento di fatti non provati, una leggenda.

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Àcce

Àcce s.m. = Sedano

Il sedano (Apium graveolens), originario della zona mediterranea e conosciuto come piante medicinale fin dai tempi di Omero, è una specie erbacea biennale appartenente alla famiglia delle Apiaceae.

Le varietà più utilizzate in cucina sono il “sedano da costa” (Apium graveolens dulce) di cui si utilizzano i piccioli fogliari lunghi e carnosi, e il “sedano rapa” (Apium graveolens rapaceum) di cui si consuma la radice.

Presumo che il nome àcce derivi dal latino Apium.

Il mazzetto costituito dalle foglie piccole di sedano, usato in cucina per profumare pietanze, e non in insalata, è chiamato l’accetjille = Piccolo sedano.

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Accedemjinde

Accedemjinde s.m. = Affaticamento

Parola un po’ desueta, adoperata solo dalle persone più anziane.

Significa strapazzo, affaticamento eccessivo, fatica enorme.

Va bene anche scritta acciüdemjinde, come acciüde, acciüse = uccidere, ucciso da cui ovviamente deriva, come se fosse ‘uccisione’.  Questa fatica è immane, mi farà soccombere, è al di sopra delle mie forze, mi ucciderà.

Fràteme sté accedendéte, e pe javezàrle ogne vòlte jì ‘naccedemjinde = Mio fratello è infortunato, e (l’atto di) sollevarlo, ogni volta è (per me) uno sforzo immane.

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Accedendéte 

Accedendéte agg. = Infortunato

Il termine è un andato nel dimenticatoio perché si è imposto da anni il barbarismo andecappéte = handicappato.

Persona che si trova in una condizione di handicap, di svantaggio, perché colpita da menomazione fisica temporanea o permanente, o psichica.

Handicap, se non sbaglio, nel mondo dell’ippica significa ostacolo. Beh, immaginate qlcu nella sedia a rotelle quanti ne trova sulla sua via.

Può riferirsi a persona piena di malanni (poliomielite, artrite, artrosi, sciatica, fratture, osteoporosi, ecc.). Insomma è pieno di accidenti, come una partitura musicale piena di diesis o bemolli, che non agevolano la lettura della musica ai poveri dilettanti come me.

Forse porebbe somigliare a “incidentato”, coivolto in un incidente stradale, Dio ne scampi. Quindi malridotto, inchiodato a letto o in una carrozzella.

Sinonimo: acciuppenéte

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Accenechéte 

Accenechéte agg. = Concentrato, assorto

Quando qlcu è così assorto nei suoi pensieri, o intento ad eseguire un difficile lavoro manuale, dicesi che sté accenechéte = è assorbito, preso, immerso, raccolto. Si può usare anche l’agg. ‘ngenechéte.

Credo che questa condizioni, detta ‘ngecalènze. indichi uno stato di cecità mentale che non consente di vedere altro che l’opera cui si è intenti.

Grazie al lettore che si firma Muzio Scevola per il gradito suggerimento.

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Accesàgghje

Accesàgghje s.f. = Strage, uccisione, sterminio, sfacelo

Questo sostantivo è usato per lo più in forma metaforica. Insomma più che massacro, sterminio, eccidio, è usato in modo estensivo per indicare un disastro, una rovina, un grave danno.

U vjinde a Sepònde ò fatte n’accesàgghje d’àreve = Il vento, ha Siponto ha causato un’ecatombe di alberi (nella pineta).

Deriva da acciüde e acciüse = uccidere, ucciso.

Voglio scherzare riesumando – vista la somiglianza – un termine dell’italiano parlato nel 1400: uccisaglia!

L’Accademia della Crusca dice che a quell’epoca si usavano anche:

ucciderìa s.f.
uccidigione s.f.
uccidimento s.m.
uccisaglia s.f.
aucisaglia s.f.
occisaglia s.f.
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Acchéragràzzje

Acchéragràzzje  loc.avv.= Difficilmente, stentatamente

Si pronunciava tutta d’un fiato anche nella versione acchéregrazzje (a-chére-e-grazzje)

Credevo che fosse una locuzione locale, ma leggendo Umberto Eco, quindi un grande intellettuale contemporaneo, ho notato che nel suo romanzo “La misteriosa fiamma della Regina Loana”- Editrice Bompiani 2006, ha usato proprio “a cara grazia” nel medesimo nostro acchéragràzzje .

Traduzione letterale della locuzione avverbiale: “a cara grazia”. Ossia sperando nella benevolenza o nella grazia dell’interlocutore.  Qualche anziano usa tuttora questa locuzione carica di significato.

Faccio un paio di esempi:

Sò venüte già all’anne passéte: acchéragràzzje se venghe n’ata volte auànne = Sono venuto già l’anno scorso: difficilmente vengo un’altra volta quest’anno.

M’avöva dé tre meljüne. Acchéragràzzje se me ne dé düje.= Avrebbe dovuto darmi tre milioni (ovviamente parlo di vecchie lire): è cara grazia (è preziosa benevolenza, è già molto) se me ne dà due.

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Acchessüne-accuddéne 

Acchessüne-accuddéne loc.id. =  Per filo e per segno, questo e quello, così e cosà, bla bla. Discorso abbozzato.

Si usa questa locuzione quando si vuol riferire ad un interlocutore ciò che un terzo personaggio assente aveva già affermato in precedenza, presumendo che colui che ascolta già conosca l’argomento esposto da quello. Ciò  evita di ripetere  testualmente o il succo del discorso sottaciuto.

Mamma mia, che spiegazione contorta! Avrò forse confuso i miei lettori?

Qualche esempio, spero, chiarirà tutto.

Jì venüte Giuànne, acchessüne-accuddéne, ce volöve cunvìnge = È arrivato Giovanni, e bla bla bla pretendeva di convincerci.

Agghje ‘ngundréte a Sepònde e, acchessüne-accuddéne, m’ò ditte tutte cose = Ho incontrato Sipontina  e, così-così-così, mi ha raccontato tutto.

Mattöje, ho dìtte ca nen putöve venì, ca nen tenöve a màchene, acchessüne-accuddéne, quanda scüse… = Matteo ha detto che non poteva venire, non aveva la macchina, così, colà,  quante scuse.…

Questo Matteo non aveva voglia di partecipare ed ha trovato mille scuse per non venire. Lo avevano capito tutti!

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Acchiaranzéte

Acchiaranzéte agg. = Ubriaco

Questo termine tipico dell’ambiente marinaresco, indica lo stato di grave alterazione delle facoltà mentali dovuto ad abuso di alcolici.

Insomma quando qlcu sté acchiaranzéte, è proprio ubriaco fradicio.

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Acchjangàrece

Acchjangàrece v.i. = Ammassarsi

Diventare duro e ammassato come una chjànghe = basola da pavimentazione stradale.

Si riferisce per esempio al materasso, al guanciale, o più specificamente alla pasta cotta e condita che non viene consumata subito e si ammassa nel piatto (C’jì acchjanghéte).

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