Calüche s.m. = Caligine, nebbia, bruma.
È un termine prettamente marinaresco forse in disuso, soppiantato nel linguaggio corrente dal più snello nègghje, bisillabo comprensibile anche dalle popolazioni terricole (professionisti, artigiani, pastori, contadini, carrettieri, ecc.).
Probabilmente deriva dal tardo latino caligare = oscurarsi, annebbiarsi.
Provo a dedurre un’altra etimologia: ritengo che possa derivare da “calare”, nel senso che cala la visibilità. In italiano si dice anche: cala la nebbia.
Ecco la definizione di Wikipedia:
“La nebbia è il fenomeno meteorologico per il quale una nube si forma a contatto con il suolo. È costituita da goccioline di acqua liquida o cristalli di ghiaccio sospesi in aria. A causa della diffusione della luce solare da parte dell’acqua in sospensione la nebbia si manifesta come un alone biancastro che limita la visibilità degli oggetti”.
Il mio amico Michele Granatiero, figlio di pescatore, ha commentato:
«Ricordo mio padre che usava questo termine per indicare una giornata estremamente calda e asciutta con presenza di pulviscolo nell’aria, per esempio durante o dopo forti libecciate.
Io propenderei quindi più per questa definizione di Wikipedia:
Caligine
La caligine è un fenomeno atmosferico caratterizzato da opacità dell’atmosfera dovuta a un pulviscolo principalmente secco o fumo, causato da inquinamento o incendio».