Benedüche loc.id. = Benedico!
Va bene anche scritto benedïche essendo le vocali ï e ü omofoni.
Nulla a che vedere con la benedizione del rito cristiano…
Si tratta di una formula consolatoria, di compiacimento o augurale rivolta verso qlcu per rassicurarlo che non si parla per invidia. Come se significasse: bene dico, non dico male.
Mattöje, da quanda tjimbe ca nen te vöte. Sté proprje belle, benedüche! =Matteo, da quanto tempo non ti vedo! Stai proprio in forma, davvero!
Ha’vìste ‘a crjatüre de Lucjètte? Quant’jì bèlle, benedüche! = Hai visto la figlioletta di Lucia? Quant’è bella, proprio bella!
Le credenze popolari spiegavano che in omissione di benedüche la frase assumeva un carattere di sordida invidia, e perciò il soggetto osservato veniva pegghjéte ad ùcchje = “preso ad occhio”, ed era esposto a malori, a rovesci di fortuna ecc.
Ora su queste cose tutti sorridiamo, ma vi assicuro che tuttora – non è vero ma…– qlcu dice ostentatamente la parola magica benedüche, proprio per farsi sentire dall’interlocutore…
Scherzosamente si declama benedüche! quando si vede una persona o un oggetto di dimensioni superiori alla norma: non si sa mai, dovessi causarne il deperimento!
Sempre scherzando, se si assiste ad una emissione di un sonoro rutto scappato ad un frugoletto, si commenta con un simpatico benedüche! perché da un minuscolo essere non si aspettava un grande numero di decibel. Non sia mai dovesse calare di tono!