Türa-jagnéle s.m. = Cavadenti.
Va bene anche scritto tïra-jagnéle, avendo la stessa pronuncia (omofono).
Fino alla metà del secolo scorso, esisteva un personaggio che esercitava abusivamente la professione medica, un praticone che “curava” i denti malati. Il più delle volte estirpava i denti cariati senza alcun aiuto di anestesia.
Costui, su richiesta, si recava al domicilio dei malcapitati pazienti, perché non poteva avere un ambulatorio dentistico vero e proprio come lo intendiamo noi. Diciamo che era un “ambulante”, come tutti i commerciante dell’epoca.
Certamente esistevano anche i medici dentisti, ma evidentemente per questioni economiche questa figura riusciva a trarre da vivere dalla sua “professione”, quantunque temuta.
Il termine è composto da Türa = da tirare (non turare), cavare, estrarre e jagnéle = dente molare.
O, in maniera abbreviata, “u trijagnéle”, era il signor Ginetto, collaboratore del dottor Melucco (‘u purtungiüne al secondo piano di C.so Manfredi, di fronte alla farmacia Murgo).
Era molto pratico e bravo e lo si preferiva al medico dentista. Allora si praticavano le otturazioni con amalgama al piombo e si impiantavano i denti di argento (popolino) e di oro per i più benestanti.
I danni cagionati da queste pratiche errate non furino mai quantificati e non so il perché…
Il lettore ENZO RENATO, a proposito del cavadenti, aggiunge:
«Stesso iter antropologico del Cerusico.
Infatti il Giuramento di Ippocrate rinnega “l’operazione della pietra”, cioè la Chirurgia.
Quindi sia la speculazione scientifica mediante dissezione (l’Anatomia), sia la cura “de curtorum” (cruenta o strumentale: pietra prima e ferri poi) delle malattie erano relegate ai “pratici” (barbieri ad esempio).
Mentre alchimisti, maghi e astronomi imponevano le mani e somminustravano intrugli (il Medico).