La carne jì morte e ‘u bröde ce jètte a li chéne
La carne è morta e il brodo si butta ai cani.
I più anziani pronunciano: A carne jì morte e ‘u bröde ce scètte ai chéne.
Essi usano il verbo scètte, dall’infinito scetté, più simile al francese jéter
Questo proverbio indica una situazione molto triste.
Succede spesso che al decesso di una persona i familiari si contendano i suoi beni, ancorché divisi secondo la legge o secondo il testamento eventuale. C’è sempre chi non è soddisfatto, ritenendosi leso nei propri interessi.
Così passa in secondo ordine la persona e si mettono in primo piano le cose. Ormai il poveretto è morto, e non è degnato nemmeno di un senso di gratitudine, tanto conta solo quello che ha lasciato…
Conosco casi in cui, tra contestazioni e liti giudiziarie, l’eredità si è dissolta per pagare gli avvocati e le spese giudiziarie, così come è scomparso l’affetto fraterno.
Lo studioso mattinatese Francesco Granatiero intende così lo stesso proverbio: “Morto un familiare, si dimenticano i parenti acquisiti tramite lui”. Secondo me sono calzanti e valide entrambe le interpretazioni.
Nota linguistica:
Molti termini si sono evoluti, diciamo che si sono “ingentiliti”, perché erano ritenuti troppo cafoneschi:
Scetté = gettare, buttare è diventato jetté
Desciüne = digiuno, si è mutato in dejüne
Furciüne = forchetta, ora è furchètte
Cavadde = cavallo, cavalle
ecc.
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